In Slovenia la crisi si fa sentire. Licenziamenti e tassi di crescita al ribasso. Il governo nelle scorse settimane ha fatto approvare una revisione di bilancio. Contrariamente al passato la finanziaria non è in pareggio, ma in deficit, seppur contenuto
La crisi ha investito la Slovenia con qualche mese di ritardo, ma si sapeva che sarebbe arrivata. Ogni giorno cresce il numero delle persone che perdono il lavoro. Ad oggi la disoccupazione è salita quasi al 9%. 80.000 persone hanno già bussato alle porte dell'ufficio di collocamento, ma la cifra entro la fine dell'anno dovrebbe arrivare a 100.000. Nei telegiornali si raccontano quotidianamente le storie di dipendenti che attendono da mesi di ricevere lo stipendio.
L'ipotesi per il 2009 è quella di un calo del 4% del Pil. Sarà la prima volta che succede dall'indipendenza. Sino ad oggi il paese aveva costantemente fatto segnare tassi di crescita e della Slovenia, sino ad oggi, si parlava come della "storia di un successo". Il 2008 si è chiuso con un +3,5%, la previsione comunque era di un incremento del 4,1%.
Quella slovena è un'economia di tipo aperto, direttamente connessa con le sorti dei suoi principali partner commerciali, cioè di Francia, Germania, Austria ed Italia. I trend per questi paesi sono tutt'altro che rosei e non sono quindi per nulla ottimistici nemmeno per Lubiana. Il 70% del Pil sloveno, infatti, è realizzato grazie alle esportazioni. Il calo previsto per quest'anno è dell'8,6%. Molte imprese sono, oramai, diventate aziende dell'indotto di grandi multinazionali. Si produce, ad esempio, molta componentistica per le automobili e la crisi del settore, quindi, arriva diritta anche qui.
Secondo Boris Peric, della società finanziaria KB 1909 di Gorizia, la Slovenia è in maggiori difficoltà rispetto all'Italia per tre ragioni: ha un piccolo sistema finanziario (le sue banche hanno capitali limitati), ha aziende relativamente grandi - che devono fare i conti con il loro indebitamento- ed ha una forte dipendenza dall'export.
Per il momento, si è cercato di correre ai ripari con una serie di interventi più che altro di carattere finanziario. L'esecutivo ha, così, fornito garanzie statali per 12 miliardi di euro alle banche ed adesso sta cercando di far rilanciare il credito alle imprese. Per far fronte al calo degli ordini si è deciso di sovvenzionare la settimana lavorativa corta. Ciò consente di diminuire la produzione, ma di mantenere circa 5000 posti di lavoro. Ora si sta pensando di introdurre anche la cassa integrazione. Provvedimento, questo, che vede il plauso sia delle aziende sia dei sindacati. Per il premier Pahor, però, l'obiettivo finale non è solo conservare i posti di lavoro, ma bisogna ristrutturare l'economia.
Il governo ha annunciato un nuovo pacchetto di interventi e nelle scorse settimane ha fatto approvare in parlamento una revisione di bilancio. Contrariamente al passato la finanziaria non è in pareggio, ma il deficit resta contenuto nei limiti del 3% del Pil.
Proprio mentre si stava discutendo il documento in aula, però, sono state rese note le previsioni per quest'anno e sono molto meno ottimistiche di quelle ipotizzate dall'esecutivo. Lo stesso Pahor in parlamento ha annunciato che si potrebbe nuovamente mettere mano alla finanziaria.
Per arrivare a questa prima revisione aveva anche raggiunto un accordo con gli statali, che congelava, in parte, gli aumenti salariali previsti per quest'anno. Ora si vorrebbe, però, ridiscutere il contratto di categoria, firmato pochi mesi fa. L'ipotesi è addirittura quella di una riduzione dello stipendio del 10%, poi si vorrebbe metter mano al sistema sanitario ed a quello previdenziale. L'ipotesi è quella di un innalzamento dell'età pensionabile.
I sindacati hanno già annunciato battaglia. Il segretario della principale sigla sindacale del paese, Dušan Semolič, ha commentato laconicamente che si sta giocando con la pazienza dei lavoratori. Pahor, se deciderà di tirare troppo la cinghia, quindi potrebbe trovarsi alle prese con una serie di scioperi.
Per ora, comunque, non è previsto nessun grande piano straordinario di investimenti o la realizzazione di costose infrastrutture. Gli imprenditori vorrebbero sovvenzioni per rilanciare ad esempio il mercato dell'auto o quello degli elettrodomestici. Si vorrebbe anche un piano casa. Il mercato immobiliare, che per lunghi anni ha tirato, ora sembra fermo ed i costruttori vedrebbero con molto favore un intervento dello stato. Si tratterebbe di acquistare gli appartamenti invenduti, ma anche di rilanciare le commesse. Molte imprese rischiano così di non lavorare e molti operai impiegati nel settore edile rischiano di perdere l'impiego. D'altra parte molti giovani fanno fatica a trovare una casa.
Intanto il mondo economico e quello politico sloveno stanno facendo i conti anche con quello che è stato il modello di privatizzazione in Slovenia. Subito dopo l'indipendenza si è scelto di non svendere le aziende agli stranieri. Quella di non vedersi dei forestieri fare da padroni in casa propria è un po' una delle ossessioni della classe politica a Lubiana. L'obiettivo era quello di costituire un'imprenditoria nazionale. Si trattava quindi di creare dei locali "maghi" della finanza e soprattutto di consentire a molti manager di diventare padroni delle aziende che stavano dirigendo. In sintesi si trattava di far arricchire qualcuno.
Il tutto è avvenuto anche grazie ai generosi crediti che le banche erano disposte a concedere piuttosto spavaldamente. La prassi è proseguita sino ad oggi ed adesso, anche a causa della crisi finanziaria e del crollo delle azioni in borsa, alcune grosse imprese rischiano di fallire.
La società Istrabenz di Capodistria è stata per anni il fiore all'occhiello dell'economia della regione. Attualmente impiega quasi 5000 persone. Nel 2002 alla guida del gruppo venne messo Igor Bavčar. Era stato uno degli uomini chiave della democratizzazione in Slovenia, ex ministro degli Interni del primo governo sloveno, per lunghi anni deputato, poi ministro per questioni europee, nonché uomo di punta della Democrazia liberale.
Bavčar, che dai salotti della politica si trasferì a quelli del mondo della finanzia, mise in atto una serie di operazioni finanziarie, si liberò dell'attività storica del gruppo vendendo le pompe di benzina, poi lanciò l'Istrabenz nel turismo e tentò di farle acquisire la maggiore compagnia petrolifera slovena, la Pertrol. Mentre faceva tutto questo tentò la sua personale scalata all'Istrabenz, cercando di accapparrarsi un buon numero di azioni. Per lui tutto sembrava andare a gonfie vele, poi il tonfo con il crollo del mercato azionario. I debiti accumulati dall'Istrabenz e dalle sue società adesso sfiorano il miliardo di euro ed il futuro dell'azienda sembra incerto.
Non è il solo caso, anche se sembra quello più eclatante. I politici giurano che è ora di farla finita con le scalate dei manager alle aziende, ma i veri e propri responsabili sono loro, visto che tutto ciò è avvenuto con la connivenza delle banche (anche quelle controllate dallo stato), ma soprattutto degli stessi politici che da una parte hanno favorito l'operazione e dall'altra si son ben guardati dal varare leggi che potessero mettere freno a questo processo.
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