Il 3 aprile, a Belgrado, è stato raso al suolo un insediamento rom nel quartiere di Novi Beograd. Da allora la capitale serba ha conosciuto manifestazioni, proteste ed eventi culturali che hanno segnato un momento particolare nel rapporto tra la comunità rom e la città

15/04/2009 -  Marco Abram Belgrado

Per poco più di una settimana gli "invisibili" di Belgrado, i rom che vivono nei malridotti campi della periferia e si spostano in centro per chiedere l'elemosina o per raccogliere la carta, sono divenuti "visibili" anche agli occhi dei più distratti. Nell'arco di pochi giorni il centro della capitale ha conosciuto manifestazioni di ogni tipo, proteste ed eventi culturali, che hanno determinato un momento particolare nel rapporto tra la comunità rom e la città.

Da una parte, per celebrare la Giornata Mondiale dei Rom dell'8 aprile, il Sava Center ha ospitato la cantante Esma Režepova Tedodosijevski e in centro sono state organizzate mostre ed eventi volti a celebrare la cultura rom. Dall'altra, poco più in là, di fronte alla sede del governo cittadino, si sono protratte manifestazioni di protesta della comunità contro il sindaco Dragan Đilas e la sua amministrazione.

L'episodio che ha scatenato il malcontento dei rom belgradesi risale al primo mattino del 3 aprile, quando i mezzi del comune hanno raso al suolo un insediamento illegale formato da una cinquantina di baracche. Il campo si trovava a Novi Beograd nei pressi della cittadella dell'Universiade, una struttura destinata ad accogliere gli atleti di tutto il mondo che parteciperanno alla competizione ospitata nella capitale serba nel mese di luglio. L'azione di sgombero è stata presentata dalle autorità cittadine come necessaria per permettere la costruzione di un nuovo viale di collegamento con la zona. Alcuni sostengono, tuttavia, che non siano mancate pressioni da parte del comitato internazionale organizzatore della manifestazione, allo scopo di migliorare l'immagine della città in vista dell'evento estivo.

Nella stessa giornata gruppi di rom hanno organizzato la prima di molte proteste, bloccando un'importante arteria di Novi Beograd fino a giungere ad un faccia a faccia con la polizia. Contemporaneamente Đilas interveniva con parole che non contribuivano a placare gli animi: "Qualche centinaio di persone non può ostacolare lo sviluppo di Belgrado né tenere in ostaggio due milioni di belgradesi ... semplicemente non c'è un'altra soluzione". Aggiungendo quindi che non sarà più tollerato l'insediamento illegale in città di altri gruppi di persone.

E' quindi iniziata una vita da senzatetto per le 47 famiglie rom rimaste prive della propria abitazione e degli averi che, sostengono, non hanno avuto il tempo di recuperare dalle baracche. La questione della loro sistemazione ha naturalmente scatenato ulteriori polemiche e discussioni. Tuttavia solamente le persone che presentavano particolari problemi hanno trovato rapidamente posto in alcuni istituti, mentre la gran parte dei circa 250 rom sfollati è rimasta in balia di se stessa per giorni, sostenuta solo dalla solidarietà di alcune associazioni. Tuttora molti di essi non hanno ricevuto alcun aiuto dalle istituzioni.

Il sindaco ha dichiarato fin da subito che si cercherà una sistemazione solo per coloro che sono cittadini belgradesi a tutti gli effetti, mentre gli altri dovrebbero tornare nelle città e regioni di provenienza, Kosovo incluso. Per concretizzare questo rientro l'amministrazione si è dichiarata pronta ad accollarsi le spese di viaggio. Đilas ha inoltre sostenuto che, secondo le informazioni in suo possesso, solo dodici delle baracche distrutte erano realmente abitate e che la situazione sarebbe stata volutamente gonfiata.

A Boljevci, il sobborgo dove in un primo momento si era pensato di stanziare le famiglie rimaste senzatetto, sono iniziate subito le proteste degli abitanti della zona, che nella notte hanno dato alle fiamme i container adibiti ad accogliere i senzatetto. Non è la prima occasione in cui i tentativi del governo cittadino di insediare i rom in qualche quartiere portano a reazioni di questo tipo. Secondo un sondaggio, a cui ha fatto riferimento il quotidiano Borba, il 92% dei belgradesi avrebbe affermato di non desiderare i rom come vicini di casa in un raggio di due chilometri. Senza contare che in città, negli ultimi anni, non sono mancate aggressioni da parte di gruppi di estrema destra, con conseguenze, in un paio di casi, mortali.

Sarebbe comunque riduttivo ricondurre solamente al razzismo queste difficoltà di convivenza, la situazione è in realtà molto delicata. La comunità rom in Serbia conta, secondo l'ultimo censimento, circa 108.000 persone, ma l'Unicef sostiene che il numero andrebbe moltiplicato almeno di quattro volte. Solo nella capitale serba vivrebbero più di 100.000 rom. Si tratta del gruppo sociale più debole e marginalizzato nel paese: gran parte di essi hanno un grado di scolarizzazione quasi inesistente, vivono a livelli di povertà estrema, in campi senza fognature, acqua potabile o elettricità. Sono soprattutto i rom provenienti dal Kosovo, giunti in città in seguito al conflitto del 1999, a soffrire di una condizione disagiata. Non avendo ricevuto, se non di rado, alcun tipo di accoglienza, sono stati costretti a sistemarsi come possibile.

In Serbia, nel 2002, i rom hanno ottenuto il riconoscimento dello status di minoranza e dei corrispettivi diritti. La comunità inoltre ha sviluppato una certa capacità di organizzazione politica tanto che nel precedente parlamento avevano trovato posto due rappresentanti di due partiti rom, tuttavia la circostanza non si è ripetuta alle elezioni dello scorso anno. Esistono comunque notevoli divisioni interne e la comunità è socialmente molto stratificata, oltre alla realtà dei campi esistono anche esempi positivi di integrazione. In generale il livello di partecipazione politica rimane limitato e i partiti della minoranza rom riescono a ottenere solamente una piccola percentuale di voti, che non di rado finiscono ad altre forze politiche. In occasione di questo sgombero si è comunque realizzata una certa mobilitazione che ha coinvolto anche fette della società civile serba.

Il primo a protestare pubblicamente è stato il difensore civico Saša Janković, che ha sottolineato come le ruspe e la polizia non possano risolvere il problema dei rom."E' piuttosto evidente che era necessario prendere determinate misure in anticipo, identificare coloro che avevano diritto ad una sistemazione d'emergenza, allestire le strutture, evitare di usare la forza e di lasciare cittadini e bambini in mezzo ad una strada", ha osservato Janković.

Anche il mondo delle organizzazioni non governative si è mobilitato in difesa dei diritti della popolazione rom. Su molti quotidiani hanno trovato spazio le dichiarazioni di disappunto e di denuncia di esponenti di organizzazioni come Žene u crnom, Građanska Inicijativa, Inicijativa mladih za ljudska prava, Helsinški odbor za ljudska prava. Molte di esse hanno poi partecipato, mercoledì 8 aprile, ad una manifestazione a fianco dei rom di fronte al palazzo del governo cittadino.

I partecipanti hanno contestato soprattutto il metodo con cui è stato gestito il problema ed hanno voluto sottolineare quanto i sentimenti di razzismo siano diffusi nella società serba. Il governo è stato attaccato per l'incapacità di risolvere la situazione in maniera civile, nel pieno rispetto dei diritti umani, e per l'utilizzo di mezzi inadeguati e precari per un problema particolarmente serio. Un'attivista ha spiegato: "Non si possono distruggere le case delle persone e, solo in seguito, pensare ad una soluzione per i senzatetto, il governo non può agire in questo modo, abbiamo bisogno di una strategia più ampia di integrazione, di sensibilizzazione e soprattutto dobbiamo mostrare che siamo realmente interessati alla condizione di queste persone".

La mancanza di una strategia compiuta, non completamente slegata dai repentini cambiamenti di governo, è divenuta argomento di dibattito pubblico per diversi giorni sui media nazionali. Nel 2005, inoltre, la Serbia ha sottoscritto il programma Decade of Roma Inclusion, un progetto multinazionale decennale che ha come obiettivo il miglioramento delle condizioni di vita, dall'alimentazione all'educazione, delle popolazioni rom dei paesi dell'Europa sudorientale. Dall'anno di adesione non molto è stato fatto, tuttavia con il 2009 la presidenza di turno del programma è passata alla Serbia e da più parti si promette di intensificare gli sforzi politici per approvare un piano nazionale di intervento.


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