L'affaire Telekom Serbia, risale a quasi trent'anni fa, mentre la Serbia era sotto il regime di Milošević la Telecom Italia acquistò quote della azienda statale Telekom Srbija. Diego Zandel ritorna sulla questione con un romanzo giallo dal titolo "Un affare balcanico" qui recensito dall'ex ambasciatore di Croazia in Italia
Ventisette anni sono passati dalla vicenda Telekom Serbia che ha fatto tanto scalpore in Italia. Nel 1997, Telecom Italia, all’epoca controllata per il 61% dal ministero del Tesoro, acquistò il 29% di Telekom Srbija, azienda di proprietà statale della Serbia, controllata dalle Poste e telefoni serbi.
L’operazione, inizialmente nascosta agli occhi del pubblico, venne portata allo scoperto da un clamoroso scoop del quotidiano La Repubblica: lo scandalo portò a una serie di interpellanze in Parlamento, alla costituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta, all’attivazione della magistratura ed infine, all’insabbiamento politico ed alla archiviazione della pratica da parte della magistratura.
Dopo decenni in cui la coltre del silenzio ha coperto quello scandalo, l’affaire rivive sulle pagine del romanzo “Un affare balcanico” di Diego Zandel, edito da Voland.
Zandel, scrittore giallista ormai noto al pubblico letterario con il suo ventesimo libro, conosciuto anche come scrittore di romanzi polizieschi e intrecci politico-spionistici, è anche testimone del suo tempo e delle vicende nelle quali ha partecipato, per essere figlio di esuli fiumani, a tutti i drammi storici che si sono riversati sui Balcani.
Tutta, o meglio quasi tutta la produzione letteraria di Zandel (classe 1948) è collegata a esperienze autobiografiche e alle vicende della terra d’origine dei suoi genitori e nonni: da “Una storia istriana”, che i suoi critici spesso considerano il suo capolavoro (del 1987) alla storia della guerra nella ex-Jugoslavia, alla storia dell’esodo giuliano-istriano e del dramma che si è consumato al confine orientale italiano, sia durante il fascismo che dopo la liberazione, quando tutto un popolo autoctono (dell’Istria, della Venezia Giulia e della Dalmazia) è stato bistrattato, attribuendo ad esso, ingiustamente, la colpa collettiva per i crimini di guerra del fascismo.
Sollecitato ad abbandonare i propri focolari, è stato sottoposto ad angherie e maltrattamenti, ma anche ad esempi di giustizia sommaria conosciuto come il “dramma delle foibe”.
Zandel ha raccontato tutte queste trame storiche nei suoi libri, ma non bisogna dimenticare che è stato, e lo è ancora oggi nel suo iter giornalistico e pubblicistico, anche un osservatore attento della cultura jugoslava, con l’esordio nel 1981 della prima monografia italiana dedicata al premio Nobel jugoslavo Ivo Andrić, per poi completare il suo itinerario culturale dei Balcani con il volume “Balcanica. Viaggio nel sudest europeo attraverso la letteratura contemporanea” (Edizioni Novecento Libri, 2019), meritandosi, per tutto ciò il Premio Tomizza nel 2023, quale “personalità che nel tempo si è distinta nell’affermazione concreta degli ideali di mutua comprensione e pacifica convivenza tra le genti delle nostre terre”.
Questa volta Zandel si allaccia alla fortuna del suo penultimo libro, “Eredità colpevole” (pubblicato dalla Voland nel 2023, come anche quest’ultima opera), nel quale varca i limiti del romanzo giallo per far emergere la questione del travagliato destino degli esuli, della memoria di chi ha subito le ingiustizie dei liberatori dal fascismo e che vogliono prendere in mano la vendetta per i torti subiti.
Ma Zandel in questo suo romanzo che precede “Un affare balcanico” manda un messaggio di conciliazione e di superamento dei rancori reciproci, riuscendo a risolvere un trauma di carattere storico con una classica storia gialla, in un’atmosfera di rispetto della memoria altrui e di speranza in un futuro condiviso dalle popolazioni di frontiera, ora riunite tutte sotto la bandiera dell’Unione europea.
E il suo protagonista, il giornalista e scrittore Guido Lednaz, ovvio palindromo del nome dell’autore, riesce ad accattivarsi le simpatie del pubblico con la sua mente aperta, con la sua sincerità e, perché no, anche con una ingenuità dissimulata con la quale riesce a mascherare il suo acume investigativo.
Lednaz rientra sulla scena anche in questo nuovo romanzo, “Un affare balcanico”, questa volta da giornalista e redattore dell’house organ della Telecom Italia, professione svolta realmente dall’autore e che lo ha portato anche al ruolo di dirigente dell’azienda stessa. Ciò gli ha permesso di vivere questo scandalo quasi in prima persona, se non altro come testimone credibile di una “storia balcanica”.
Nel romanzo Lednaz casualmente afferra un dialogo in lingua serba (che durante la Jugoslavia si chiamava serbo-croata o croato-serba), che egli conosce in quanto da bambino passava le estati dalla nonna a Fiume, ci si intromette e così allaccia contatti con degli affaristi serbi che operano in Italia, sensali di questo losco affare di compravendita di Telekom Serbia da parte del potenziale acquirente, appunto Telecom Italia.
E così seguiamo tutti i passi di questo negoziato, che vede implicato anche Lednaz, da una parte quale conoscitore della lingua serba, ingaggiato dagli affaristi serbi in quanto non solo conoscitore della stessa, ma anche, come una specie di agente segreto a loro servizio, affinché spifferi ai serbi quello che sta succedendo nell’azienda di cui è dipendente.
Nello stesso tempo viene arruolato anche dalla propria azienda, col fine di spiare le mosse dei partner serbi in questo affare che si scopre sempre più losco, in quanto il prezzo di vendita supera di molto la cifra delle due diligence del presunto colosso serbo.
Così Lednaz procede nella trama letteraria da doppia spia, venendo risucchiato in una serie di eventi che riveleranno la vera natura dei faccendieri serbi, del regime di Milošević e di tutto il folclore che accompagna l’entourage del dittatore serbo.
Lednaz si districa facendo il doppio gioco, va e viene da Belgrado come uomo di fiducia di tutt’e due le parti, e viene usato ed abusato, per poi vedere risolte tutte le contraddizioni in una rocambolesca svolta, dipinta da Zandel con abile maestria letteraria in un’atmosfera di suspense e di tensione.
Da vero spy-master, Lednaz volerà a Belgrado per portare a Milošević la somma pattuita di 893 milioni di marchi tedeschi, prezzo concordato per l’acquisto della società serba, in 18 sacchi di juta con l’insegna delle Poste serbe.
In un carosello che vede agire, da una parte, i truci scagnozzi del dittatore serbo, loschi uomini d’affari, mediatori di questi al prezzo di una cospicua tangente e, dall’altra, i dirigenti italiani che evidentemente agiscono su sprone politico (oppure mossi da una avidità di trarre a loro volta un guadagno personale), Lednaz si trova implicato, col montare della tensione, in un’avventura che mette a repentaglio la sua vita.
Zandel tesse, così, la trama di un fatto realmente accaduto, ma reinterpretato in chiave romanzesca, con delle sorprese inaspettate. L’autore toglie, in questo modo, il velo di mistero che avvolgeva sia i loschi figuri di politici balcanici, sia i manager italiani che, spinti dalla voglia di espandersi sui Balcani in un campo di attività propulsivo e promettente, si tuffano nella mischia affaristica anche a costo di fare largo uso di tangenti e della corruzione, facendo conoscere un mondo esotico e criminale nel quale il doppio gioco viene praticato da tutti i protagonisti.
Naturalmente, alla fine tutto si risolverà in un happy-end da non svelare al lettore.
La forza di questa storia, narrata lege artis, sta proprio nel fatto che combina l’intreccio di eventi storici con i procedimenti del giallo poliziesco e della tradizione della spy-story classica. Dove sembra che l’invenzione letteraria superi la realtà, essa emerge in tutta la sua crudezza (e bruttezza), ma è la figura del simpatico protagonista Guido Lednaz, sballato dagli eventi, che emerge con la sua figura umana e comprensiva, illuminando un poco questa torbida vicenda.
Zandel ha ben documentato la sua fiction, che non è soltanto una reinterpretazione letteraria di un fenomeno di corruzione dello Stato – in questo caso di due Stati - ma una euforia espansiva del liberismo e della speculazione capitalista, nella convinzione che bisogna assoggettare anche i Balcani al mondo del neocapitalismo liberista, con tutte le conseguenze immaginabili.
Cioè, quelle di accorparli come nuovi territori di espansione del mercato globale, grazie alle nuove tecnologie di comunicazione e informazione, col fine di una egemonia economica e anche politica sulla regione dei Balcani, ovvero della ex Jugoslavia.
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