E' vecchio di quarant'anni, ma rimarrà com'è. Gli sloveni hanno scelto di bocciare al referendum tenutosi domenica scorsa la riforma del codice di famiglia. Il dibattito come prevedibile monopolizzato dalla questione del matrimonio LGBT. Un Paese che si ritrova tradizionalista nel modo di concepire la famiglia, liberale in quello di viverla

28/03/2012 -  Stefano Lusa Capodistria

Con un'affluenza al 30% gli elettori sloveni hanno respinto il nuovo codice di famiglia. Quasi il 55% percento i no contro il 45% di sì. Ora il parlamento per un anno non potrà legiferare in materia, dopodiché, probabilmente dovrà riprendere in mano la patata bollente per cambiare l’ormai obsoleta normativa di quasi quarant’anni fa.

La Slovenia ora si trova ad essere un po’ più tradizionalista, cattolica e rurale e un po’ meno liberale, laica e urbana. A vincere è stato il modello di famiglia classico, quello che la vede composta da madre, padre e figli. Per “salvare” questo modello, infatti, gli elettori sono stati invitati a votare no al referendum. In sintesi un Paese tradizionalista nel modo di concepire la famiglia, ma del resto molto liberale in quello di viverla, visto che molti figli nascono al di fuori dei modelli tradizionali di famiglia. Proprio a loro ed ai loro genitori il nuovo codice di famiglia voleva concedere maggiori diritti.

Non solo LGBT

La nuova legge, anche a detta di alcuni suoi detrattori, regolava in maniera esemplare tutta una serie di settori, anche se degli oltre 300 articoli poco si è discusso. L’attenzione, sin dalla sua presentazione, infatti, è stata focalizzata su quelle norme che parlavano dei diritti della comunità LGBT.

Nel 2009, il ministro degli Interni Katerina Kresal, dopo l’ennesimo episodio di omofobia, aveva annunciato che le coppie omosessuali sarebbero state equiparate in tutto e per tutto a quelle eterosessuali, poco dopo gli aveva fatto eco anche il ministro per il Lavoro e la famiglia Ivan Svetlik, che aveva iniziato a lavorare sul nuovo Codice di famiglia.

Così venne elaborato un testo che concedeva alla comunità LGBT il diritto al matrimonio e persino quello di adottare dei bambini. La proposta fece subito insorgere la chiesa, i partiti di centrodestra e la componente più tradizionalista della società. A loro avviso si sovvertiva l’ordine “naturale” delle cose e soprattutto si cancellava il concetto tradizionale di famiglia. La tesi era che i bambini avevano diritto ad avere una figura paterna ed una materna, perché solo questo tipo di famiglia poteva garantire un indisturbato sviluppo.

I sostenitori del provvedimento, invece, insistevano che il legislatore si era premurato di mettere al centro della nuova legge la tutela dei bambini. Essi dicevano che bisognava tener conto del fatto che una buona fetta di essi, in Slovenia vivevano in famiglie atipiche, che i diritti concessi alla comunità gay non cancellavano la famiglia tradizionale, che studi internazionali dimostravano che crescere in una famiglia omosessuale nulla toglieva allo sviluppo del bambino e non influiva per nulla sul suo orientamento sessuale.

Sta di fatto che sin da subito è partito un infuocato dibattito dalle tinte ideologiche e politiche che si è trasformato in una specie di guerra di religione tra conservatori e liberali. Poco quindi lo spazio alle pacate discussioni, al confronto delle idee ed al compromesso.

Iniziativa civica per la famiglia

Referendum in Slovenia visto da Franco Juri

Una chiassosa e bene organizzata “Iniziativa civica per la famiglia”, legata alla chiesa ed al centrodestra, aveva sin da subito fatto capire che avrebbe fatto di tutto per far bocciare la legge e che sarebbe ricorsa anche al referendum popolare. Che la legge concedesse troppo, del resto, lo pensavano, senza dirlo, anche molti nel centrosinistra. Era chiaro che la Slovenia non era pronta ad adottare soluzioni di tipo scandinavo o spagnolo e che la debole e riottosa coalizione di governo non sarebbe stata in grado di garantire i voti necessari per far passare il provvedimento.

Alla fine, così, la Kresal e Svetlik sono stati costretti a fare marcia indietro cancellando la parola matrimonio dalle unioni omosessuali e limitando l’adozione ai parenti biologici dei figli di uno dei due partner gay. Il provvedimento avrebbe almeno in parte consentito di lenire i molti problemi delle famiglie LGBT nella gestione della vita di ogni giorno.

La soluzione ritenuta di compromesso, non è piaciuta alla chiesa ed all’”Iniziativa civica per i diritti della famiglia” e così, l’atteggiamento nei confronti del nuovo codice di famiglia è rimasto di totale chiusura.

Sta di fatto le 40.000 firme necessarie per l’indizione del referendum sono state raccolte in un battibaleno. Un procedimento, questo, bloccato temporaneamente dalla richiesta della Camera di Stato di verifica sull’ammissibilità costituzionale del referendum. La tesi era che non sarebbe stato possibile indire una consultazione popolare che avrebbe avuto come oggetto i diritti di una minoranza. Alla fine però la Corte costituzionale ha dato la luce verde al voto e i cittadini com’era nelle previsioni hanno bocciato il codice di famiglia.

Ennesimo referendum vinto dal centrodestra

Soddisfatto il centrodestra, che si aggiudica l’ennesima consultazione popolare. E’ dal giugno del 2010, quando si votò sull’Accordo di arbitrato per il contenzioso confinario con la Croazia, che il centrosinistra continua a perdere. Quella del referendum è un’arma potentissima in mano al centrodestra che può contare su un elettorato fedele e disciplinato, in grado di fargli vincere praticamente tutte le consultazioni in assenza di un quorum per far considerare valida la consultazione.

Al centrosinistra a nulla è servito nemmeno il fatto che si votasse in concomitanza con le elezioni suppletive per la carica di sindaco a Lubiana. A vincere, anzi a stravincere, con oltre il 60% dei consensi, è stato il sindaco uscente Zoran Janković. Il leader di Slovenia positiva aveva perso automaticamente la poltrona di primo cittadino con la sua elezione in parlamento, visto che le cariche sono incompatibili e che i parlamentari non possono rinunciare al seggio per continuare a fare i sindaci. Si trattava quindi di trovare colui che avrebbe guidato la capitale per i prossimi due anni e mezzo sino alla scadenza del mandato.

Janković, fallito il proposito di formare un governo di centrosinistra, ha deciso di tornare a occupare la sua vecchia poltrona e così si è fatto rieleggere. Adesso bisognerà vedere che fine farà il suo partito e soprattutto capire se Janković sulla scena politica nazionale non sia stato che una meteora.


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