E' arrivato ad Ambrus a capo di un piccolo convoglio con due container per la famiglia Strojan. Ma anche lui è stato fermato dai picchetti di paesani che vogliono cacciare i rom dal villaggio. Ed il Presidente della Repubblica, Janez Drnovsek, ha dovuto continuare a piedi
La famiglia rom di Jelka Strojan ha un tetto provvisorio e fino ad aprile resterà alloggiata a Roje, presso Lubiana, in un edificio recintato di proprietà del ministero della Difesa. I rom, scacciati dalla propria terra ad Ambrus, nella regione della Dolenjska, a sud-est della capitale, e rimasti due giorni prima di Natale anche senza le quattro povere case in cui alcuni dei suoi membri, soprattutto donne e bambini, alloggiavano - demolite "perché abusive" - avevano passato le prime due notti all'addiaccio, accanto ai resti della casa, sotto una tenda improvvisata, rischiando l'assideramento.
Jelka ed i suoi figli non volevano lasciare la propria terra ma poi è intervenuto il Presidente della Repubblica Janez Drnovšek in persona per convincerli ad accettare quanto il governo metteva loro a disposizione per allontanarli dall'ostile Ambrus, dove il consiglio comunale di Ivančna Gorica aveva nel frattempo decretato all'unanimità pure il divieto assoluto di qualsiasi forma di accampamento.
Ma il presidente non si è limitato a convincere la famiglia rom. Forte dela suo anticonvenzionale attivismo civile e umanitario si è messo alla testa di un convoglio composto da due camion che trasportavano altrettanti container destinati agli Strojan. Ma il convoglio è stato fermato dalle solite "vaške straže", i picchetti di paesani che impediscono ogni aiuto che favorisca il permanere dei rom su quella terra. E così - con la polizia che stava a guardare - è stato bloccato il presidente in persona.
Questi però non si è fatto intimidire e, sceso dalla sua automobile in vestito casual, ha fatto una romanzina alle oltre duecento persone venute da Ambrus e Zagradec per impedirgli di proseguire con i container. "Dov'è la vostra coscienza cristiana? Cosa direbbe di tutto ciò Gesu' Cristo?" ha chiesto Drnovšek a quanti gli stavano di fronte minacciosi. "Se qualche bambino dovesse morire di freddo, riterrò voi responsabili del crimine", ha continuato senza peli sulla lingua.
La situazione si è fatta subito incandescente, sono volate parole grosse, dalla folla hanno gridato al presidente "maiale, zingaro e clochard". E' mancato poco che si arrivasse alla collutazione. Poi Drnovšek ha desistito e ha proseguito da solo, lungo la strada che attraversa il bosco, fino a mamma Jelka e alla sua numerosa famiglia infreddolita.
L'ha abbracciata e l'ha convinta a cedere, ad accettare il trasferimento temporaneo nella casermetta di Roje: 200 metri quadrati ben attrezzati e caldi, circondati da una rigogliosa vegetazione ma anche da un recinto di protezione. "Abbiamo accettato perché ce l'ha chiesto il presidente che ci ha voluto aiutare sinceramente" ha spiegato Jelka. E lì, a Roje - nonostante la protesta dei vicini - gli Strojan rimmarranno uniti fino ad aprile, stando a quanto riferisce il ministro incaricato del problema Janez Podobnik.
In primavera dovrebbe essere trovata una sistemazione stabile e alternativa ad Ambrus, compito tutt'altro che facile considerate le reazioni violente della popolazione interessata ad ogni annuncio o sospetto di trasferimento e di arrivo della famiglia rom.
Drnovšek è tornato poi a trovarli e con lui il sindaco di Lubiana Zoran Janković, l'unico tra i sindaci sloveni che ha offerto la disponibilità del proprio comune per l'accoglienza degli Strojan. Secondo Janković i bambini Strojan in età scolare dovrebbero essere inclusi al più presto nella locale scuola elementare, ma il governo ha già predisposto delle "lezioni a domicilio" in modo da evitare questa eventualità.
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