"Recessione", graffito per le strade di Lubiana (flickr/SasaSi)

Dal governo Janša a quello di Alenka Bratušek, dall'essere paragonati a Cipro alla convinzione di riuscire a farcela da soli. Dove è finita la Slovenia paese modello? Affondato nella corruzione, direbbero i suoi cittadini

09/01/2014 -  Stefano Lusa Capodistria

La Slovenia è in crisi. A poco più di vent’anni dal ritorno della democrazia il sistema è messo in discussione come era accaduto solo ai tempi del crollo del socialismo. Nell’opinione pubblica aleggia ormai la convinzione che il paese sia retto da una classe di privilegiati che pensa solo ai propri interessi. L’idea è quella che si vive in uno stato iper-corrotto. Ad alimentare queste convinzioni i mass media, che continuano a denunciare scandali veri o presunti, e la potente Commissione anticorruzione.

Nel gennaio scorso la Commissione pubblicò un rapporto in cui si puntava il dito sull’allora capo del governo Janez Janša e sul leader dell’opposizione Zoran Janković. Quel documento fu fatale per l’esecutivo. La pubblicazione avvenne, praticamente, all’indomani di una difficile intesa tra il governo e le parti sociali su una serie di dolorose riforme, proprio in un momento dove sembrava poter esserci un po’ di tranquillità nell’arena politica.

La sconosciuta

Quelli che seguirono furono mesi concitati. La maggioranza di centrodestra si sfaldò lentamente, all’ombra di intricate trattative per togliere di mezzo anche l’ingombrante leader dell’allora opposizione Zoran Janković. La sua uscita di scena consentì la formazione di una nuova maggioranza di centrosinistra, guidata da Alenka Bratušek, una sconosciuta burocrate arrivata in parlamento grazie a Janković stesso.

La Bratušek seppe abilmente raccogliere i cocci del precedente governo e trovare una precaria intesa che sembrava retta più dalla paura di andare nuovamente alle urne che su un serio programma di lavoro.

A crearle i problemi politici più seri, in questi mesi di governo, non stati i suoi riottosi alleati di governo o l’agguerrita opposizione, ma lo stesso Zoran Janković, che non sembra ancora voler rinunciare a giocare un ruolo di primo piano a livello nazionale.

Tutto cambia, niente cambia

La politica dell’esecutivo di centrosinistra, rispetto a quella del precedente governo non è sembrata cambiare molto, ma il solo fatto che Janez Janša sia uscito di scena ha fatto scemare, come per incanto, l’ondata di proteste di piazza che si erano registrate in tutto il paese. E' opinione di molti che la Bratušek abbia continuato la politica di Janša senza Janša, anche se, ad onor del vero, i suoi spazi di manovra erano subito apparsi molto limitati.

La crisi aveva infatti colpito duro la Slovenia: il paese era in recessione, il deficit di bilancio cresceva, la disoccupazione aumentava, le aziende continuavano a fallire e le banche dovevano far fronte a enormi perdite. La soluzione imposta era quella di diminuire la spesa e cercare di aumentare le entrate. Alenka Bratušek, così, ha subito puntato sul rigore e sulle privatizzazioni. La differenza probabilmente è che Janša avrebbe agito di più alla voce tagli di spesa, mentre la Bratušek, ha cercato di far quadrare i conti aumentando le tasse. La più discussa resta quella sulle proprietà immobiliari.

Ad ogni modo il paese è rimasto per mesi con il fiato sospeso e solo a fine anno ha potuto tirare un sospiro di sollievo.

Salvare le banche

La priorità era salvare le banche per rilanciare poi l’economia. Bruxelles però per dare luce verde al piano di aiuti ha voluto prima vederci chiaro, chiedendo che si chiarisse quale era la portata dei crediti tossici, che gli istituti finanziari avevano concesso alle aziende in crisi.

Dal risultato sarebbe stato chiaro se il paese avrebbe potuto farcela da solo o se sarebbe dovuto ricorrere ad aiuti esterni, com’era accaduto per la Grecia o per Cipro.

Alla fine dopo un lungo tira e molla è andata meno peggio di quanto ci si poteva aspettare. Il buco delle banche slovene è stato stimato attorno ai 4,8 miliardi di euro e Lubiana dovrebbe riuscire a racimolare autonomamente la cifra necessaria a colmarlo. La risposta dei mercati è stata immediata: il tasso d’interesse sui bond decennali sloveni, che all’apice della crisi aveva sfiorato il 7% è subito ritornato sotto il 5%. Lo spettro della trojka e del commissariamento europeo così, per ora, è sembrato allontanarsi.

Dall'anticorruzione alla politica?

All’indomani della buona notizia la scena politica è stata nuovamente movimentata da una clamorosa azione della Commissione anticorruzione. I suoi vertici hanno rassegnato le dimissioni in segno di protesta contro l’intera classe politica che non starebbe facendo abbastanza nella lotta alla corruzione.

Non è stata che l’ennesima bordata contro un'élite politica in deficit di credibilità. Qualcuno è arrivato addirittura ad ipotizzare che i popolari membri della commissione potrebbero lanciarsi nell’arena politica per catalizzare intorno alle loro figure il diffuso malcontento che regna nel paese.

Le dimissioni dei membri di un organismo, che nell’opinione pubblica appariva credibile e potente, non ha fatto altro che rafforzare nella società la convinzione che la corruzione in Slovenia sia una vera e propria emergenza. A tutto ciò vanno aggiunti una serie di scandali che hanno coinvolto la sanità ed in genere la gestione degli appalti pubblici.

Gli inquirenti intanto, lentamente, continuano a indagare sulle operazioni finanziarie legate alla gestione del comune di Lubiana, guidato da Zoran Janković, mentre il leader incontrastato del centrodestra Janez Janša è stato condannato in primo grado per le tangenti legate alla fornitura dei blindati finlandesi Patria all’esercito sloveno. Lui continua a proclamarsi innocente e secondo qualcuno quella sentenza sarebbe un obbrobrio giuridico perché non sarebbe basata su prove oggettive, ma sul presupposto che “non poteva non sapere”. Intanto su di lui pende un'altra denuncia legata ad alcune transazioni immobiliari che avrebbero aumentato il suo patrimonio.

Problemi con la giustizia

Sta di fatto che in questi ultimi mesi molti nomi eccellenti del panorama politico, e soprattutto economico, del paese hanno seri guai con la giustizia. Alcuni uomini d’affari, considerati fino a ieri maghi della finanza, sono addirittura già finiti in carcere. Altri, come Igor Bavčar, il potente ministro degli Interni all’epoca dell’indipendenza, poi passato agli affari, sono stati condannati in primo grado e adesso attendono l’appello.

In un paese non abituato alle differenze sociali e che mal tollera chi ha fatto fortuna si guarda con una certa soddisfazione alla caduta nella polvere dei potenti. Il diffuso senso di fastidio contro la classe dirigente sembra tradursi anche in un generale disincanto e nella convinzione che anche la democrazia rappresentativa, come la gestione pubblica della proprietà, genererebbe corruzione e clientelismi. La prima è stata il simbolo della Slovenia democratica le seconda di quella socialista.

Il paese, così, dopo essere “la storia di un successo”, approdando con relativa facilità nell’Unione europea e nell’area Euro, oggi sembra alle prese con una spasmodica ricerca di una nuova sintesi per il futuro.


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