Sono 450 gli orsi che vivono nelle foreste meridionali della Slovenia. Un caso unico in Europa, frutto di una protezione che associa autorità, Ong e cacciatori
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 20 agosto 2017)
Una seduta d'osservazione è come un rituale. Si deve camminare per una quindicina di minuti in totale silenzio, seguendo i passi di una guida e poi contemplare, nella calma, gli orsi che si riuniscono al calar della notte. La nostra guida è un cacciatore, abilitato ad organizzare questo tipo di visite.
Una specie autoctona, essenziale all'ecosistema
Nel 2007 erano circa 450 gli orsi bruni che vivevano nelle foreste meridionali del paese. I boschi coprono in Slovenia il 59% dei territori con 3000 chilometri quadrati di foreste molto fitte, particolarmente adatte ai plantigradi. La coesistenza con altri mammiferi di grande stazza come la lince e il lupo avviene da migliaia di anni e contribuisce all'equilibro dell'ecosistema locale.
L'orso bruno sloveno è molto simile, per numerosi aspetti, ai suoi colleghi in Europa: è tra i 100 e i 150 kg, lungo circa due metri, vive una quarantina d'anni su un territorio di 400 chilometri quadrati. Gran viaggiatore è capace di correre e nuotare rapidamente.
Restano però alcune differenze: sta meno in letargo e si riproduce molto di più dei suoi consimili europei. E questo è probabilmente dovuto ai numerosi punti dove viene rifornito di cibo, al suo statuto protetto e al ruolo che gioca come simbolo del patrimonio nazionale.
Accettazione
Ma perché l'orso è sopravvissuto e la lince è quasi scomparsa? “Al contrario, ad esempio, di quanto avvenuto in Francia, queste specie sono sempre state presenti sul nostro territorio e sappiamo molto bene come proteggerle, vi siamo abituati”, commenta Miha Krofel biologo e ricercatore di fauna selvatica presso la facoltà di biotecnica dell'Università di Lubiana. “Ho già sentito cittadini sloveni affermare che le nostre foreste sono tali solo grazie agli orsi”.
I plantigradi sono protetti nell'area fin dal XIX secolo, in reazione allo sviluppo dell'agricoltura intensiva e al disboscamento. A partire dal 1935 un'ordinanza jugoslava ne proibiva la caccia ed il commercio. Gli anni 2000 hanno poi visto lo sviluppo delle prime strategie di protezione elaborate dallo stato sloveno. Da allora lo stato decide ogni anno le quote d'abbattimento in aree di caccia ben delimitate, solitamente ci si attesta su diverse decine di esemplari.
“Si devono ringraziare i nostri cacciatori per aver partecipato ai nostri programmi di censimento, di analisi e di sensibilizzazione”, afferma Matija Stergar, ingegnere forestale presso l'agenzia slovena per le foreste ed appassionato, dal 2013, della problematica dei grandi carnivori che sottolinea anche relazioni armoniose con un ricco tessuto di Ong e di centri di ricerca.
Consenso fragile
Nonostante tutto questo, l'accettazione della presenza dell'orso rimane fragile, soprattutto nei periodo in cui il cibo a disposizione del plantigrado è minore e gli orsi tendono ad avvicinarsi alle abitazioni. Gli incidenti che li coinvolgono sono ancora numerosi, tra questi le intrusioni in allevamenti o coltivazioni e gli investimenti con automobili. Si contano ogni anno una ventina di incidenti stradali che coinvolgono degli orsi, metà dei quali solitamente risultano fatali per l'animale. In media, i danni causati ad abitazioni e campi agricoli raggiungono, ogni anno, i 200.000 euro.
Anche i turisti hanno un impatto ambiguo. “Il turismo è una lama a doppio taglio” spiega Miha Krofel “per alcuni versi può favorire la presa di coscienza ma anche disturbare l'ecosistema, come avviene ad esempio con quei turisti che affittano dei camper ed attraversano selvaggiamente i boschi, di notte, alla ricerca di specie protette”.
Le contromisure adottate sono numerose: sensori infrarossi presso le strade, segnali sonori lungo le ferrovie, recinzioni elettriche che delimitano le autostrade.
Le radici del dibattito vanno però ancora più a fondo. “La questione è, la gente vuole veramente gli orsi?”, rincara Miha Krofel. Anche Matija Stergar si mostra molto prudente: “Noi non desideriamo diminuirne la popolazione. Tra l'altro le regole nazionali ed europee ci impediscono di farlo. Ma allo stesso tempo non auspichiamo un innalzamento del loro numero perché questo porterebbe ad un peggioramento del clima di tolleranza nei confronti degli orsi e, nel lungo periodo, minaccerebbe la loro stessa sicurezza”.
Un modello di gestione da esportare?
Nella gestione dell'orso è emersa chiaramente la necessità di trovare delle soluzioni transfrontaliere. “Troppo spesso avviene che, in un singolo paese, vi sia un numero troppo piccolo di orsi e per questo l'attraversamento delle frontiere è essenziale per la loro riproduzione”, sottolinea Miha Krofel.
“Con una popolazione di orsi che va dalla Grecia all'Italia è importante unificare i nostri standard e internazionalizzare la gestione della specie”, aggiunge Matija Stergar, attivamente coinvolto nel progetto transnazionale Life Dinalp Bear. Quest'ultimo, finanziato con 6 milioni di euro, riunisce nove istituzioni europee provenienti da Slovenia, Austria, Croazia e Italia, per unificare le politiche nazionali di protezione.
Il programma ha permesso di migliorarne il censimento e di seguire gli orsi attraverso la tecnologia della telemetria. Sono inoltre stati concepiti cassonetti inaccessibili agli orsi: misura che può sembrare aneddotica ma fondamentale nella gestione degli orsi e per diminuire gli incidenti che li coinvolgono.
Tra le altre misure adottate Life Dinalp Bear ha permesso di moltiplicare le campagne di sensibilizzazione e informazione presso agricoltori ed allevatori, le scuole e il grande pubblico. “In determinate regioni pilota le campagne di sensibilizzazione hanno portato a risultati positivi, anche se si tratta ancora di piccoli passi. Questo dimostra che con piccoli sforzi ed un minimo di cooperazione possiamo efficacemente contribuire ad un clima di tolleranza”, racconta Matija Stergar.
Per gli orsi lo “Spazio Schengen” esiste da decine di migliaia di anni e l'attraversamento delle frontiere è particolarmente facile. La situazione potrebbe cambiare se la Slovenia decidesse di estendere la barriera anti-migranti lungo il proprio confine con la Croazia: per ora solo il 10% della frontiera è coperto da filo spinato.
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