Un documentario in cui il protagonista è un appartamento di Belgrado e la storia di chi vi ha abitato, dalla Jugoslavia di Tito alla Serbia di oggi. Un film che è anche una riflessione sulle responsabilità che un cittadino o una cittadina si devono prendere per il loro paese nel momento delle difficoltà
Come trovarsi in casa una storia forte, anzi due, e riuscirne a fare un documentario bello e incalzante. È il caso di Mila Turajlić, la regista serba nota per “Cinema Komunisto” (in uscita in dvd prima di Natale), con “Druga strana svega – L'altro lato di tutto”.
Un film quasi tutto dentro la casa di famiglia, in Birčaninova ulica, nel centro di Belgrado: l'edificio è il personaggio centrale, e una chiara metafora della Jugoslavia. L'altra protagonista è la madre della regista, Srbijanka Turajlić, per molti anni docente alla facoltà di Ingegneria, una delle protagoniste del movimento Otpor d'opposizione a Slobodan Milošević e ministro a inizio anni 2000. Ci fa da guida all'interno dell'abitazione. La donna aveva solo un paio d'anni d'età quando il grande appartamento fu nazionalizzato dal governo di Tito a fine anni '40 e diviso in tre parti, con la chiusura di alcune porte e l'ingresso di altre due famiglie. Nuclei di proletari che con i padroni di casa avevano poco più che rapporti formali; una riprova che la società jugoslava era socialista, ma non c'era socializzazione, restava la differenza tra le classi.
I Turajlić, discendenti dall'avo Dušan Peleš (bisnonno della regista) che fu tra i firmatari dell'unione nel 1919 che formò il Regno di serbi, croati e sloveni e successivamente ricoprì la carica di ministro della Giustizia, erano socialdemocratici e anti-comunisti. Il film, presentato in Italia allo scorso Trieste Film Festival che ora lo sta facendo circuitare in alcune città, è stato finalista al Premio Lux promosso dal Parlamento europeo e vinto dall'islandese “La donna elettrica – Woman At War” di Benedikt Erlingsson.
Dopo “Cinema Komunisto” è un altro viaggio nella memoria personale e collettiva della Jugoslavia e del post Jugoslavia partendo dalla vicenda familiare e della casa a Belgrado, costruita dal bisnonno. Parlando della casa e degli usci sbarrati, Turajlić racconta la Jugoslavia con Tito, la sua morte, fino alla dissoluzione e alle guerre. Tutto è visto dal punto di vista familiare e della cerchia di amici e conoscenti, compreso uno dei momenti simbolo della disgregazione: il dito dello sloveno Vinko Hafner rivolto contro l'astro nascente Milošević, durante il congresso dei comunisti jugoslavi del 1988, per chiedergli di valutare le conseguenze delle sue parole.
Per Srbijanka e i suoi amici si trattò dell'inizio della dissoluzione della Federazione. Seguirono gli anni delle manifestazioni di piazza, con la docente universitaria che si ritrovò quasi per caso sui palchi delle proteste. Oggi la delusione prevale, l'ex ministro considera il 5 ottobre 2000 “una rivoluzione fallita”.
È anche, questo, un film su un rapporto madre–figlia e sulla trasmissione dell'eredità politica e civile e un confronto tra le generazioni. Così, oltre che sulla Serbia e la storia della Jugoslavia, affronta anche l'attualità europea e apre l'orizzonte a un discorso più ampio sulla democrazia, sulla ricerca e il compimento dei processi democratici.
La disillusa Srbijanka Turajlić parla dei limiti e dei fallimenti delle rivoluzioni, tradite dai loro artefici, continuando a sostenere la necessità di nuovi cambiamenti. In una delle poche uscite dalla casa, la donna riceve un premio dall'attrice Mirijana Karanović (“Grbavica – Il segreto di Esma”), con la motivazione che ha lottato per il raggiungimento della libertà. “È la prima volta che ricevo un premio per un fiasco”, commenta la protagonista, in un'espressione dell'ironia, la lucidità e la determinazione che la contraddistingue. È anche una riflessione sulle responsabilità che un cittadino o una cittadina si devono prendere per il loro paese nel momento delle difficoltà. E anche questo tema è di grande attualità nell'Europa odierna.
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