Le reazioni fiacche di UE ed Italia, il ruolo ambiguo del Diyanet nella repressione dei seguaci di Fethullah Gülen. La seconda puntata di una serie di articoli sulla pervasività dell'autoritarismo del regime di Erdoğan anche al di fuori dei confini della Turchia

19/12/2019 -  Francesco BrusaAndrea Bonetti

"Con il tentato golpe del 15 luglio 2016, il conflitto fra il movimento di Gülen e il regime di Erdoğan ha assunto una nuova e inaspettata dimensione". Özlem Demirel, cittadina tedesca di origini turche ed europarlamentare con il partito tedesco Die Linke, si è impegnata durante l’ultimo anno presso le istituzioni comunitarie affinché l’Europa e i suoi stati membri discutano e prendano una posizione ferma sulla situazione in Turchia. "Il movimento dell’Hizmet, dopo essere stato per un periodo alleato dell’Akp e aver così contribuito a creare un clima di ingiustizia nei confronti dell’opposizione turca, ha ora perso la battaglia ed è diventato anch’esso una vittima del regime".

Oltre 30mila incarcerazioni, più di 150mila persone rimosse da lavori statali e circa 600mila indagati con accuse di terrorismo. In più, persone detenute anche solo per aver fornito cibo e assistenza a famiglie di presunti seguaci del movimento di Gülen: sono i dati di una repressione che sembra allargarsi a macchia d’olio, non solo entro i confini del territorio turco ma anche a livello internazionale. "È stato chiaro fin da subito quello che stava accadendo", racconta Serra (nome di fantasia) riferendosi alla notte del tentato golpe. Assieme alla famiglia e alle sorelle, risiede in Italia dall’età di cinque anni, ma a un certo punto ha fatto ritorno in Turchia per motivi di studio. "Mentre i carri armati dell’esercito bloccavano il ponte sul Bosforo a Istanbul, mi trovavo in Egitto per un breve periodo di interscambio. Non mi ero mai apertamente dichiarata gülenista, né avevo mai fatto menzione a qualcuno della mia scuola di essere in contatto con realtà italiane vicine all’Hizmet. Eppure, a neanche tre ore da quando sono iniziate a circolare le prime notizie sul golpe, sulla chat collettiva degli studenti della mia scuola quasi tutti hanno iniziato a insultarmi dicendo che 'la mia gente' era responsabile di quanto stava accadendo. Ho deciso allora di non fare più ritorno in Turchia e dall’Egitto ho raggiunto la mia famiglia in Italia. Nel giro di una settimana, l’istituto di Ankara presso il quale ero iscritta mi ha comunicato la mia sospensione dai corsi, congelando inoltre l’erogazione della borsa di studio di cui usufruivo".

Il ruolo controverso del Diyanet

Un aspetto interessante della vicenda è dato dal fatto che Serra, prima di far ritorno in Turchia, aveva avuto contatti con una delle sedi del Diyanet presenti nel nostro paese. Il Diyanet è l’agenzia statale che regola gli affari religiosi in Turchia. Creata già nel 1924 su ordine di Atatürk ha avuto storicamente il compito di regolare il rapporto fra le varie fedi e istituzioni presenti nel paese e il laicismo di stato stabilito dall’ideologia kemalista. Tuttavia, il suo operato è spesso messo in discussione e oggetto di controversie.

I rappresentanti di gruppi religiosi come gli aleviti, per esempio, denunciano che il Diyanet nei fatti esprime solamente la prospettiva di un’unica confessione (quella musulmano-sunnita), con poco rispetto verso qualsiasi pluralismo, mentre alcuni analisti hanno sostenuto che l’agenzia sia in sostanza uno strumento nelle mani di Erdoğan a sostegno delle politiche dell’Akp (il quale ha in effetti aumentato di quattro volte il budget destinato all’istituzione per gli affari religiosi durante gli ultimi anni). Il sospetto è dunque che, come già fanno ambasciate e consolati nei diversi paesi, pure altre agenzie quali il Diyanet che si trovano all’esterno e che sono legate al governo turco stiano contribuendo alla repressione nei confronti della comunità gülenista.

Nel 2017, in Germania (dove il Diyanet è a capo di quasi un migliaio di moschee), venne aperto un procedimento giudiziario contro alcuni imam legati all’agenzia per gli affari religiosi, accusati appunto di spionaggio illegale nei confronti di immigrati turchi residenti sul territorio tedesco (un caso chiuso dopo pochi mesi, anche però a fronte del fatto che la maggioranza degli indagati aveva lasciato il paese e non era pertanto più imputabile); il Parlamento europeo, inoltre, in una risoluzione del marzo 2018, si è detto "altamente preoccupato per i report che indicano come il Diyanet venga sfruttata dai servizi segreti per fini di spionaggio dei leader dell’opposizione appartenenti al movimento di Gülen", invitando tra l’altro i governi degli stati membri a "investigare tali violazioni della sovranità nazionale e della sicurezza pubblica".

Aggiunge l’eurodeputata Özlem Demirel: "L’Europa dovrebbe opporsi a questa repressione. Occorrerebbe incrementare la pressione economica sul governo di Erdoğan e congelare gli accordi commerciali fra Unione europea e Turchia. Tuttavia la reazione che si è recentemente verificata in seguito all’invasione della Siria lascia molto a desiderare e mi fa pensare che, anche nel caso riguardanti gli affiliati a Gülen, difficilmente l’Ue potrà assumere una posizione netta".

Riflessi tra Turchia, Europa ed Italia

In un certo senso, e sebbene in maniera meno eclatante e con gradazioni di intensità differenti, la storia dei rapporti fra il movimento dell’Hizmet e il partito dell’Akp con le agenzie ad esso affiliate rispecchia, sul territorio europeo, la parabola che è andata delineandosi in Turchia. La presenza e il radicamento in vari paesi dell’Unione di associazioni, realtà e seguaci legati all’imam Fetullah Gülen, oltre che a dinamiche tutte interne alla comunità religiosa, è stata anche un fenomeno organico, almeno nei primi tempi, alla strategia politica di Erdoğan.

Afferma infatti il ricercatore Luca Ozzano, autore di diversi studi sull’argomento e di ricerche su alcune espressioni della comunità gülenista in Italia (come l’associazione Alba di Torino o l’Istituto Tevere a Roma): "Salta all’occhio come associazioni e scuole variamente legate a Gülen siano state fondate sul territorio europeo tra gli inizi e la prima metà degli anni 2000, proprio quando forte era il discorso dell’integrazione turca nell’Ue e lo stesso governo Erdoğan spingeva in tale direzione. È probabile dunque che ci fosse una sinergia fra i due processi e che le realtà vicine all’Hizmet avessero, fra le altre, anche la funzione di promuovere un’immagine positiva della Turchia nello spazio europeo. Ad ogni modo, è difficile valutare l’ideologia e l’operato politico del movimento di Gülen. Volendo azzardare dei paragoni, non è una realtà molto diversa da Comunione e Liberazione in Italia, per esempio, che nasce come movimento religioso e inizia a crescere fino a ottenere un certo peso e influenza politica. È altrettanto vero, però, che un tale impegno era per certi versi implicito nella loro missione: basta leggere molti discorsi in cui Gülen parla dell’idea di riformare il paese attraverso una nuova generazione di turchi che fossero in grado di competere a livello di competenze economiche e tecnologiche ma che, nello stesso tempo, rimanessero profondamente credenti".

Sembra esserci, cioè, una certa componente di apertura verso valori “occidentali” nel pensiero dell’Hizmet, o comunque il tentativo di creare una classe religiosa più cosmopolita e attenta all’educazione e alla ricerca scientifica che potesse in qualche modo fare da “ponte” fra una sorta di concezione laica dell’Islam e il mondo europeo. In questo senso, almeno, viene vissuta da alcune persone emigrate nel nostro paese.

Racconta sempre Serra: "I miei genitori si sono avvicinati al movimento dopo essere arrivati qui in Italia. Prima, in Turchia, avevano ricevuto un’educazione molto conservatrice e – per quello che ho potuto osservare io – la scoperta degli insegnamenti di Gülen ha contribuito ad allargare i loro orizzonti. Per esempio, al contrario di quanto magari capita per altre mie connazionali, mi hanno sempre spronato a continuare gli studi e a scegliere autonomamente quale carriera lavorativa intraprendere. Vedo il movimento come un punto di riferimento nella mia vita, da una prospettiva spirituale, ma anche come una rete di supporto e di aiuto concreto che mi può aprire diverse vie".

Occorre ora capire quanto e in che modo la “caccia all’uomo” perpetrata da Erdoğan e dalle agenzie a lui legate anche all’infuori del territorio turco influenzerà e ostacolerà i percorsi degli emigranti vicini a Gülen. Come rilevavamo già nel precedente articolo, il tessuto delle realtà güleniste in Italia pare essere in netta disgregazione in seguito al tentativo di golpe del 2016 o comunque molto meno attivo e disposto a esporsi di prima (le associazioni Alba di Torino, Milano e Como hanno sospeso le proprie attività pubbliche, mentre Milad a Modena ha subito un attacco incendiario che ha portato apparentemente a interrompere incontri ufficiali). Nel frattempo abbiamo interpellato la Farnesina per capire quale sia la strategia messa in campo dal nostro paese in merito a questi eventi e quanto l’operato delle agenzie turche presenti sul territorio italiano sia da considerare una minaccia per la sicurezza. Ad oggi non abbiamo ricevuto ancora alcuna risposta.

La serie

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