I tentativi di riformare il sistema dei media in Serbia sembrano essere naufragati. Le organizzazioni internazionali denunciano il peggioramento dello stato della libertà di stampa nel paese, puntando il dito contro nuove forme di controllo
La storia dei media in Serbia è una storia problematica. Negli anni Novanta, dopo decenni di monopolio informativo da parte del potere socialista, venne introdotto un sistema di controllo e manipolazione dell'informazione creato da Slobodan Milošević. Un sistema, definito "slobovizija" (dall'unione di “Slobodan” e “televizija”, televisione), caratterizzato da un controllo strutturale da parte del potere centrale. La macchina da guerra mediatica messa in piedi da Milošević assunse aspetti grotteschi nei periodi elettorali, durante le manifestazioni di protesta degli anni 1996-97 e durante la guerra in Kosovo.
In seguito all'abolizione del monopolio statale nell'informazione, Milošević consentì poi una disordinata proliferazione di organi d'informazione privati, soprattutto a livello locale, come parte di una deliberata strategia di "caos in etere", volta ad impedire lo sviluppo di un'alternativa nazionale alla televisione pubblica, la potente RTS (Radio-Televizija Srbije).
Questa eredità è difficile da superare. Finito il regime di Milošević, nell'ottobre del 2000, i media serbi si trasformarono nel giro di una notte in sostenitori del nuovo regime di Koštunica, esattamente come avevano fatto un decennio prima passando da Tito a Miloševic.
Nuove forme, vecchie abitudini
In Serbia, dove la transizione democratica è iniziata con un decennio di ritardo rispetto ad altri paesi socialisti, anche la trasformazione del sistema dei media è stato un processo lento, incompleto, e contraddittorio. I governi post-Miloševic non si sono dimostrati capaci di intraprendere le riforme strutturali necessarie a rendere democratico, pluralista e trasparente il sistema mediatico.
I meccanismi di influenza politica, quindi, non sono stati smantellati, anche se le pressioni nei confronti degli organi di informazione sono oggi di natura diversa rispetto al passato.
Come ha spiegato Gordana Igrić, la fondatrice del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN), nel suo intervento alla prima conferenza internazionale sulla libertà dei media in Europa sud-orientale, organizzata dalla Commissione Europea nel 2011, "la crisi economica ha accresciuto la vulnerabilità dei media di fronte alle influenze provenienti dal mondo politico ed economico".
Oggi, però, i tentativi di influenzare i media si esercitano in modi più sofisticati rispetto al passato.
"Mentre un tempo", sosteneva la Igrić, "ai politici bastava alzare un telefono per esercitare una influenza diretta, oggi il condizionamento pervade i luoghi dell'informazione, esercitandosi attraverso editori che rappresentano interessi economici e dei partiti".
Censura “soft”
Un recente rapporto pubblicato dalla World Association of Newspapers and News Publishers (WAN-IFRA) e dal Center for International Media Assistance (CIMA) descrive l'emergere di una nuova, insidiosa pratica nel sistema media-politica serbo, quello della "soft-censorship".
L'espressione, usata per la prima volta in una ricerca del 2005 della Open Society Justice Initiative, si riferisce ad una molteplicità di azioni volte ad influenzare i contenuti informativi senza dover ricorrere a divieti di tipo legale, alla censura diretta, o a minacce fisiche. Queste forme di influenza, subdole ed efficaci, salvano una parvenza di libertà e pluralismo.
La pressione sui media include l'uso discriminatorio di fondi pubblici distribuiti secondo linee politiche, e l'abuso di poteri regolatori e di ispezione non trasparenti e blandamente regolamentati. In particolare, il rapporto si preoccupa di tracciare i flussi finanziari della spesa pubblicitaria erogata dal governo, che viene usata per condizionare gli organi di informazione attraverso l'allocazione o il ritiro di risorse pubbliche. Come spiega ancora la Igrić, "l'aumento o la riduzione del flusso di fondi pubblicitari da parte del governo costituisce sempre un 'argomento' molto persuasivo, uno strumento potente usato contro i media che, in tempi di crisi economica, lottano per la sopravvivenza".
Follow the Money
La spesa pubblicitaria del settore pubblico è stimata tra il 23 e il 40% del totale del mercato pubblicitario serbo. Secondo il rapporto del 2011 dell'Anti-Corruption Council, il più grande finanziatore di pubblicità in Serbia è Telekom Srbija, la società di telecomunicazioni pubblica che spende circa 10 milioni di euro l'anno. Seguono il ministero della Protezione Ambientale e della Pianificazione, con un budget pubblicitario di 1,5 milioni di euro.
Generalmente, i contratti pubblicitari degli organismi pubblici prevedono delle clausole molto precise, che impongono ai media di pubblicare interviste a esponenti pubblici o articoli che non sono altro che lanci di agenzia sull'attività degli organi di governo. Nonostante il codice deontologico dei giornalisti serbi proibisca questa pratica, manca una regolamentazione precisa sulla pubblicità finanziata con denaro pubblico.
La situazione è ancora più preoccupante a livello locale, dove il controllo dei media è nelle mani di reti partitiche, clientelari e di uomini d'affari spesso legati a forme di economia illegale. Negli ultimi anni, parallelamente alla costruzione del decentramento amministrativo, si è sviluppata la pratica di finanziare con fondi pubblici la copertura mediatica delle attività svolte dai governi locali. Per capire la forza e le implicazioni sui contenuti informativi di tali contratti, è il caso di citare l'esempio del Comune di Niš che, nel 2013, ha emesso un bando per la fornitura di servizi informativi sulle attività dell'amministrazione cittadina. Come rimarcato dal rapporto WAN-IFRA – CIMA, il bando prevedeva esattamente che le informazioni venissero pubblicate "sulla prima, seconda, terza pagina, e poi sulla 14esima, 15esima e 16esima pagina" del quotidiano che si sarebbe aggiudicato l'appalto. Sempre più spesso, per gli organi di informazione locale, stretti nella morsa della crisi ed operanti in contesti economici che non sono in grado di sostenere un mercato pubblicitario vivace, questi finanziamenti sono l'unica fonte di sopravvivenza.
Residui del passato, anomalie del presente
Un'altra forma di influenza del governo sui media, forse la più visibile, avviene attraverso l'erogazione di sussidi diretti agli organi di informazione pubblici. Dopo più di un decennio di riforme, il processo di privatizzazione, che doveva concludersi entro il 2007, sembra essersi arrestato. Il quadro normativo della proprietà dei media è estremamente ambiguo ed incoerente. Secondo il rapporto WAN-IFRA – CIMA lo stato della proprietà dei media in Serbia è "un residuo del precedente sistema, e un'anomalia del presente. I media pubblici vivono in un limbo legale, mentre il numero esatto degli organi di informazione posseduti dallo stato non è conosciuto." L'unico dato disponibile indica in 3,2 milioni di euro l'erogazione di sussidi pubblici ai media nel 2011, milioni che sono diventati 3,7 nel 2012.
L'aspetto certamente più preoccupante è che il finanziamento pubblico, in un contesto non competitivo e scarsamente regolamentato come quello serbo, conduce a forme indirette di censura. Il rapporto cita l'esempio della stazione televisiva pubblica “Studio B”, finanziata dal comune di Belgrado (2,5 milioni di euro nel 2013). L'analisi dei notiziari andati in onda nel 2010 mostra come la causa a cui “Studio B” era votata era la causa dei funzionari locali, più che il racconto dei fatti. Non solo i leader della politica belgradese venivano rappresentati positivamente, ma rappresentavano la fonte delle informazioni nel 47% dei casi delle notizie analizzate, mentre il più importante partito di opposizione non veniva menzionato neanche una volta.
Media, riflesso del potere
Il sistema dei media in Serbia non sembra essersi affrancato da decenni di controllo, manipolazione, ed intrecci fatali per la libertà d'informazione. E' possibile leggere i sistemi mediatici come costruzioni sociali che riflettono i rapporti di forza espressi a livello politico. In quest'ottica, il sistema mediatico serbo paga i ritardi e le contraddizioni di quello politico, riproducendo il ruolo egemonico dello stato e dei partiti nel paese.
La crisi economica ha poi fatto emergere nuove forme di interferenza dello stato nel settore dei media, attraverso le quali il potere finanziario degli organismi pubblici si trasforma in influenza politica sull'informazione.
Il reale funzionamento del sistema di finanziamento pubblico ai media, infine, è sconosciuto al pubblico serbo: norme di riferimento e informazioni sui flussi di denaro sono incomplete e scarse. L'élite politica, dal canto suo, preferisce il mantenimento dello status quo, ovvero "l'anarchia" nel dominio dei media, alla riforma del sistema. Per non rinunciare al vecchio vizio di controllare l'informazione.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Safety Net for European Journalists. A Transnational Support Network for Media Freedom in Italy and South-east Europe.
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