I giorni precedenti sono stati caratterizzati da dure polemiche con le istituzioni europee, ma martedì 6 luglio, davanti all'Europarlamento, nel suo intervento per l'avvio della presidenza slovena dell'Ue, il premier Janez Janša ha vestito i panni del leader moderato
Sono stati giorni caotici, quelli che hanno contraddistinto l’inizio della presidenza di turno slovena del Consiglio dell’Unione Europa, tanto che il capo dello Stato Borut Pahor non ha mancato di lanciare un appello al premier Janez Janša, in vista della sua presentazione del semestre davanti all'Europarlamento. L'invito è stato quello di non dire tutto quello che gli passa per la testa e anche di non farlo con i modi che più gli aggradano, visto che è lì a rappresentare la Slovenia. Janša lo ha ascoltato e così ha incassato con una ecumenica condiscendenza - che non lo contraddistingue - le durissime critiche che i parlamentari europei gli hanno rivolto.
Le cose, del resto, si erano messe subito piuttosto male. Janša da mesi litigava con i giornalisti e con gli eurodeputati del centrosinistra. Loro lo avevano accusato di aspirare a diventare l’ennesimo despota dell’Europa dell’est, emulo del leader ungherese Viktor Orbàn, poco rispettoso dello stato di diritto e della libertà di stampa. Lui aveva ribattuto come sempre, dicendo che i suoi detrattori, con spirito tutt’altro che patriottico, avevano portato lo scontro politico nazionale nell’arena politica europea, danneggiando soprattutto la Slovenia.
Convinto di essere la vittima dell’ennesimo complotto ordito nei suoi confronti, Janša ed i suoi uomini hanno usato la tradizionale visita d’inizio semestre della Commissione europea e dei giornalisti accreditati a Bruxelles per togliersi qualche sassolino dalla scarpa e per presentare la Slovenia come un paese assediato dai comunisti e da quelli che non vogliono altro che mantenere i loro privilegi di lunga data. Il risultato è stato quello di una ridda di polemiche sia in patria sia all’estero, che alla fine, per l’ennesima volta, non hanno fatto bene all’immagine di Lubiana. Janša ha inoltre colto l'occasione per far vedere ai giornalisti il famigerato video sulla libertà di stampa, che non era stato proiettato, come invece lui avrebbe voluto, durante una seduta di una commissione dell'europarlamento. Per dimostrare la politicizzazione della magistratura slovena, non ha mancato di mettere sotto il naso dei commissari europei una foto di un gruppo di giudici ad una festa con la leader socialdemocratica Tanja Fajon e con altri membri del suo partito.
Le teorie del complotto, però, non sembrano aver fatto presa più di tanto sui suoi ospiti, anzi la cosa ha irritato a tal punto il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, che non ha voluto nemmeno posare accanto alla dirigenza slovena nella foto di rito. L’episodio naturalmente non è passato inosservato. Come se non bastasse a gettare benzina sul fuoco ci ha pensato il pittoresco e poco diplomatico ministro dell'interno, Aleš Hojs. Il fedelissimo del premier pochi giorni prima aveva tirato un poco elegante parallelo tra i manifestanti antigovernativi ed i maiali. Incalzato dai giornalisti stranieri, Hojs ha rincarato la dose dicendo che, stando a quello che aveva sentito nelle ultime ore, avrebbe forse potuto definire così anche qualche alto funzionario europeo. Tutti hanno immediatamente pensato che il riferimento fosse proprio a Timmermans. Il ministro ed il governo hanno subito tentato goffamente di correre ai ripari, mentre il capo dello Stato Borut Pahor non ha mancato di esprimere il suo disappunto per i toni poco istituzionali usati da Hojs. Non era proprio il miglior prologo per l’uscita di Janša di fronte agli agguerriti eurodeputati. Il premier sloveno, infatti, è noto per essere capace di rincarare la dose quando si trova alle corde, ma questa volta ha preferito vestire i panni del leader moderato e pronto a sentire le opinioni degli altri.
Il suo intervento all’europarlamento è stato ineccepibile nei toni. Ha presentato il programma di presidenza sloveno, quasi senza aggettivi parlando della necessità di evitare la quarta ondata di coronavirus, puntando sulla ripresa e sulla resilienza europea, sottolineando come bisogna sentire un’ampia gamma di pareri in vista della Conferenza per il futuro dell’Europa, rimarcando l’importanza dello stato di diritto, evidenziando il valore della sicurezza, nonché della conversione verde e digitale. Janša ha anche ricordato che Croazia, Bulgaria e Romania stanno inspiegabilmente attendendo da troppo tempo che si aprano loro le porte dello spazio Schengen ed ha sottolineato la rilevanza di dare certezze in tema di allargamento ai paesi dei Balcani Occidentali per evitare che in quest'area altri comincino a giocare le loro carte. Sibillinamente il premier sloveno ha ricordato però che la Jugoslavia ha retto finché i suoi popoli e le sue repubbliche non hanno cominciato a litigare su chi fosse più diligente o più jugoslavo degli altri ed ha detto di non volere simili scenari all’interno dell’Unione europea.
Subito sono arrivate le sperticate lodi della destra europea e dei sovranisti, mentre non sono mancate le critiche degli altri. Come accade regolarmente all’inizio di ogni semestre i funzionari europei e gli altri protagonisti del dibattito hanno sottolineato che i prossimi sei mesi a guida slovena saranno cruciali per le sorti dell’Europa. Sta di fatto però che la presidenza di turno, dopo la riforma dell’Unione, conta molto meno rispetto al 2008, quando la Slovenia assunse per la prima volta la guida dei ventisette. In ogni caso su quello che doveva essere il piatto forte della presidenza, che puntava su concreti passi avanti in materia di allargamento ai Balcani occidentali, non mancheranno di pesare le polemiche legate ai “non paper sloveno” sul riassetto dei confini in regione. Raggiungere qualche risultato sarà difficile, molto difficile. Il tutto rischia, così, di trasformarsi nella solita sfilata di leader che in questi sei mesi faranno tappa a Lubiana di cui ci si accorgerà più in Slovenia che nel resto d’Europa.
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