Erano strenui concorrenti, poi l'inaspettato accordo di coalizione per governare la Serbia. Ora i democratici di Tadić e i socialisti di Dačić firmano una Dichiarazione di riconciliazione. A destra invece, è bagarre
Domenica 19 ottobre il Partito democratico (DS) e il Partito socialista serbo (SPS) hanno firmato una dichiarazione sulla riconciliazione politica e sulla responsabilità comune per la realizzazione di una Serbia democratica, libera, unita, sviluppata culturalmente ed economicamente, e con uno stato di giustizia sociale. Il documento è stato firmato dal presidente del DS Boris Tadić e dal presidente dell'SPS Ivica Dačić, in presenza dei principali esponenti di entrambi i partiti.
"Ci impegniamo per una Serbia moderna, democratica e socialmente efficace che si fondi sulla parità di diritti e doveri di tutti i suoi cittadini, e che garantisca il rispetto dei loro diritti umani e delle loro libertà, che attui la democrazia e la giustizia sociale nella società e nell'economia, garantisca un pubblico legiferare e un contratto sociale a difesa dell'unità nazionale e che prepari il Paese a ciò che l'attenderà in futuro", recita il testo della Dichiarazione."Noi ci impegniamo per lo sviluppo di una società dei cittadini e di uno stato democratico come garante dei diritti e delle libertà di tutti gli abitanti della Serbia, di uno stato e di una società che rigettino tutte le forme di discriminazione, corruzione e di crimine".
La Dichiarazione, i cui autori sono il consigliere del presidente serbo Trivo Inđić e il funzionario dell'SPS Petar Škundrić, contiene otto capitoli dedicati all'unità nazionale, al sistema politico e alla democrazia, alla sovranità e all'integrità del Paese, all'integrazione europea e ai rapporti della Serbia con il mondo, alla sicurezza sociale e allo sviluppo economico.
Nella Dichiarazione è messa in luce la determinazione dei due partiti per una veloce integrazione della Serbia nell'Ue. "Da sempre apparteniamo all'Europa e condividiamo i valori europei. La decisione strategica della Serbia è di essere uno stato membro dell'Ue". Nella Dichiarazione si aggiunge inoltre che compito prioritario della nazione e delle istituzioni è la protezione dello stato, della sovranità e dell'integrità territoriale della Serbia e lo sviluppo delle capacità difensive. "Il Kosovo resterà parte della Serbia, e la lotta contro la sua separazione è un compito nazionale primario".
"La Dichiarazione è rivolta al futuro e al passato, perché i contrasti passati hanno minacciato di demolire il paese", ha dichiarato Tadić alla conferenza stampa di presentazione dell'iniziativa. Ha aggiunto che si tratta al contempo di un messaggio alla comunità internazionale, per dire che la Serbia ha chiuso con i conflitti e gli scontri politici. Per Tadić la Dichiarazione trascende il carattere dell'accordo interpartitico. "Non ho mai detto che questa firma significhi la riconciliazione nazionale. Si tratta di un atto solenne che caratterizza il valore delle idee e la nostra intenzione politica per il futuro. Con ciò mostriamo di voler aprire la strada ad altri, così che la riconciliazione politica assicuri anche la riconciliazione nazionale", ha affermato Tadić.
Il leader socialista Ivica Dačić ha fatto sapere ai giornalisti e ai cittadini che si auspica che" si riappacifichino i popoli, gli stati, la gente e i membri delle famiglie", e ha aggiunto che "quando si lavora insieme, non si può guardare al passato, ma dal passato si devono ricavare gli aspetti più positivi per un futuro migliore per la Serbia".
La "storica riconciliazione", come l'hanno chiamata i leader DS e SPS, non è stata accolta con grande entusiasmo dai colleghi degli altri partiti. Per il Partito democratico della Serbia (DSS), questo documento è un'azione di marketing; per il Partito radicale serbo (SRS) si tratta di un esempio di come siano stati cancellati i confini tra il DS e l'SPS; per il Partito progressista serbo (SNS) è una triste farsa; per il Partito dei liberaldemocratici (LDP) si tratta di una sorta di teatrino di cui la Serbia non ha bisogno.
Il più duro nei giudizi è stato l'ex premier e alto funzionario del DS Zoran Živković, che in una dichiarazione a B92 ha affermato che "la firma della dichiarazione sulla riconciliazione con l'SPS, partito dal passato criminale e dal presente marginale, è un atto non previsto dallo statuto, incomprensibile e immorale del presidente del DS Boris Tadić".
Gli analisti, invece, ritengono che la riconciliazione dei due partiti sia un tratto importante per smorzare la tensione politica. Ospite televisivo di B92, l'analista Milan Nikolić ha affermato che "alla Serbia serve tolleranza politica sulla scena principale, una gara creativa di programmi e idee politiche". Il sociologo Jovan Komšić ritiene che non ci si poteva aspettare un testo "catartico" della Dichiarazione in cui i due partiti da penitenti avrebbero riconosciuto i loro sbagli del passato, perché, in primis, devono occuparsi degli elettori. In una dichiarazione per Politika, Komšić afferma che "in questo momento la Serbia non ha le capacità per confrontarsi completamente con il passato", aggiungendo che "avverrà sul lungo periodo". Tuttavia, Komšić ritiene che questo documento sia molto importante perché "indica che è possibile una collaborazione tra due partiti che fino a ieri erano avversari. Cambia la regola per cui i partiti lottano uno contro l'altro fino alla completa distruzione, e nasce il modello che esiste nei sistemi democratici, in cui le parti si affrontano, si controllano a vicenda, ma anche collaborano".
Interessante citare che DS e SPS hanno firmato la Dichiarazione subito dopo che tutti i posti negli enti pubblici a Belgrado sono stati assegnati, ultimo passo verso la realizzazione dell'accordo di coalizione per il governo della capitale.
Con la firma della dichiarazione è stato messo fine alla speculazione che dura da diversi mesi sulla riconciliazione formale dei due oppositori politici. Questo atto non ha solamente formalizzato la collaborazione tra i due partiti, ma ha anche rafforzato lo spettro politico della sinistra in Serbia, alla cui guida si è imposto il partito di Boris Tadić.
Negli ultimi giorni, molti partiti tentano di colmare il vuoto nel cosiddetto polo politico di destra. Il primo è stato il Movimento di rinnovamento serbo (SPO) di Vuk Drašković, che ha reso nota la piattaforma del partito fondata sui principi della moderna destra europea, e poi, alcuni giorni più tardi, hanno comunicato un accordo di coalizione il Partito democratico della Serbia (DSS), Nuova Serbia (NS) e il Partito Popolare (NP) - il neo-formato partito dell'ex sindaco di Novi Sad e funzionaria del Partito radicale serbo (SRS) Maja Gojković.
Anche il Partito progressista serbo di Tomislav Nikolić e Aleksandar Vučić cerca una sua collocazione nella destra.
All'Assemblea di partito, tenutasi al centro belgradese Sava", è stato designato alla presidenza Tomislav Nikolić. Aleksandar Vučić, che ha atteso a lungo prima di far sapere pubblicamente che sosteneva Nikolić, sarà il suo vice nel nuovo partito.
I progressisti hanno portato via ai radicali molti simpatizzanti e si sono proposti come "nuova forza della destra moderata". Tomislav Nikolić, nel momento solenne dell'assemblea fondante, ha affermato che il programma di questo partito è "semplice e popolare" e si fonda sul fatto che per tutti in Serbia sarebbe meglio se si fosse il migliore collaboratore della Federazione russa e il migliore membro dell'Ue". Nikolić ha sottolineato che la Serbia deve scegliere il suo futuro, e ha fatto sapere al mondo che "se la pena è il nostro presente, non ce la siamo meritata, se è il nostro destino, non le soccomberemo, se è la sfortuna, siamo sopravvissuti a cose più dure".
All'assemblea fondante hanno partecipato gli ambasciatori di Slovacchia, Norvegia, Cuba, India, Svezia, i rappresentanti dell'ambasciata di USA, Russia, Giappone, Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, ma anche Luka Karadžić, fratello di Radovan Karadžić. Vučić ha detto ai rappresentanti internazionali: "Noi vi rispettiamo e non pretendiamo nulla di più se non che anche voi ci rispettiate. Vogliamo dialogare, ma non piegarci e pregare. Vogliamo entrare in Europa, ma vogliamo anche il nostro Kosovo".
I progressisti si sono buttati in un'intensa campagna mediatica. L'assemblea è stata seguita da sei stazioni televisive in Serbia, cosa che ha suscitato la collera di coloro che fino a ieri erano i loro alleati di partito. Dai radicali, in generale, piovono offese contro i progressisti. I lavori del parlamento sono bloccati perché i radicali interrompono quotidianamente le sedute dell'assemblea, e invece di seguire l'ordine del giorno, fanno polemica sui mandati che Nikolić ha "rubato" loro, a cui seguono offese e minacce.
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