Nell'autunno scorso, dopo anni di contrasti, Slovenia e Croazia erano riuscite a trovare un accordo per definire le loro diatribe di confine. Quell'accordo, già approvato dal parlamento croato, ora dovrà però passare al vaglio di un referendum popolare in Slovenia

07/05/2010 -  Stefano Lusa Capodistria

Il prossimo 6 giugno gli elettori sloveni saranno chiamati alle urne per il referendum sull’Accordo di arbitrato con la Croazia. La decisione è stata presa a larghissima maggioranza dal parlamento sloveno lunedì scorso ed ha trovato concordi tutte le forze politiche del paese.

La richiesta di indire il referendum è stata presentata da 86 parlamentari su 90. Mancavano le firme del deputato della minoranza italiana Roberto Battelli, di Franco Juri di Zares, del demo liberale Tone Andrlič e di Srečko Prijatelj del Partito nazionale. Quest'ultimo non ha potuto farlo visto che si trova ancora in stato di fermo nelle patrie galere. Gli altri tre invece hanno addotto serie ragioni politiche. A loro avviso sarebbe stato il parlamento a dover prendersi la briga della decisione e, comunque, tutti e tre pensano che questa intesa sarebbe l'unica possibile per risolvere i problemi confinari ancora aperti tra Slovenia e Croazia.

Invece saranno i cittadini a dover dire l’ultima parola su un documento che continua a far discutere il paese e che soprattutto è diventato terreno di scontro tra maggioranza ed opposizione. Si potrebbe anche dire che tutto sommato è un bel modo di lavarsene le mani per la classe politica e scaricare le responsabilità di una decisione “rischiosa”.

Sono oramai 19 anni che Slovenia e Croazia si stanno accapigliando per la definizione della frontiera. Si tratta di stabilire l’andamento del confine per qualche chilometro quadrato di terra ferma e nel piccolo Golfo di Pirano. La questione è stata periodicamente tirata in ballo in questi anni dall’una o dall’altra parte e ha sempre inasprito l’animosità tra i due paesi.

A far salire di tono lo scontro, però, ci ha pensato il governo Pahor. Nel dicembre del 2008, appena insediato, Pahor ha imposto il blocco della trattativa d’adesione della Croazia all’Unione europea. Per farla ripartire si chiedeva la soluzione definitiva della questione confinaria.

Lubiana era convinta di poter contare sulla solidarietà degli altri membri dell’Unione, ma non è stato così. La cosa non ha mancato di destare qualche perplessità in Slovenia, ma i più attenti analisti hanno subito notato che il blocco era stato imposto in maniera frettolosa, senza premurarsi di cercare alleati e soprattutto senza alcuna strategia d’uscita.

Per quasi un anno, così, Lubiana e Zagabria hanno lanciato proclami bellicosi, facendo a gara per dimostrare la loro fermezza nella tutela degli “interessi nazionali”. Nel novembre scorso, sotto l’egida dell’Unione europea e osservati attentamente dagli Stati uniti, i due stati hanno finalmente trovato una soluzione: la Slovenia avrebbe revocato immediatamente le proprie pregiudiziali in sede comunitaria, mentre la soluzione del contenzioso confinario sarebbe stata definita tramite un arbitrato.

L’accordo di Arbitrato è stato immediatamente ratificato dal parlamento croato, mentre in Slovenia si è subito capito che la procedura sarebbe stata più complessa. Il centrodestra, che fino a quel momento non aveva lesinato complimenti nei confronti di Pahor per la fermezza dimostrata nella trattativa, ha immediatamente gridato allo scandalo. Non ci sarebbero state, infatti, le sufficienti garanzie ottenga per ottenere uno sbocco diretto al mare aperto, ma per il governo non sarebbe così.

La maggioranza di centrosinistra ha cercato di correre ai ripari chiedendo alla Corte costituzionale di esprimersi sul documento e promettendo ai cittadini che prima della ratifica ci sarebbe stato un referendum consultivo.

I giudici ci hanno messo qualche mese per dare luce verde all’Accordo di arbitrato ed a quel punto la maggioranza ha deciso di procedere alla ratifica. Alla fine, con l’opposizione, si è concordato che si sarebbe fatto un referendum confermativo, altrimenti si rischiava di farne due uno consultivo prima della ratifica voluto dalla maggioranza e successivamente uno confermativo promosso dal centrodestra.

In ogni modo le polemiche in questi mesi non sono mancate. Quella più insistente è stata relativa alla maggioranza necessaria per ratificare il documento in parlamento. L’opposizione chiedeva fosse quella dei 2/3. Pahor testardamente non ha voluto accontentarli. Se lo avesse fatto avrebbe scaricato sui Democratici dell’ex premier Janez Janša la responsabilità dell’eventuale bocciatura del documento.

In Croazia, dove per la ratifica erano necessari i 2/3, l’opposizione socialdemocratica ha fatto fuoco e fiamme contro l’accordo, ma alla fine non ha avuto il coraggio di dire no. Con Janša , però, non era affatto scontato che sarebbe finita così. In ogni modo il leader dei democratici sloveni avrebbe almeno dovuto rendere conto del suo operato all’interno del Partito popolare europeo ed ai molti pezzi grossi dell’Unione che provengono da quell’area politica.

Adesso, così, si andrà ad un referendum dall’esito incerto, dove il governo e forse anche la Slovenia si gioca una buona fetta della sua credibilità internazionale. Gli ultimi sondaggi dicono che l’opinione pubblica è ancora favorevole all’arbitrato. Per l’intesa voterebbero il 46% degli interpellati, mentre il 38% è contrario. Il margine, a prima vista è rassicurante, ma non è così.

In Slovenia per i referendum non esiste quorum. Nelle precedenti tornate l’affluenza alle urne è stata bassa: nella maggioranza dei casi minore al 40% degli aventi diritto. In genere si è visto che in simili occasioni gli elettori di centrodestra si sono dimostrati molto più disciplinati ed agguerriti.

In un mese di campagna elettorale ad essere messo sulla graticola non sarà soltanto l’Accordo di arbitrato e le relazioni con la Croazia, ma l’opposizione cercherà sicuramente di trasformarlo in un vero e proprio referendum sull’operato del governo Pahor.

L’esecutivo di centrosinistra, del resto, non sta entusiasmando e agli occhi dell’opinione pubblica appare riottoso ed incapace di affrontare i problemi reali del paese. I sondaggi danno i partiti che lo compongono in drastico calo.

Il premier Borut Pahor, in ogni modo, ha precisato che la bocciatura dell’accordo di arbitrato sarebbe uno sbaglio madornale. La cosa, comunque, sarebbe probabilmente fatale almeno per lui. In caso di bocciatura, infatti, difficilmente potrebbe permettersi di rimanere al suo posto.

Contro l’accordo compatto è schierato tutto il centrodestra, che ha subito toccato le corde del patriottismo e degli interessi nazionali. A supportare queste tesi, oramai da tempo, ci sono un composito gruppo di organizzazioni patriottiche e nazionaliste a cui si va aggiungendo una multiforme schiera di esperti e grandi vecchi della politica e della nazione slovena. Tra di essi spicca la figura del novantasettenne scrittore triestino Boris Pahor, che senza mezzi termini ha dichiarato che gli sloveni dovrebbero votare contro l’arbitrato.


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