Boris Pahor, noto scrittore della minoranza slovena di Trieste, si schiera pubblicamente contro l'elezione a Pirano di Peter Bossman, il primo sindaco di colore della Slovenia. Una presa posizione che gli è valsa l'accusa di razzismo
La Slovenia fonda la sua invenzione della tradizione sui libri. La nazione non è stata, infatti, creata sulle memorie di grandi battaglie e sulle gesta di coraggiosi condottieri, ma piuttosto sulle opere letterarie e sulla cura della lingua. Proprio per questo gli scrittori si considerano dei veri e propri custodi della nazione.
Negli anni Ottanta proprio essi giocarono un ruolo tutt’altro che marginale nel processo che portò all’indipendenza del paese. All’epoca, sulla scia del ragionamento kunderiano sulla dolce morte della Mitteleuropa, si cominciò a riflettere sulle “tristi” sorti del popolo sloveno nella federazione jugoslava e sui “pericoli” che avrebbero potuto portare alla sua estinzione. A chi li accusava di essere dei nazionalisti essi replicavano di essere, invece, solo dei patrioti.
In ogni modo l’ossessione per mantenere alto il grado di “coscienza nazionale” nella popolazione è un pensiero costante in una fetta tutt’altro che marginale degli intellettuali sloveni. L’idea che questa non sia sufficiente è sempre presente. Del resto gli sloveni sembrano non aver ancora superato del tutto il trauma del referendum carinziano.
Dopo la Prima guerra mondiale, infatti, la popolazione carinziana, in maggioranza slovena, chiamata a scegliere tra le incognite del nuovo Regno dei Serbi Croati e Sloveni e le certezze che offriva l’Austria, decise di rimanere fedele a Vienna.
Boris Pahor “custode della nazione”
Nella tradizione dello “scrittore come custode della nazione” si inserisce pienamente il triestino Boris Pahor, noto per il suo romanzo Necropoli, dove descrive la tragedia dei prigionieri politici nei campi di concentramento nazisti. Negli ultimi anni qualcuno ha persino ipotizzato che per la sua opera letteraria potesse addirittura aspirare al premio Nobel. Ad ogni modo nel corso della sua lunga carriera di uomo impegnato nella tutela della slovenità in patria ed all’estero ha sempre perorato la causa di un’identità pura, lontana da possibili ibridazioni e contaminazioni esterne.
Non stupisce quindi la sua recente presa di posizione sul sindaco di Pirano, Peter Bossman. Pahor, infatti, riflettendo in occasione del ventesimo anniversario del plebiscito che portò all’indipendenza del paese, ha rilevato senza mezzi termini che l’elezione di un sindaco di colore non era “una cosa buona” per la Slovenia.
Precisando il suo pensiero ha poi aggiunto: “Abbiamo dato tanto per quel pezzo di terra e adesso abbiamo un sindaco nero. Dio mio, dov’è in tutto ciò la coscienza nazionale? Se hanno già eletto un non sloveno avrebbero dovuto votare un membro della comunità italiana che vive lì. Far diventare uno straniero sindaco è un cattivo segno”.
Va detto, a scanso di equivoci, che Bossman vive da più di trent’anni a Pirano, che è cittadino sloveno e che ha più volte dichiarato di sentirsi sloveno per scelta. Comunque per Pahor sarebbe stato addirittura meglio un italiano della zona piuttosto che un immigrato vero e proprio e dire che solo poche righe prima lo scrittore della minoranza slovena di Trieste, puntando il dito sui nemici della Slovenia, Austria e Italia, aveva accusato quest’ultima di voler italianizzare l’Istria.
Le parole di Pahor non sono quelle di un illustre sconosciuto. In Slovenia oggi è diventato un vera e propria icona, un simbolo per qualcuno, che è in grado di unire la nazione. Per anni era stato poco considerato e persino ostracizzato. Negli anni Settanta gli venne addirittura vietato di mettere piede nell’allora Jugoslavia. Aveva osato dar voce allo scrittore sloveno Edvard Kocbek, storico esponete cattolico della resistenza, che ebbe l’ardire di parlare apertamente del massacro dei collaborazionisti sloveni perpetrato a guerra finita dalle truppe di Tito.
In questi anni Pahor ha preso, in Slovenia, una serie di posizioni scomode, su cui nessuno ha mai osato dire nulla. Il vecchio sloveno di Trieste era preoccupatissimo che il Carso fosse “a disposizione degli italiani”. A suo avviso sarebbe stato addirittura necessario limitare le possibilità dei sindaci locali di vendere “terra slovena” agli italiani. Altrimenti si sarebbero potuti aprire apocalittici scenari, come quello dell’apertura “tra vent’anni di un asilo italiano a Postumia”.
Pahor, poi, non ha lesinato critiche contro l’accordo di arbitrato per la soluzione della vertenza confinaria tra Slovena e Croazia ed ha rispolverato persino tesi irredentiste secondo cui la penisola di Salvore dovrebbe appartenere alla Slovenia, in quanto parte storica del vecchio comune di Pirano.
Le accuse di razzismo
Negli ultimi tempi le sue apparizioni pubbliche in Slovenia sono state sempre più frequenti e le sue prese di posizione sempre più nette. Le affermazioni sul sindaco di Pirano sono state però la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non sono mancate così una serie di reazioni. Alcuni hanno persino dato al vecchio scrittore apertamente del razzista. D’altra parte però Pahor ha detto quello che in molti pensano e sino ad oggi non hanno mai avuto il coraggio di dire.
Le polemiche che si sono scatenate non hanno impedito ai lettori del Delo, il più prestigioso quotidiano sloveno, di insignirlo del titolo di uomo dell’anno. Alla cerimonia di conferimento del premio, Boris Pahor non si è tirato indietro ed ha ancor meglio precisato il suo pensiero sull’elezione del sindaco nero di Pirano: “Si tratta di una decisione che è democratica, ma che a mio avviso dimostra la carenza di coscienza identitaria. Qualcuno può dire che mi sbaglio, io non ce l’ho con il dottor Bossman perché é nero, ho espressamente precisato che il colore della pelle non c’entra. La questione resterebbe identica anche se fosse fiammingo”. In un comunicato stampa diffuso nei giorni scorsi ha anche aggiunto “che nella elezione del signor sindaco dott. Bossman ha avuto il ruolo più importante l’ideologia internazionalista jugoslava che nella problematica della comunità slovena ci è costata cara”.
Insomma Pahor ci tiene a precisare di non essere razzista, ma solo di aver paura degli stranieri, tesi queste che potrebbero essere facilmente definite xenofobe. Quello che ne esce comunque è un’immagine molto diversa da quella che Pahor, diventato icona anche tra gli intellettuali italiani di Trieste, ha continuato ad offrire di sé nelle sue apparizioni in Italia, dove probabilmente secondo lo scrittore triestino basta dire di essere amici di Magris per dimostrare di non essere razzisti.
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