In Slovenia, come nel resto del mondo, il Covid-19 ha sconvolto le dinamiche dell’attivismo giovanile. Compreso quello ambientale, che alla vigilia della pandemia era in pieno fermento. Nonostante le piazze vietate, le facoltà chiuse e la crisi economica, gli ambientalisti hanno raggiunto una storica vittoria referendaria. Con un’altra conseguenza inattesa: mettere radici nel paese profondo, tradizionalmente estraneo alle mobilitazioni
L’acqua lambisce tranquilla i giardini e gli orti di Kostanjevica, la minuscola cittadina che sorge su un’isola del fiume Krka. Sul ponte, una signora di mezza età racconta a Nicoleta Nour e Jakob Stanić, giovani attivisti ambientali, della convivenza strettissima e insidiosa del suo borgo con il fiume: le uscite in barca, le piene sempre più insidiose e frequenti, fino ai progetti di messa in sicurezza che rischiano di riempire di cemento un paesaggio verdissimo e ricco di storia.
I ragazzi indossano cuffie e un registratore professionale. Stanno girando le contrade della Slovenia alla ricerca di luoghi e persone emblematiche del rapporto del paese con i suoi fiumi, con l’idea di realizzarci un podcast e sensibilizzare un maggior numero di persone sui temi ambientali.
Sembra assurdo, ma un progetto come questo è, in un certo senso, una conseguenza inaspettata del Covid-19.
Due anni di pandemia hanno sconvolto la vita dei giovani attivisti e degli studenti, limitandone fortemente la possibilità di azione tradizionale, nelle facoltà e nelle piazze.
Eppure, a differenza di tanti altri paesi, l’attivismo ambientale ha saputo, almeno in parte, reinventarsi e trovare altre strade fino a raggiungere risultati importanti, nonostante contraddizioni e difficoltà.
Due fulmini a ciel sereno
Alla vigilia dell’arrivo del virus, i movimenti ambientalisti e giovanili attraversavano un momento vivace. I Fridays for Future erano sbarcati da poco nel paese, coinvolgendo una fetta considerevole di giovanissimi. Allo Sciopero Globale per il clima del 20 settembre 2019 c’erano state quattordici manifestazioni in contemporanea in tutto il paese. A contribuire al successo delle iniziative erano stati gruppi esplicitamente giovanili e universitari come Mladi za podnebno pravičnost (Giovani per la giustizia climatica, nei fatti il ramo sloveno del movimento nato dagli scioperi di Greta Thunberg) e la vasta galassia delle ong legate a istanze locali o a temi specifici come la salvaguardia dei corsi d’acqua.
Quello della resistenza al boom incontrollato dell’idroelettrico è attualmente il movimento ambientalista più organizzato dei Balcani occidentali, di cui associazioni come la slovena Balkan River Defence sono parte integrante, capace di produrre iniziative spettacolari e spesso creative, in sinergia con una parte del mondo accademico sia sloveno che internazionale.
Poi è arrivato il Covid-19, e tra lockdown, divieti di assembramento, chiusura di scuole e università, le iniziative sono cessate di colpo. Non erano solo gli eventi pubblici a diventare impossibili, ma anche la capacità di tenere le istanze ambientali tra le attenzioni dell’opinione pubblica in un momento dominato da preoccupazioni e paure molto più urgenti.
Dal punto di vista degli attivisti inoltre il marzo 2020 aveva portato un’altra sciagura: l’ascesa al potere del leader di destra Janez Janša, un personaggio altamente polarizzante, accusato sin da subito di approfittare dell’emergenza per consolidare il proprio potere a discapito dei suoi avversari.
Le leggi anti ong e sull’acqua
Janša e il suo ministro dell’Ambiente Andrej Vizjak, in effetti, in piena pandemia avevano trovato il tempo di far approvare due norme controverse che colpivano direttamente il mondo dell’attivismo e degli ambientalisti.
La prima, del maggio 2020 e tuttora in vigore, aveva ufficialmente lo scopo di facilitare la ripresa economica, ma in realtà sembrava concepita appositamente per affossare le ong ambientali. Per partecipare al dibattito previsto dalla legge prima di costruire nuove opere potenzialmente impattanti, le associazioni avrebbero dovuto sottostare a criteri rigidissimi: almeno 50 membri attivi, tre impiegati a tempo pieno e un budget superiore ai 10mila euro.
In altre parole, veniva tagliata fuori quasi tutta la colonna portante dell’attivismo ambientale sloveno, fatto soprattutto di gruppi autonomi e piccole associazioni.
Un anno esatto dopo, nel pieno di una recrudescenza dell’epidemia che vedeva la Slovenia tra paesi più colpiti al mondo, il parlamento trovava il tempo per legiferare su una controversa modifica della legislazione sull’acqua, in vigore dal 2002. La norma, fortemente voluta dal ministro dell’Ambiente Andrej Vizjak, estendeva pericolosamente le tipologie di attività industriali concesse in prossimità dei corsi d’acqua e rendeva più facile costruire, anche sulle sponde di fiumi, laghi e sulla costa.
Da internet alle biciclette
Entrambe le norme scatenarono le proteste degli ambientalisti, le cui iniziative di contrattacco erano però fortemente limitate. Per fortuna, se così si può dire, l’ambiente non era l’unico tema a indignare una parte significativa degli sloveni.
Quando il governo fu accusato di aver interferito illegalmente sull’acquisto di mascherine e respiratori, a migliaia scelsero di scendere in strada. I manifestanti aggirarono il divieto di assembramento sfilando in bicicletta anziché a piedi. L’iniziativa ebbe successo e alla prima pedalata, il 2 maggio 2020, ne seguirono altre per molte settimane, il venerdì. I manifestanti contestavano tutta la gestione della pandemia da parte del governo, soprattutto per il controllo dei media, fatto più pressante dall’inizio dell’emergenza, e per le leggi contro le ong ambientali.
Gli altri fronti dei movimenti ambientali giovanili, intanto, si organizzavano per proseguire le loro attività online, compresi gli scioperi per il clima, in cui i partecipanti condividevano slogan di protesta sui social network. Da una parte, il numero di partecipanti diminuì inevitabilmente e così il loro coinvolgimento e la capacità di coinvolgere nuove persone. Dall’altra, però, proliferarono webinar, iniziative di studio e scambi anche internazionali che prima erano impensabili.
La vittoria al referendum
La mobilitazione contro le modifiche alla legge sull’acqua, a partire dalla primavera 2021, è stato il vero il salto di qualità per i movimenti ambientalisti. L’acqua è da sempre un tema molto sentito, a volte quasi identitario, nel paese che nel 2016 ha inserito la sua tutela nella costituzione. Nonostante la situazione difficile, furono subito in molti a ritenere inaccettabile la nuova norma.
L’approvazione inoltre con una procedura abbreviata, secondo molti al limite della legalità, fece il resto.
Le ong ambientaliste lanciarono la raccolta firme per un referendum abrogativo, appoggiate dai partiti dell’opposizione e da realtà normalmente lontane dall’attivismo, come gli scout e i pescatori. Endorsement alle ragioni degli ambientalisti arrivarono anche dalle università e, sia pure non esplicitamente, persino dal presidente della Repubblica Pahor.
Nonostante a maggio e giugno gran parte delle restrizioni fossero state allentate, le norme su assembramenti, comizi e raccolte in piazza delle firme erano ancora molto rigide.
Il governo peggiorò le cose quando, constatando che il numero di firme per indire la consultazione era stato raggiunto, scelse per la votazione una domenica di luglio, l’11, uno dei primi giorni di frontiere aperte in cui agli sloveni sarebbe stato possibile godersi di una giornata di vacanza.
In un paese dove negli ultimi anni l’astensionismo era alle stelle, raggiungere il quorum sembrava molto difficile. Invece fu superato abbondantemente e gli ambientalisti vinsero con una maggioranza schiacciante che segna tuttora la peggiore sconfitta per il governo Janša.
Tutti a casa
Dei circa 75mila studenti sloveni, oltre 40 mila vivono o studiano a Lubiana. Maribor ne ospita 15mila e il resto del paese si spartisce tutto il resto.
Con l’eccezione parziale dei Fridays for Future, che coinvolgendo gli studenti medi è più distribuito nel paese, praticamente tutto l’attivismo giovanile si concentra nella capitale: un grosso limite per chi mette ambiente e territorio al centro delle proprie azioni.
“Sei a Lubiana, ti senti un intellettuale, hai conoscenza, prospettive”, racconta Nicoleta dopo una giornata di registrazioni e interviste. “Tanta energia spesa nelle mobilitazioni. Alla fine, scrivi un documento sulla protezione dei fiumi, sulla giustizia climatica, e lo mandi al governo. E tutto finisce lì”.
Con le facoltà chiuse, però, migliaia di giovani ritornarono a casa, in centri abitati spesso piccoli o piccolissimi. Chi faceva il pendolare ricominciava a passare del tempo con i concittadini di ogni generazione, con persone di ogni tipo, scoprendo problemi e istanze molto più locali.
“A Lubiana non puoi sapere davvero cosa succede a Brežice o a Nova Gorica”, spiega Nicoleta, che nella vita studia microbiologia nella capitale. “Ma adesso abbiamo avuto la possibilità di capire veramente cosa sta succedendo su scala territoriale, a parlare e a discutere con i vicini di casa, gente normale, non più intellettuali o presunti tali”.
I due attivisti-autori sono convinti che questo ritorno a casa forzato ha convinto anche chi normalmente non ha in gran conto l’ambiente dell’importanza di farsi una camminata nella natura e di proteggerla. “Una fermentazione” che prima era presente soltanto nei grandi centri urbani e che potrebbe avere avuto un ruolo, anche se parziale, nella storica vittoria al referendum.
Autunno no-green pass
La gloriosa estate referendaria, tuttavia, ha lasciato il posto a un autunno dove l’unico tema in grado di riempire le piazze, con scontri annessi, sembra essere il green pass.
In un paese dove il governo è stato accusato fin da subito, e non con qualche ragione, di approfittare della pandemia per consolidare il potere, non c’è da stupirsi della diffidenza di buona parte della popolazione per divieti di spostamento e politica vaccinale. La sfiducia nelle misure per contrastare il virus è condivisa anche da molti tra i giovani attivisti del paese, a differenza di loro coetanei dell’Europa occidentale e nonostante la vicinanza con l’ambiente scientifico.
Le proteste attuali contro le restrizioni, comunque, non coinvolgono i movimenti per l’ambiente che proseguono le loro battaglie. Il 24 settembre i Fridays for Future sono ripartiti con un discreto successo, con manifestazioni nella capitale e in altre cinque città. Lentamente, sperano gli ambientalisti, la crisi ambientale, molto più duratura di quella del Covid, riacquisterà la centralità che merita.
Il supporto della Commissione europea per la produzione di questa pubblicazione non costituisce un endorsement dei contenuti che riflettono solo le opinioni degli autori. La Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsiasi uso che possa essere fatto delle informazioni in essa contenute. Vai alla pagina del progetto Trapoco
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