Il programma di riforme del governo serbo – requisito fondamentale per l’accesso della Serbia ai fondi europei previsti dal nuovo piano di crescita dei Balcani occidentali – viene nascosto all’opinione pubblica. Troppo pochi i progressi compiuti o motivazioni più profonde?
(Originariamente pubblicato da Radar , il 29 agosto 2024)
La lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, il rafforzamento dell’indipendenza e dell’efficienza della magistratura e il miglioramento delle condizioni in cui si svolgono le elezioni non sono tra le priorità della leadership serba.
È quanto emerge da una proposta di programma di riforme che il governo di Belgrado ha inviato alla Commissione parlamentare per l’integrazione europea e al Plenum nazionale sull’UE [NKEU, piattaforma della società civile che rappresenta gli interessi dei cittadini nel processo di integrazione europea della Serbia].
Alcune scadenze indicate nel documento lasciano intendere che la Serbia non sarà pronta ad aderire all’UE entro il 2027, come invece suggerito da Marko Đurić, ministro degli Esteri serbo, nel corso di un incontro del gruppo informale “Amici dei Balcani occidentali”, tenutosi lo scorso 21 giugno in Austria.
Il documento in questione non è mai stato pubblicamente presentato, quindi viene spontaneo chiedersi perché la leadership serba stia cercando di evitare qualsiasi dibattito pubblico sulle riforme previste.
“Finora solo il Montenegro ha presentato un programma di riforme, pubblicando le proposte e l’intera agenda, da cui emerge un approccio molto più preciso e approfondito alle questioni trattate”, spiega Jovana Spremo, responsabile delle attività di advocacy presso il Comitato di giuristi per i diritti umani (YUCOM) e coordinatrice per il capitolo 23 (giustizia) del NKEU.
Litio in cambio del silenzio?
Il settimanale Radar ha potuto prendere visione della proposta di programma di riforme del governo serbo che la Commissione europea deve ancora valutare.
Secondo quanto annunciato dal ministero serbo per l’Integrazione europea, la Commissione si sarebbe dovuta esprimere sul programma proposto entro la fine di agosto.
Basta dare un’occhiata al documento per comprendere che l’adesione all’UE non è tra le priorità del governo serbo. Se la Commissione europea dovesse accettare tutte le riforme e le scadenze proposte, diventerebbe chiaro che l’UE ha lasciato mani libere ad Aleksandar Vučić per governare la Serbia come vuole.
Bruxelles, con ogni probabilità, si aspetta dalla leadership serba l’attuazione del progetto Jadar pur essendo pienamente consapevole che con l’attuale élite al potere la Serbia non può entrare nell’UE. Lo ha confermato anche Michael Roth, presidente della Commissione Esteri del Bundestag, con un post pubblicato su X nel marzo di quest’anno.
Emblematica in questo senso la parte del programma di riforme relativa alla “revisione e l’adozione di regolamenti adeguati per attuare le raccomandazioni chiave dell’Ufficio OSCE per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR) e del Consiglio d’Europa allo scopo di migliorare il sistema elettorale”.
Il piano prevede che le raccomandazioni degli osservatori internazionali per creare le condizioni per lo svolgimento di elezioni eque e libere vengano implementate entro la fine del 2025. Nel frattempo però potrebbero essere indette le ennesime elezioni anticipate per consolidare il potere del Partito progressista serbo (SNS) e far sgonfiare le proteste contro il progetto Jadar.
Che questo sia uno scenario realistico lo conferma il fatto che, secondo quanto previsto dal programma di riforme, la revisione dell’elenco degli aventi diritto, seguendo le raccomandazioni dell’ODIHR, dovrebbe essere portata a termine entro la fine del 2024.
I giornalisti di Radar hanno interpellato sulla questione Emanuele Giaufret, capo della delegazione dell'UE in Serbia. Alla domanda se le raccomandazioni dell’ODIHR debbano essere adottate prima delle prossime elezioni e se nel caso della mancata adozione i risultati delle elezioni possano essere considerati validi, Giaufret ha risposto che spetta alle autorità serbe decidere la data della prossima tornata elettorale.
Il capo della delegazione UE si è detto incoraggiato dall’impegno del parlamento di Belgrado ad attuare le raccomandazioni, affermando che la Serbia, nel suo programma di riforme, si è dimostrata pronta a dare priorità alle questioni legate alle elezioni.
“Come abbiamo sottolineato nelle nostre dichiarazioni sulle ultime elezioni serbe, ci aspettiamo che la Serbia prenda in considerazione le restanti raccomandazioni dell’ODIHR e degli organismi del Consiglio d’Europa il prima possibile e con largo anticipo rispetto alle prossime elezioni”, si legge nella risposta scritta che Giaufret ha fornito a Radar.
Secondo Vladimir Međak, membro del Movimento europeo in Serbia ed esperto di diritto europeo, il primo punto debole del piano di riforme proposto dal governo serbo è la mancanza di una parte introduttiva che fornisca informazioni e indicatori di base, spiegando il contesto in cui è nato il programma e le sue motivazioni.
Altre lacune riscontrate da Međak riguardano il capitolo 4, fondamentale per l’avanzamento della Serbia verso l’UE, che sembra essere la parte meno elaborata e più breve del programma.
Prosegue la sottomissione dei media e della magistratura
Il programma di riforme prevede inoltre che l’Organo regolatore dei media elettronici (REM) venga rinnovato entro la fine di quest’anno con una procedura “trasparente e inclusiva”. C’è però chi teme che anche dopo il rinnovo il REM continui ad operare come prima, assegnando le licenze nazionali ai media allineati, e che restino impunite le violazioni della legge sui media compiute in passato.
Il governo di Belgrado si prefigge anche di adottare, sempre entro dicembre 2024, tre nuove leggi per allinearsi alla legislazione UE sulla libertà dei media. Si tratta nello specifico della legge sui servizi pubblici, la legge sui media elettronici e la legge sull’informazione e i media pubblici.
Vladimir Međak sottolinea che la pessima situazione dei media in Serbia è conseguenza non tanto del fatto che le leggi serbe non sono pienamente allineate alla normativa europea, quanto della loro mancata applicazione. Criticità che si riscontra frequentemente nel piano di riforme proposto dal governo serbo.
“Ci sono tre passi – spiega Međak – che le autorità serbe solitamente compiono per evitare o rinviare le riforme. Prima dicono che manca una legge, quindi si apprestano ad adottarla. Poi dicono che l’applicazione di quella legge non è prerogativa delle istituzioni, anche se queste ultime l’hanno scritta e approvata, quindi introducono emendamenti. Infine si lamentano della carenza di personale, tanto da dover organizzare concorsi e corsi di formazione. Alla fine assumono persone politicamente allineate che non fanno bene il loro lavoro, ed ecco che ci ritroviamo con le istituzioni che ben conosciamo”.
Secondo Međak, la legislazione è il problema minore. “[Alla leadership al potere] conviene inserire emendamenti legislativi nel programma di riforme, con la scusa di voler allinearsi all’UE, dando così l’impressione che il processo di integrazione europea, seppur lentamente, procede come previsto”.
Ne è prova il sistema giudiziario. Il capitolo del programma di riforme dedicato alla magistratura contiene un solo punto, che prevede di aumentare del 10% il numero di procuratori e giudici entro la fine del 2025. Il piano d’azione per il capitolo 23 (giustizia) dei negoziati di adesione prevede invece una riforma molto più ampia che, come spiega Jovana Spremo, stenta a decollare.
“Molti aspetti della riforma non sono ancora stati affrontati, come la legge sull’accademia giudiziaria, la legge sulle sedi e sulla competenza territoriale dei tribunali e delle procure, nonché un atto legislativo sui dipendenti della magistratura che, come inizialmente annunciato, avrebbe dovuto essere adottato alla fine del 2022”, sottolinea Spremo.
“Il nuovo piano di riforme – precisa la giurista – è un’occasione per il governo di dimostrare la disponibilità ad agire su questo fronte. Eppure, siamo ancora in attesa di una svolta nella cultura giuridica e di quelli che erano stati annunciati come cambiamenti ‘tettonici’. Anzi, assistiamo ad una situazione diametralmente opposta, dove l’ingerenza illecita nell’operato della magistratura sta diventando sempre più palese”.
Lo illustra al meglio il caso delle procuratrici Jasmina Paunović e Bojana Savović che, dopo aver svelato pratiche corruttive all’interno dell’Azienda elettrica della Serbia, sono state espulse dalla Sezione speciale per la lotta alla corruzione della procura di Belgrado e assegnate ad altri incarichi.
Il nuovo programma di riforme del governo di Belgrado – come spiega Jovana Spremo – dovrebbe fornire indicatori per il monitoraggio dell’applicazione del quadro giuridico, promuovere i meccanismi di tutela contro l’ingerenza illecita e valutare lo stato di salute della magistratura serba nell’ottica della futura adesione all’UE.
“Invece per il governo serbo, a quanto pare, lo stato di diritto è in fondo alla lista delle priorità”, denuncia la giurista. “La nuova proposta di riforme porta a pensare che il governo sia convinto di essersi occupato abbastanza della magistratura che, secondo la leadership al potere, non è mai stata così indipendente come lo è oggi. Non hanno nemmeno affrontato la questione dell’indipendenza, parlano solo dell’efficienza, nell’ottica delle misure proposte”.
“Secondo le organizzazioni della società civile e le associazioni di categoria – sottolinea Spremo – l’approccio assunto dal governo nell’elaborazione del piano di riforme [richiesto dall’UE] è inadeguato, non solo per quanto riguarda la magistratura”.
Tolleranza per i criminali
Anche le misure, previste dal nuovo programma di riforme, per il rafforzamento della prevenzione e della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, sembrano a dir poco generiche.
Si prevede di migliorare “i risultati sul piano delle indagini, perseguimenti penali, sentenze definitive, confisca e sequestro di beni” entro giugno 2026, con la possibilità di prorogare i termini di un anno. Non è però stato fornito alcun indicatore per valutare i progressi compiuti finora.
Entro il 2026-2027 dovrebbe essere aumentato anche “il numero di indagini, atti di accusa e sentenze definitive nei casi di criminalità organizzata”, nonché “il numero e il valore dei beni sequestrati e confiscati nei casi di reati gravi e crimine organizzato”. Anche qui mancano gli indicatori che permettano di valutare l’attuale stato delle cose.
“Questa vaghezza non sorprende affatto – spiega Vladimir Međak – attualmente la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata è ad un livello talmente basso che anche un solo arresto di una persona sospettata di corruzione, o un singolo intervento delle forze di polizia andato a buon fine può essere interpretato come un progresso significativo”.
Alla domanda se la mancata pubblicazione della proposta del programma di riforme violi il principio di trasparenza, Emanuele Giaufret ha risposto affermando che la trasparenza è uno dei principi fondamentali su cui si basa il nuovo piano di crescita per i Balcani occidentali approvato da Bruxelles. Ne consegue che il governo di Belgrado dovrebbe garantire un processo di elaborazione e approvazione del programma di riforme conforme a quanto previsto dal Regolamento (UE) 2024/1449 .
Incalzato sulle scadenze proposte dalla leadership serba per l’attuazione delle riforme in materia di giustizia e lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, il capo della delegazione UE ha affermato che la Commissione europea valuterà le misure e le scadenze indicate nel programma di riforme prima di procedere all’erogazione dei finanziamenti.
Nella proposta di riforme ci sono anche altri punti poco chiari, se non addirittura insensati, introdotti probabilmente con l’intento di coprire poca sostanza. Ad esempio, si prevede di modificare il regolamento interno del governo entro la fine del 2025 per affidare al potere esecutivo, anziché ad un’apposita commissione parlamentare, il processo decisionale relativo allo svolgimento delle consultazioni pubbliche.
Una modifica che in pratica non cambierà nulla. Tra gli obiettivi fissati c’è anche quello di aumentare la spesa del settore privato per la ricerca e l’innovazione, portandola al 50% della spesa totale. Non è chiaro però come il governo intenda farlo: fornendo incentivi al settore privato, costringendolo a investire o in altro modo.
Il documento conferma che, pur essendo indietro su vari fronti, il governo continua a indugiare nel processo di riforme. Ad esempio, il termine per l’implementazione delle misure volte a rafforzare la lotta al terrorismo è fissato per la fine di dicembre 2026. Una scadenza che sembra troppo lontana considerando i recenti fatti, nello specifico un attacco all’ambasciata israeliana a Belgrado, avvenuto lo scorso 29 giugno, e l’uccisione di un wahabita, Senad Ramović, nei pressi di Novi Pazar lo scorso 18 agosto. Commentando quest’ultimo incidente, Ivica Dačić, ministro dell’Interno serbo, ha dichiarato che i servizi segreti serbi sorvegliano un centinaio di wahabiti sospettati di terrorismo.
Siamo in ritardo anche per quanto riguarda l’allineamento alla politica dell’UE in materia di visti. La Serbia, secondo quanto previsto, entro la fine di quest’anno dovrebbe introdurre il regime dei visti per almeno tre paesi i cui cittadini hanno bisogno del visto per entrare nell’UE.
“Da anni ormai l’UE rilancia questa richiesta, di tanto in tanto minacciando di rimuovere la Serbia dal cosiddetto ‘Schengen bianco’ [lista dai paesi esentati da visto per soggiorni brevi] nel caso non la dovesse esaudire. Perché allora fissare il termine per l’armonizzazione a fine 2024? E – cosa ancora più importante – perché solo tre paesi?”, chiede polemicamente Vladimir Međak.
“Qui forse con maggiore chiarezza – sottolinea Međak – emerge l’atteggiamento della leadership serba nei confronti dell’UE: Belgrado farà lo stretto necessario per ottenere finanziamenti, poi continuerà ad evitare le riforme, fino a quando non avrà bisogno di ingraziarsi nuovamente l’UE, allora spunterà un’altra casella della tabella di marcia. Però così non si costruisce fiducia, e i negoziati di adesione non possono essere conclusi senza fiducia reciproca”. Anche perché, come precisa l’esperto, “una volta chiusi tutti i capitoli negoziali, avremo altri due anni per adempiere agli impegni assunti [nell’ambito dei negoziati di adesione], solo allora l’accordo di adesione potrà essere ratificato. Finché la leadership serba non cambierà il suo approccio, non giungeremo alla ratifica”.
Tra le azioni contenute nel piano di riforme c’è anche “l’elaborazione di misure concrete per evitare il reclutamento e l’arruolamento di cittadini serbi come combattenti stranieri, e per permettere il perseguimento penale dei rimpatriati”. Si prevede di definire le misure di cui sopra entro giugno 2025, nonostante la fattispecie sia già contemplata dal Codice penale serbo dal 2014 sotto pressione dell’UE. Alcuni cittadini serbi che hanno combattuto in Ucraina a fianco dei russi sono già stati processati e condannati con la condizionale.
“Ancora però non sappiamo chi abbia portato queste persone al fronte, chi abbia funto da intermediario, chi abbia organizzato tutto, e dovremmo saperlo. Ora il governo si impegna a introdurre misure che in realtà già esistono, da dieci anni ormai, anche se sono sempre rimaste lettera morta”.
Soldi al governo tecnico
La scarsa serietà, o la negligenza, dell’attuale leadership serba si riflette anche nel fatto che, secondo la proposta di riforme, “l’armonizzazione di tutti i restanti meccanismi di finanziamento pubblico, previsti dall’Accordo di stabilizzazione e associazione, all’acquis comunitario”, come uno dei requisiti per l’apertura del capitolo 8 (concorrenza), dovrebbe essere portata a termine entro la fine del 2027.
Il problema è che, se nel frattempo non si svolgeranno le ennesime elezioni anticipate, nel dicembre 2027 l’attuale governo di Belgrado opererà con un mandato tecnico.
“Dalla tabella di marcia proposta emerge che il governo ha pianificato attività che vanno oltre l’attuale legislatura. Una possibile spiegazione è che nel dicembre 2027 si concluderà l’attuazione del Piano di crescita per i Balcani occidentali. Quindi, entro quel termine la Commissione europea cercherà di erogare tutti i finanziamenti previsti, anche perché il 2028 rientrerà nel nuovo quadro finanziario pluriennale dell’UE (2028-2035)”, spiega Vladimir Međak.
“La leadership serba sembra convinta che l’UE sia disposta a concedere finanziamenti a Belgrado a prescindere dal fatto che ci sia o meno un governo capace di utilizzarli come previsto”, conclude l’esperto.
Insolita anche la proposta di “aumentare la trasparenza dei progetti concordati sulla base degli accordi intergovernativi” (entro giugno 2025, con l’obbligo di pubblicare tutti gli accordi intergovernativi sui siti web dei ministeri competenti entro dicembre 2024). Finora la leadership serba ha sempre cercato di siglare accordi intergovernativi per evitare di organizzare gare d’appalto, facilitando così la corruzione.
Inoltre, l’allineamento alla normativa UE in materia è uno dei requisiti per chiudere il capitolo 5 (appalti pubblici), e quindi per proseguire sulla strada europea. Prevedendo soltanto di “aumentare la trasparenza”, senza vietare per legge l’elusione del meccanismo di appalti, il governo di Belgrado dimostra di non essere pronto a impegnarsi per introdurre riforme sostanziali che permettano alla Serbia di aderire all’UE.
È curioso notare come “l’abrogazione di tutte le leggi e i provvedimenti speciali o di altro tipo che prevedono eccezioni alla legislazione sugli appalti pubblici” sia prevista entro giugno 2027. Quindi, la Legge sulle procedure speciali per la realizzazione dell’esposizione internazionale specializzata Expo Belgrado 2027 verrà abrogata quando il progetto in questione, per un valore complessivo di 17 miliardi di euro, sarà ormai vicino alla conclusione.
Entro giugno 2027 si prevede anche di armonizzare la normativa serba a quella UE in materia di sicurezza alimentare e politica fitosanitaria per poter aprire il capitolo 12 che, per come stanno andando le cose, non potrà essere chiuso prima del dicembre 2029. Per allinearsi agli standard UE, Belgrado dovrà adottare anche la famigerata legge sugli OGM, che giace nel cassetto dal 2013.
“Si tratta di una decisione politica sensibile e impopolare – spiega Vladimir Međak – mi stupirebbe se l’attuale leadership riuscisse a far approvare la legge entro giugno 2027, quindi alla vigilia delle prossime elezioni politiche. D’altra parte, l’adozione di questa legge è un requisito necessario per la Serbia per diventare membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Solo una volta entrata a far parte del WTO – ed è una procedura complessa che dura circa un anno – Belgrado potrà chiudere il capitolo 30 (relazioni commerciali con l’estero)”.
Quindi, come sottolinea Međak, anche se il governo adottasse la legge sugli OGM entro giugno 2027, il capitolo negoziale relativo al commercio internazionale non potrà essere chiuso prima del 2028.
“Questo dimostra che l’unico scopo dell’attuale piano di riforme, proposto dalla leadership serba, è quello di soddisfare i requisiti tecnici”, afferma Međak. “Staremo a vedere come reagirà la Commissione europea”.
Il caso dell’Agenzia elettrica della Serbia
Emblematico in questo senso anche il capitolo della proposta di riforme dedicato alla gestione delle aziende di proprietà dello stato. Si prevede che “tutte le aziende pubbliche a cui si applica la Legge sulla gestione delle aziende di proprietà della Repubblica di Serbia adottino lo stesso meccanismo di nomina di direttori e strutture dirigenziali” entro la fine del 2026.
Nemanja Nenadić dell’organizzazione Transparency Serbia sottolinea che – nonostante i ripetuti avvertimenti della società civile serba, che da anni ormai mette in guardia sul rischio di corruzione in un contesto caratterizzato da leggi inadeguate e costanti violazioni delle norme in materia di gestione delle aziende pubbliche – la Commissione europea, nelle sue relazioni sulla Serbia, non ha mai posto l’enfasi su questa questione.
“La priorità non è quella di allinearsi alla normativa europea, perché il governo serbo da tempo ormai viola impunemente le leggi vigenti. La responsabilità in parte ricade anche sui tribunali che nelle loro sentenze trattano i direttori ad interim come se fossero ancora dirigenti legali e legittimi delle aziende”, spiega Nemanja Nenadić.
“Quanto al meccanismo di nomina dei direttori – continua Nenadić – le istituzioni finanziarie internazionali hanno chiesto al governo serbo di avviare una riforma e nel 2021 è stata approvata una strategia per la gestione delle aziende statali. Però anziché prevedere una soluzione immediatamente applicabile, si è scelta la strada delle modifiche legislative. Quindi, nel 2023 è stata adottata una nuova legge sulla gestione delle aziende di proprietà dello stato che a breve dovrebbe entrare in vigore".
"Secondo la nuova legge - come spiega Nenadić - i direttori delle aziende pubbliche non verranno più nominati direttamente dal governo, bensì attraverso una procedura indiretta dove il ministro competente nominerà un rappresentante dello stato all’assemblea degli azionisti. Quest’ultimo poi selezionerà i componenti del Consiglio di amministrazione che, dopo un concorso pubblico, eleggerà il direttore".
“Finora il governo ha sempre violato le leggi e non vi è alcuna garanzia che i suoi intermediari non facciano lo stesso. Lo dimostra il caso dell’Azienda elettrica della Serbia (EPS), che è stata sottoposta ad una operazione di trasformazione senza attendere l’approvazione e l’attuazione della nuova legge. Il nuovo direttore è stato nominato al termine di un concorso, che si è protratto per molto tempo e non ha previsto tutte le procedure e i meccanismi di valutazione prescritti dalla legge. Lacune che indubbiamente hanno inciso sull’esito del concorso”, conclude Nenadić.
Anche tralasciando tutte le lacune sostanziali riscontrate nel programma di riforme proposto dalla leadership serba, sta di fatto che il ministro degli Esteri Marko Đurić, parlando dell’adesione della Serbia all’UE entro il 2027, ha deliberatamente ingannato i cittadini: il governo di Belgrado, di cui Đurić fa parte, nel piano di riforme presentato a Bruxelles prevede che la Serbia, nella migliore delle ipotesi, diventi membro dell’UE nel 2029.
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