Istanbul - Francesco Brusa

Istanbul - Francesco Brusa

A partire dalla seconda decade del 2000 avrebbe causato centinaia di morti. È la Bonzai, una pericolosa marijuana sintetica le cui vicende si mescolano in Turchia tra crimine e geopolitica

16/07/2019 -  Francesco Brusa

In Turchia la marijuana si beve, così come le sigarette. “Sigara içmek”, fumarsi una sigaretta, dove “içmek” è appunto il verbo che indica sia l’assunzione di una sostanza tramite combustione che l’ingerire un liquido giù per faringe ed esofago: “Su içmek”, bere dell’acqua, “bira içmek”, bersi una birra, “rakı içmek”, sorseggiare il tipico liquore simile alla grappa. Il fatto che “bere” e “fumare” si dicano allo stesso modo non deve stupire. Fino a un certo periodo anche in Europa i due vocaboli si sovrapponevano: per indicare la “nuova moda” di inalare tabacco, nel 1627 l’ambasciatore tedesco Johann Joachim von Russdorff parlava infatti di una «gran bevuta di nebbia». Nel suo libro Storia dei generi voluttuari, così spiega lo studioso Wolgang Schivelbusch: "La parola 'fumare' si afferma nell’uso corrente solo nel XVII secolo. Fino a quel momento ci si aiuta con l’analogia del bere e si parla di 'bere fumo' e 'bere tabacco'. […] L’analogia con il bere serve, dapprima, come una costruzione ausiliaria con la quale si cerca di capire una novità altrimenti incomprensibile. […] Il paragone con l’alcool rimane valido anche quando si considerino gli effetti assai sgradevoli che esso provoca sui principianti: senso di vertigine, vomito e sudorazione sono gli effetti propri dei primi approcci con il fumo. Solo con l’abitudine – come del resto succede per l’alcool – si giunge a gustarlo".

"Se hai smesso di farti le canne perché hanno iniziato a venirti le paranoie, allora è meglio che non provi la Bonzai", dicono due ragazzi mentre si rollano uno spinello. "Con la Bonzai è come se ti venissero le solite paranoie della marijuana, ma al quadrato. Non so se è una cosa brutta, io la prendo come una sfida: mi piace ingaggiare una battaglia con i pensieri negativi, I love to fight with paranoia". In vista delle elezioni locali dello scorso marzo, il presidente turco Recep Tayyp Erdoğan fece recapitare a casa di alcuni dei potenziali elettori un vassoio con disegnato sopra il simbolo del suo partito. Un tripudio – abbastanza kitsch – di intrecci floreali, con al centro la lampadina incoronata di sette freccette stilizzate che la illuminano, logo dell’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo). Ora alcuni dei suoi potenziali elettori, in un appartamento di Istanbul non lontano da piazza Taksim, su questo vassoio ci tagliuzzano della marijuana (rigorosamente “naturale”, per quanto possibile): "Con la Bonzai ho chiuso", afferma uno dei due ragazzi, "l’ultima volta mi sono ritrovato a vomitare, e a non capire praticamente né chi fossi né dove mi trovassi".

Nuova marijuana sintetica

"Jamaica, Jamaica, Jamaica...". Con questo nome, sussurrato in varie zone di spaccio delle città dell’ovest, all’incirca nel 2010 fa il suo ingresso in Turchia un nuovo tipo di marijuana sintetica. La Bonzai arriva principalmente dall’Olanda e dal Belgio e viene venduta in pacchetti ben riconoscibili, confezionati e “sicuri”. "“Bonzai” è il nome generico che è stato usato per differenti categorie di marijuana sintetica presenti nel nostro paese", racconta il ricercatore Melih Çoban, capo del Dipartimento di Sociologia dell’Università Marmara a Istanbul. "Durante gli anni precedenti c’erano state grosse operazioni della polizia e alcuni grandi centri di produzione interni alla Turchia vennero scoperti e smantellati. Perciò, la domanda di stupefacenti venne soddisfatta con l’importazione di questo nuovo tipo di droga. Si trattava, sostanzialmente, di marijuana naturale con qualche aggiunta di additivi chimici per conferire un particolare sapore. Le autorità non erano informate e farla passare dalla frontiera era molto facile".

Il quartiere di Tarlabasi, dove è forte l'attività di spaccio di stupefacenti - foto Francesco Brusa

Con l’aumento dei controlli e la chiusura della rotta europea, ha cominciato però a diffondersi un nuovo genere di Bonzai, prodotta senza troppe remore da piccoli e medi spacciatori direttamente in Turchia. "Da questo momento", continua Melih Çoban, "la sostanza assume caratteristiche che la rendono molto più pericolosa di prima. Non è più la Jamaica olandese o belga ma, in qualche modo, un fake, un’imitazione di cannabinoidi naturali che ora sono scomparsi dal mercato. Gli spacciatori turchi inseriscono nella loro marijuana sintetica un altissimo numero di additivi chimici, praticamente dei veleni, che a volte possono portare alla morte per arresto cardiaco anche dopo uno o due tiri. Tali additivi abbattono i costi di produzione e provocano una maggiore dipendenza nei consumatori".

A partire da questo cambio nel mercato, cominciano a verificarsi alcuni casi di morte per Bonzai. Le persone vengono spesso ritrovate sole nei loro appartamenti, o per strada, decedute in seguito a un arresto cardiaco. I media si accorgono del fenomeno e, per un certo periodo, non passa giorno senza che giornali e notiziari non annuncino nuove vittime: “Bonzai significa morte” (dal giornale Sakarya), “Bonzai, causa di morte improvvisa” (dall’emittente TRTHaber), “Morte a Beşiktaş: due giovani su tre vi sfuggono, ma qualcuno...” (dal quotidiano Hürriyet).

Si calcola che nel 2014 la nuova marijuana sintetica “autoprodotta” coprisse il 50% del totale della droga spacciata a Istanbul. Un report della polizia turca documenta 941 morti legate all’abuso di sostanze stupefacenti nel 2017, di cui 564 relative al consumo di Bonzai: una lira turca per una canna ma, per alcuni, il prezzo vero è stato un arresto cardiaco fatale.

Reazione e rap

Le notizie delle morti hanno spinto alcuni cittadini a impegnarsi in maniera diretta: nelle zone di Istanbul più colpite, sono sorti comitati di quartiere per combattere lo spaccio e prevenire il consumo. Il governo, da parte sua, si è impegnato in una serie di operazioni per smantellarne la produzione: se nel 2011 il numero di arresti per possesso o spaccio di Bonzai era di 334, già due anni più tardi i casi di questo genere salivano a oltre 5000.

Ora anche i consumatori abituali di stupefacenti evitano la Bonzai e chi la vende è magari considerato un “infame”. La sua presenza resiste soprattutto nei distretti più poveri delle grandi città, come Bağcilar a Istanbul, dove ancora l’anno scorso sono state sequestrate alcune partite della sostanza. "A Çinçin, il quartiere di Ankara dove andavamo a rifornirci quando vivevamo nella capitale, adesso è meglio che non ti metti a spacciare marijuana sintetica". Sul vassoio targato AKP cartine, un pacchetto di sigarette e residui di filtri ricavati da biglietti vari. Nell’appartamento di Istanbul, i ragazzi “bevono” mentre ascoltano del rap. "I nostri contatti ci dicono che, se beccano qualcuno a vendere Bonzai, lo picchiano. È una forma di autodifesa: Çinçin è una zona povera, ma dove le persone sono solidali fra loro. Non vogliono che la Bonzai si diffonda". Fra le canzoni, passa anche la sigla di Sıfır Bir, nuova web-serie molto seguita in Turchia. Immerso fra murales e case mezze diroccate di Hürriyet, quartiere popolare nella città di Adana, il rapper di origini curde Gazapizm duetta con il compagno Cashflow : "Metamfetamin, bonzai, eroin satan hainleri öldürün gelin", uccidi i traditori che vendono eroina, metanfetamina e Bonzai! 

I versi di Gazapizm sono un’esagerazione finzionale, legata alla trama della serie e al carattere gangsta della sua musica, ma i toni del discorso politico ufficiale non sono poi tanto diversi. Suleyman Soylu – ministro dell’Interno dal 2016 per il partito di Erdoğan – ha infatti dichiarato durante un incontro sulla sicurezza pubblica: "Se uno spacciatore si trova nei pressi di una scuola, la polizia ha il dovere di spezzargli le gambe. Fatelo, e poi incolpate me". Proprio nell’anno in cui Soylu è diventato ministro, la Turchia ha aumentato i finanziamenti per la lotta alla droga di circa 80 milioni di lire (quasi 12 milioni di euro). Anche in altre occasioni, l’esponente dell’AKP ha ribadito la propria determinazione con retorica da rapper: "Non badate alla legge quando si tratta di edifici abbandonati in cui si annidano gli spacciatori. Quei luoghi vanno messi sotto controllo oppure demoliti dall’oggi al domani!". E ancora: "Quello che stiamo facendo ai terroristi del PKK lo dobbiamo fare pure a chi vende droga".

Droga e geopolitica

Boutade per mettersi in mostra o genuino – benché eccessivo – attaccamento alla causa? Fatto sta che, in Turchia, all’interno del mercato degli stupefacenti si giocano anche importanti partite geopolitiche. Il parallelo con il PKK da parte di Soylu non è peregrino: la produzione e la commercializzazione di cannabis è infatti uno dei metodi di autofinanziamento del Partito Curdo dei Lavoratori (alcuni report della polizia stimano un guadagno annuo sui 500 milioni di lire turche, pari a circa 70 milioni di euro), contro cui il governo ha ripreso da quattro anni un durissimo conflitto che ha portato a bombardamenti, coprifuoco e commissariamenti nell’est del paese.

Una scritta nel quartiere Kasimpasa - foto di Francesco Brusa

Sottrarre il controllo della sostanza ai guerriglieri curdi sarebbe una vittoria significativa da parte dello stato e garantirebbe di esercitare una maggiore autorità nella zona orientale. Tra l’altro, proprio la rottura della tregua fra PKK e governo sta generando cambiamenti all’interno del traffico di droga, legati al fenomeno della Bonzai: l’aumento di auto-produzioni e il ricorso ad “alternative sintetiche” della marijuana nelle città dell’ovest è dovuto anche alle maggiori difficoltà di spostamento – di persone e di “merci” - fra est e ovest della Turchia, causate da un incremento dei controlli e della presenza militare nella regione curda.

Bonzai

Il sole inizia a declinare sul Bosforo, mentre dalle casse si sente ancora il rapper Gazapizm: Qui tutti saltano come canguri / ma non c’è divertimento / no / non c’è divertimento. "La prima cosa che ho fatto quando sono uscito di prigione è stata andare da un mio amico a fumarmi una canna. Mi hanno dato 8 anni e 4 mesi in primo grado per spaccio, anche se con me avevo solo una decina di grammi. Ora sono fuori perché mio padre ha servito come militare e aveva delle conoscenze. Tutti, là, erano dentro per droga, a parte una persona. In tanti avevano avuto esperienze con la Bonzai e alcuni, magari, erano pure contenti di essere riusciti a smettere durante la detenzione. Gli stava creando troppa dipendenza". Il flow di Gazapizm continua: Non c’è nessuna situazione win-win qui / uno di noi deve perdere, non c’è scampo. "La Bonzai è una droga molto stancante per il cervello: puoi rimanere steso sul divano per ore, ma intanto nella tua testa succede di tutto. È molto più forte e piacevole della marijuana, anche se parecchio pericolosa: capita di sentirsi morire, oppure di vomitare e rimanere incoscienti. Inoltre, a volte crea una pressione fastidiosa al collo e alla schiena. Ma, altre volte, è solo una sensazione gradevole che dura nel tempo e non smette di farti ridere. Ti rende felice, sballato, e hai l’impressione che tutti i tuoi problemi siano scomparsi di colpo. Una volta terminato l’effetto, hai voglia di usarla di nuovo".

Il vassoio con al centro la lampadina incoronata da sette freccette viene ripulito di cartine, sigarette e rimasugli di filtri. La marijuana (rigorosamente “naturale”, per quanto possibile) è riposta in un contenitore di plastica. Qui non c’è divertimento / no / non c’è divertimento / non aspettare, il vento non ha voglia di soffiare, rappa ancora in sottofondo Gazapizm. Il regalo di Erdoğan ai potenziali elettori ha svolto perfettamente la sua funzione, anche se forse non era quella immaginata dal leader dell’Akp. "Certo che continuerò a fumare", conclude il ragazzo. "Te l’ho detto, la prima cosa che ho fatto uscito di prigione è stato andare a farmi una canna. Sono costretto a firmare in questura, non ho la possibilità di lasciare il paese e mi hanno fatto seguire una sorta di terapia, ma non smetterò. Forse, significa che mi toccherà tornare in carcere. Non mi interessa. Se smetto, vuol dire che hanno vinto loro".


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