Dopo mesi di tentativi per conciliare le posizioni di Slovenia e Croazia sulla annosa questione di confine, Bruxelles si tira fuori dalla diatriba. Lubiana e Zagabria si prendono una pausa di riflessione, le schermaglie potrebbero ripartire a fine estate
"Adesso arrangiatevi!" E' questo il messaggio che Bruxelles manda a Slovenia e Croazia. La mediazione è praticamente conclusa, l'Unione europea ha fatto il possibile e adesso sembra essere ben contenta di lavarsene le mani. Il commissario per l'allargamento Olli Rehn ha a lungo provato a mettere d'accordo i due stati balcanici, ma alla fine ha dovuto alzare bandiera bianca. Usando termini calcistici ha spiegato che oramai sono finiti anche i tempi "supplementari" e che è giunta l'ora che i due paesi si parlino per trovare una soluzione.
Il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, è stato ancora più esplicito. Illustrando le linee guida del semestre di presidenza del suo paese, che scatterà il 1° luglio, ha detto esplicitamente che non ci saranno in programma nuove iniziative, poi ha precisato che si tratta di una questione bilaterale. Se avranno qualcosa da dirci, ha aggiunto, li ascolteremo.
La rottura definitiva si è consumata la scorsa settimana. Rehn aveva presentato una versione emendata della sua proposta sulle modalità dell'arbitrato. Lubiana pareva soddisfatta, mentre Zagabria l'ha respinta. Gli sloveni hanno subito accusato i croati di aver abbandonato il tavolo della trattativa, mentre Zagabria ha riversato la colpa su Lubiana che aveva praticamente bocciato - chiedendo una serie di integrazioni - la proposta presentata a maggio dal commissario all'allargamento.
Nel dicembre scorso la Slovenia aveva posto il veto alla prosecuzione delle trattative di adesione della Croazia all'Unione europea. I documenti che Zagabria aveva presentato a Bruxelles - diceva Lubiana - rischiavano di pregiudicare la soluzione del contenzioso confinario. Slovenia e Croazia, dopo la proclamazione dell'indipendenza, non sono, infatti, ancora riuscite a tracciare esattamente la frontiera. Si tratta, comunque, di questioni marginali: qualche ettaro di terreno e una ventina di chilometri di confine marittimo. I politici, però, in tutti questi anni più che risolvere il problema lo hanno usato a fini interni fomentando il nazionalismo e tirando in ballo la necessità di difendere il "sacro suolo della patria".
Alcune settimane fa il filosofo Slavoj Žižek - una delle poche figure intellettuali slovene di chiara fama internazionale - aveva commentato la vicenda spiegando che ci si trova di fronte "ad un totale collasso delle élite politiche: al posto di trattare discretamente la questione - che è comunque di natura simbolica, visto che si tratta di pezzettini di territorio ridicolmente piccoli - si è andati ad una polarizzazione politico-patetica, dove gli argomenti sono zittiti dal rombo delle passioni."
Di fronte al blocco imposto dalla Slovenia, l'Unione europea ha tentato - suo malgrado - di mediare, ma prima i francesi e poi Rehn non sono riusciti a trovare il bandolo della matassa. Del resto era alquanto difficile visto che né Lubiana né Zagabria parevano intenzionate a fare realmente qualche passo indietro.
L'Unione europea non stava cercando di tracciare il confine, ma soltanto di definire le modalità con cui risolvere il contenzioso. I croati volevano che il tutto fosse demandato ad una corte internazionale, mentre per gli sloveni si sarebbero dovute tenere in considerazioni anche ragioni "storiche". Il principale nodo da sciogliere resta, comunque, il tracciato della frontiera marittima. Gli sloveni vorrebbero che le loro acque territoriali confinassero con quelle internazionali. Per arrivare ad una simile soluzione più che sul diritto internazionale ci si dovrebbe affidare alla "creatività".
Intanto, come ha fatto capire la presidenza svedese, a perdere sono sia la Slovenia sia la Croazia. Zagabria senza l'avvallo sloveno resterà alle porte dell'Unione europea, non chiuderà - come previsto - la sua trattativa entro la fine dell'anno e per lei slitterà l'entrata nella comunità. La Croazia, d'altro canto, non sembra aver fretta; gioisce per il rafforzamento del Partito popolare alle elezioni europee e probabilmente conta sul fatto che nell'Unione, dopo aver aperto le porte a due paesi ortodossi - Bulgaria e Romania - più di qualcuno vorrebbe veder entrare un paese cattolico.
Lubiana, invece, starebbe perdendo la credibilità. "Una moneta", hanno precisato fonti della presidenza svedese,"con cui si opera all'interno dell'Unione europea". In Slovenia ci si premura di precisare che non è così e che nessuno a Bruxelles si è sognato di tirare le orecchie alla Slovenia, intanto però si continua a speculare stizziti sulle capacità di lobbying che hanno i croati.
Appare comunque chiaro che la presidenza svedese più che di occuparsi dell'ennesima baruffa balcanica è intenzionata a concentrarsi sull'ingresso nell'Unione dell'Islanda. Il paese, che dovrebbe presentare richiesta formale ai primi di luglio, sembra avere tutte le carte in regola per procedere speditamente verso l'adesione. Un allargamento ad occidente, proiettato verso l'Atlantico e le regioni artiche, che nulla avrebbe a che fare con il controverso processo di espansione ad est.
In Slovenia, intanto, il premier Pahor ha tentato di riunire i partiti parlamentari per parlare del contenzioso. All'appuntamento non si è presentato il leader democratico Janez Janša, che Pahor oramai vorrebbe come stampella per ogni sua decisione importante. Il capo dell'opposizione era, infatti, troppo indispettito per un mandato di comparizione che gli era stato consegnato dalla polizia. Si starebbe indagando su di lui perché avrebbe rivelato i contenuti di un documento riservato. Si tratterebbe delle dichiarazioni fatte nel corso di un vertice proprio sui rapporti con la Croazia dalla presidente della Democrazia liberale, Katarina Kresal. Anche senza di lui i partiti hanno espresso il desiderio che le trattative continuino sotto l'egida dell'Unione europea.
Il premier sloveno, comunque, si è detto pronto ad intavolare anche negoziati bilaterali, ma ha tirato in ballo l'accordo raggiunto nel 2001 tra il premier sloveno Drnovšek e quello croato Račan. L'intesa, però, era stata immediatamente respinta da Zagabria e pare alquanto improbabile che ora possa accettare di ripartire da lì.
La Croazia intanto, da giorni, va proponendo una dichiarazione congiunta dei due parlamenti in cui si specifichi che nessun documento approvato dai due paesi dopo il 1991 possa pregiudicare il confine. In tal modo verrebbero meno le ragioni del blocco sloveno al processo negoziale. Per il momento Lubiana non si è espressa sull'argomento, ma Pahor ha specificato di non poter garantire che il parlamento sloveno ratifichi il protocollo di adesione della Croazia all'Unione europea senza che prima sia risolta la vertenza sul confine. Poi non ha mancato di tirare in ballo lo spauracchio del referendum popolare sull'allargamento a Zagabria.
Ad ogni modo la questione per il momento sembra chiusa e tutti paiono intenzionati a prendersi una pausa di riflessione sino alla fine dell'estate. La diatriba potrebbe ripartire - probabilmente con la stessa virulenza - a settembre. Adesso, come ogni anno gli sloveni prenderanno d'assalto le località turistiche croate. Ovviamente se ci sarà qualche scazzottata a sfondo politico tra sloveni e croati ubriachi la responsabilità sarà di quei politici che in tutti questi anni non hanno fatto che gettare benzina sul fuoco.
Sul piano interno rimangono da registrare le dimissioni di Aurelio Juri dal Partito socialdemocratico. Era stato uno dei suoi politici più importanti, uno di quelli che aveva tirato la carretta quando il partito sembrava essere in crisi. Ex sindaco di Capodistria, ex deputato, ex europarlamentare ed ex vicepresidente del partito, aveva scelto di non ricandidarsi, probabilmente prima di venir fatto fuori. Da tempo era in netto disaccordo proprio sulla politica del governo nei confronti della Croazia ed aveva aspramente criticato il blocco imposto dalla Slovenia a Zagabria. Ora ha capito che per lui non c'è più posto nella politica slovena.
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