Marko Sosič (foto © Forum Tomizza)

Marko Sosič (foto © Forum Tomizza )

Si è spento lo scorso 3 febbraio a Trieste il regista e scrittore Marko Sosič. Era nato nel 1958 a Trieste, si era laureato all'Accademia per l'arte teatrale e cinematografica dell'Università di Zagabria, aveva diretto il Teatro Nazionale Sloveno di Nova Gorica e in seguito il Teatro Stabile Sloveno di Trieste. Pubblichiamo il ricordo e l'addio dell'amico Ahmed Burić

11/02/2021 -  Ahmed Burić Sarajevo

(Questo testo è stato scritto originariamente per il quotidiano sloveno Dnevnik )

È tardi, è l’una meno dieci di notte, ma in momenti come questo il sonno non arriva. Se n’è andato Marko Sosič (1958). Dalla notizia che era gravemente malato a quella della sua scomparsa sono passati solo pochi giorni. Immagini si susseguono nella mia mente. Dove ci siamo incontrati per la prima volta? A Capodistria (Koper), mi pare, in occasione del Forum Tomizza. Gli amici sloveni suggerivano che finalmente qualcuno era comparso sulla scena letteraria locale. Qualcuno consapevole del fatto che la lingua convenzionale della letteratura, in questo caso della prosa, semplicemente non basta per raccontare la storia dei nostri tempi.

Il romanzo di Sosič “Ki od daleč prihajaš v mojo bližino“ [Da lontano mi vieni vicino] ha superato i confini della letteratura, non solo di quella slovena, perché affronta quelli che probabilmente sono i temi letterari più importanti: l’indicibile, di cui tutti sono consapevoli, ma non ne parlano, e l’invisibile che è saldamente presente nella società. Una canzone del fiume, ormai da tempo dimenticata, ha assunto un nuovo significato, aprendo un nuovo spazio nell’immaginario di un uomo scrupoloso, il professor Ivan Slokar, protagonista del romanzo. Sono pochi gli scrittori, anche tra i migliori, che sanno che, per quanto riguarda l’Altro, il testo si apre solo nella misura in cui la poesia lo mantiene vivo. Marko Sosič lo sapeva.

Forse anche perché era un uomo di teatro. Con grande passione si muoveva lungo i corridoi e tra i camerini del Teatro stabile sloveno di Trieste, rivelandoci i suoi angoli e segreti. Quello spirito incantevole dei fantasmi del teatro lo ossessionava – come diceva lui stesso – seppur per un breve periodo, all’Accademia di Zagabria dove studiava e parlava croato senza alcuna inflessione, come se fosse la sua lingua madre. Allo stesso modo in cui noi, stranieri, parliamo sloveno con un particolare accento, così anche la maggior parte degli sloveni parla la nostra lingua con una certa inflessione, nonostante sia spesso la lingua madre dei loro genitori.

Queste trasgressioni fanno sì che le lingue e le culture si diffondano oltre i confini nazionali, come dimostrano le parole di Bogdan Tanjević, un poeta tra allenatori di pallacanestro che, come Marko, ha scelto Trieste come centro nevralgico della sua esistenza. Mentre stavamo seduti ad un tavolino di un bar di Trieste, Tanjević, ancora pieno di energia a 75 anni, raccontava con vivacità: “Già alla fine degli anni Settanta avevo capito che, oltre a noi di Sarajevo, i migliori jugoslavi erano gli sloveni d’oltreconfine. All’epoca in cui guidavo la nazionale jugoslava potevamo dire no a qualsiasi proposta, ma non osavamo né potevamo rifiutare di giocare una partita amichevole con la loro squadra Jadran”.

Certo, perché per gli sloveni d’oltreconfine quegli incontri rappresentavano un legame con il paese che era e, al contempo, non era la loro patria. Un uomo senza patria non può essere libero, ma non c’è quasi nulla che possa liberarlo dai ricordi. Sembra che la strada verso la libertà passi attraverso la memoria. E gli sloveni d’oltreconfine avevano ben poca scelta: essendo stati “bravi” jugoslavi, sono rimasti anche “bravi” sloveni.

Tutti, praticamente da un giorno all’altro, abbiamo accettato il capitalismo nazionalista. Diventando membri della propria nazione, abbiamo lasciato, senza opporre alcuna resistenza, che fosse l’identità nazionale a guidare il processo di introduzione e implementazione del capitalismo. Una truffa geniale, da chissà quanti milioni di euro: nel passaggio da qualcosa al nulla – e questa è la definizione di transizione – l’identità è diventata il principale simbolo del nulla. Un’identità che governa senza ombra alcuna di concorrenza. In un mondo che giura sulla concorrenza. Non vi sembra questa una fregatura senza precedenti?

Nel novembre del 2018 (un periodo che sembra appartenere a un passato remoto, è come se non fosse mai accaduto), durante una visita a Trieste ero ospite di Marko. In occasione del centenario dell’armistizio della Prima guerra mondiale, avvenne un incontro ravvicinato tra “sinistra” e “destra”, un incontro che temevamo potesse degenerare in qualcosa di più profondo e più serio. La corporazione delle forze filofasciste Casapound aveva organizzato un raduno, in pieno giorno, con bandiere e uniformi nere. La sinistra, invece, aveva organizzato una manifestazione verso sera, con lo slogan “Liberiamoci dai fascismi”, cantando le canzoni partigiane. La giornata si è conclusa con il volo delle frecce che lasciavano una scia del tricolore italiano e con le strade vuote che un tempo fungevano da quinta scenica per uno spettacolo sul potere d’acquisto dei cittadini jugoslavi in età lavorativa. Con Marko, grande conoscitore della città, attraversavamo piazze e sottopassaggi prendendo scorciatoie.

Ad un certo punto Marko mi disse:

- Sai, quando vedo quei fascisti malo mi se smilijo [espressione slovena che significa mi dispiace un po’ per loro, ndt]. Sono persone svantaggiate a cui la vita non ha offerto alcuna opportunità. Molti di loro hanno ricevuto 20 euro per essere qui.

Avendo notato un’espressione leggermente sorpresa sul mio volto, Marko mi fece l’occhiolino e mi chiese:

- Come si dice nella nostra lingua smilijo mi se?

- Žalim ih, gli risposi.

Eh già, questo è il problema con lingue affini. Žaliti nekoga [espressione serbo-croata che significa essere dispiaciuti per qualcuno, ndt] non ha lo stesso significato dell’espressione žaliti za nekim [soffrire per l’assenza di qualcuno, ndt]. Sono in pochi a conoscere tali sfumature così bene come le conosceva Marko Sosič. Ma a prescindere da quanto conosciamo una materia, sembra che non possiamo cambiare il corso della storia. La morte di Marko è un fatto impietoso: ora restano solo i libri e i frammenti dei ricordi delle esperienze vissute insieme.

Con il romanzo “Kruh, prah” [Pane, polvere], che abbiamo presentato insieme al centro culturale Vodnikova domačija [Casa di Vodnik] a Lubiana e allo Slovenski klub a Trieste, Sosič si è confermato come uno scrittore classico. Ma la letteratura è ingiusta: deve passare molta acqua sotto i ponti affinché vengano accolte e riconosciute come legittime certe idee che uno scrittore aveva elaborato all’inizio della sua carriera letteraria, e il mondo in quel momento semplicemente non era pronto ad accettare.

È questo che mi tormenta. C’erano ancora tante cose da fare, dire, scrivere. Ascolto i versi di una mia canzone intitolata “Mozart”, un notturno che è finito nella colonna sonora di un film di Marko.

Preparati al sonno.

Le olive del sud profumano ancora e senti ancora la mano della nonna

accarezzarti la testa. Questa non può essere la fine, perché bisogna

iniziare a prepararsi alla morte.

Ma non si è mai preparati alla morte. Bisogna aspettare la notte. E poi in un angolo, quando nessuno vede né sente, dire addio ancora una volta. A lui.

Omaggio a Marko Sosič

Il 5 e 6 febbraio la sede regionale in lingua slovena della Rai Friuli Venezia Giulia ha pubblicato un lungo podcast in due puntate , interamente dedicato alla memoria di Marko Sosič


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