La Corte costituzionale slovena ha sentenziato che il divieto alle donne single o unite ad una altra donna di ricorrere all’inseminazione assistita va rimosso. In Slovenia resta però aperto lo scontro tra due visioni diverse della famiglia e della società
Uno degli ultimi baluardi nella difesa dei valori tradizionali in Slovenia sta per cadere. A farlo crollare i giudici della Corte costituzionale, che hanno sentenziato che il divieto alle donne single e di quelle unite ad un'altra donna di ricorrere all’inseminazione medicalmente assistita sia discriminatorio e vada rimosso.
Ora toccherà al parlamento fare la sua parte e la maggioranza di centrosinistra ha assicurato che provvederà in tempi brevissimi ad inoltrare in procedura parlamentare la legge che regolerà la questione.
Due anni fa sono stati gli stessi giudici a stabilire che il matrimonio tra persone dello stesso sesso va equiparato in tutto e per tutto con quello delle coppie eterosessuali, compresa la possibilità di adottare figli.
Una questione controversa
Dopo l’ultima sentenza dei giudici, la Conferenza episcopale slovena ha reagito precisando che “si sta facendo un altro passo verso la decostruzione della famiglia ideale come cardine della società”. La tesi è sempre la stessa ed è ripetuta come un mantra dai vescovi e dai partiti di centrodestra: la famiglia è composta da un uomo e una donna, l’unica unione che può generare naturalmente figli.
Quest’ultimi per crescere serenamente avrebbero bisogno di un padre e di una madre. In sintesi, l’accusa è che al centro della riflessione della società moderna non ci sarebbero gli interessi del bambino, ma l’egoismo e la ricerca della felicità degli adulti.
D’altra parte, si risponde che i bambini più che di un padre ed una madre hanno bisogno di affetto e di un ambiente familiare accogliente. Cosa che non sarebbe automaticamente assicurata dalla famiglia tradizionale, visto che anche in quel contesto non è garantita la serenità e, come raccontano le cronache, l’immunità da abusi e maltrattamenti nei confronti dei minori.
La società slovena è complessa e l’uno accanto all’altra convivono conservatorismo e modernità, che si scontrano dal tempo in cui a stare sulle barricate erano i clericali ed i liberali. Oggi, come in tutto il resto d’Europa, nel paese accanto alla famiglia tradizionale esistono tanti altri tipi di famiglia e tutti possono essere un luogo meraviglioso in cui crescere.
Le madri single non sono rare, un terzo dei matrimoni finisce con un divorzio; ci sono così molte famiglie allargate e naturalmente anche famiglie arcobaleno che non hanno più la necessità di nascondersi. A livello sociale, infatti, sembrano essere sempre più accettate.
In una recente indagine si rileva che il 45% delle persone avrebbe un atteggiamento positivo nei loro confronti, una percentuale che sale tra i più giovani, nelle aree urbane e tra gli elettori di centrosinistra; mentre quelli che le osteggiano si fermerebbero al 36%. Una percentuale che coincide più o meno con quella del nocciolo duro del centrodestra nazionale.
Una lunga battaglia
In ogni modo quella che si sta concludendo è una lunga battaglia per l’eguaglianza. Un diritto, quello delle donne single e delle coppie femminili di poter usare la scienza per procreare, che sembrava acquisito già 25 anni fa. Le cose, però, sono andate avanti più piano rispetto a quello che ci si poteva attendere.
In Slovenia gay e lesbiche hanno iniziato a far sentire la loro voce sin dagli anni Ottanta, quando in altre parti della Jugoslavia e dell’area socialista l’omosessualità veniva addirittura considerata un reato.
Nella Slovenia indipendente le richieste di regolare i diritti della comunità LGBT cominciarono ad emergere pubblicamente a partire dal 1995, quando venne consegnata al governo una petizione contro la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e venne chiesto di regolare il matrimonio per le persone dello stesso sesso.
Quando si cominciò a discutere seriamente della faccenda fu subito chiaro che sulle spalle dei diritti degli omosessuali si sarebbe ingaggiata una guerra senza esclusione di colpi. Le polveri si accesero nel 2001, quando il parlamento approvò la legge che consentiva alle donne single di accedere gratuitamente alla procreazione assistita.
In aula alcuni deputati diedero prova di rara omofobia. Sulla normativa approvata dal parlamento venne subito chiesto un referendum, dove, senza un quorum minimo di partecipazione, il centrodestra non ebbe difficoltà a chiamare a raccolta i propri adepti per far bocciare il provvedimento.
Nel 2005 fu il governo i centrodestra a far approvare una legge che regolava le unioni civili. Per gli attivisti non era altro che una norma che creava cittadini di serie A e di serie B. La questione si sarebbe dovuta risolvere nel 2011, quando il centrosinistra fece varare il nuovo codice di famiglia, dove i matrimoni vennero equiparati. Unica differenza quella che le coppie dello stesso sesso non potevano accedere alle adozioni.
Non servì a molto visto che la legge venne bocciata in un altro referendum al quale partecipò poco più del 30% degli aventi diritto. Un altro tentativo di equiparare i matrimoni venne bocciato da un altro referendum nel 2015. Alla fine a tagliare il nodo gordiano è stata la Corte costituzionale, che nel 2022 ha sentenziato che le norme che regolano il matrimonio e le adozioni sono discriminatorie per la comunità LGBT.
All’epoca venne rilevato che lo stesso si poteva dire anche per la questione della fecondazione assistita. Richieste ai giudici di pronunciarsi in materia erano state inviate già nel 2020 e dopo quella prima sentenza la decisione appariva scontata.
Adesso spetta al parlamento procedere con i cambiamenti legislativi necessari per metterla in atto. La maggioranza assicura che non ci saranno problemi e che faranno presto.
Se qualcuno si indigna, altri si affrettano a dire che le grandi battaglie per l’eguaglianza sono state vinte e che quello della fecondazione era l’ultimo baluardo della disparità presente nella legislazione.
Non tutto è risolto
Per le associazioni che si battono per i diritti della comunità LGBT, però, non tutto è ancora risolto. Il nodo riguarda ora la libera scelta del sesso per i transgender. Allo stato attuale per modificarlo all’anagrafe bisogna passare attraverso vere e proprie forche caudine. Non è impossibile, ma si tratta di ottenere un certificato da parte di una struttura specializzata che attesti la presenza di un “disturbo mentale”.
La questione potrebbe essere risolta o con un'apposita legge o con un atto amministrativo. In sintesi, se cambiare nome all’anagrafe in Slovenia è una cosa semplicissima, la faccenda diventa maledettamente complicata quando si vuol modificare l’indicazione del sesso sulla carta d’identità.
Una piccola questione, che riguarda un numero limitatissimo di casi, che rischia di trasformarsi nell’ennesimo scontro tra Guelfi e Ghibellini; in un periodo, però, dove la voglia di liberalismo e di dare diritti alle minoranze sembra sempre più effimera.
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