(Foto Johnathaneric, Flickr)

Il parlamento turco autorizza il governo ad appaltare ad una ditta lo sminamento di una vasta area al confine con la Siria. In cambio i privati potranno gestire quel territorio per oltre 40 anni. L'opposizione parlamentare e della società civile, la rabbia degli abitanti

16/06/2009 -  Fazıla Mat

Nella notte tra il 3 e il 4 giugno scorsi il parlamento turco ha approvato una legge per lo sminamento e la successiva gestione di un'ampia area di territorio al confine con la Siria. La votazione è avvenuta tra polemiche e accesi dibattiti sollevati dalle forze dell'opposizione ma sostenuti anche da una sessantina di membri del partito di governo AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo), che non hanno partecipato al voto. La polemica non è ancora conclusa e il CHP (Partito repubblicano del popolo) ha dichiarato che farà ricorso alla Corte costituzionale per far annullare la legge che "vuole vendere il terreno della patria agli stranieri".

La legge prevede come prima ipotesi quella di affidare al ministero della Difesa il compito di trovare un'organizzazione che svolga il lavoro "su invito", ossia senza gare di appalto. L'indirizzo prescelto, in accordo con lo Stato maggiore, sarebbe quello di incaricare del lavoro la NAMSA (Nato Maintenance and Supply Agency) che tuttavia si appoggerebbe ad altre società sub-appaltatrici. Se il ministero della Difesa non riuscisse a trovare un accordo con la NAMSA, sarebbe il ministero delle Finanze a organizzare una gara d'appalto. Ma se il ministero delle Finanze non riuscisse a trovare un soggetto idoneo tramite gara d'appalto sarebbe titolato - secondo la legge - a scegliere secondo il proprio criterio, senza cioè essere più soggetto alle disposizioni che regolano gli appalti pubblici. In questo caso il ministero sarebbe autorizzato a barattare il lavoro di sminamento con il terreno stesso.

La legge prevede infatti la possibilità di retribuire la società che svolgerà lo sminamento affidandole per 44 anni la gestione a scopo agricolo del terreno bonificato, a partire dalla fine dei 5 anni previsti per portare a termine il lavoro. Il costo del lavoro complessivo è stato stimato intorno agli 11 milioni di euro, per un territorio vasto poco meno di 200 chilometri quadrati.

La Turchia, secondo i criteri dell'accordo di Ottawa - cui ha aderito nel 2003 - è tenuta a rimuovere e distruggere entro il 2014 le mine collocate sul proprio suolo. Mentre avrebbe già dovuto distruggere entro il primo marzo del 2008 le scorte presenti nei suoi arsenali dove, secondo il Rapporto annuale sull'Articolo 7 presentato per il 2008 dallo stesso paese, risultano esserci ancora oltre due milioni e mezzo di mine rese "inoperative" ma il cui "processo di distruzione è ancora in corso". In definitiva sono state finora eliminate solo alcune migliaia di mine.

L'area che andrà sminata con questa legge, per la precisione, è estesa 178 Km² su una linea del confine siriano di 510 Km, dove sono presenti quasi 600.000 ordigni esplosivi, due terzi del numero complessivo di mine - 935mila - che si trovano sepolti nel suolo turco. La Turchia, secondo quanto riporta il Landmine Monitor, è il paese con il maggior numero di mine. Insieme al confine siriano sono state minate anche alcune sezioni del confine con l'Armenia, l'Iran e l'Iraq - tra il 1956 e il 1959 - "per impedire il contrabbando" e "per motivi di sicurezza".

"Il vero problema", spiega però il coordinatore del Movimento per una Turchia senza mine Muteber Öğreten, "non sono i confini. In Turchia i luoghi dove si registrano morti e feriti sono quelli interni, dove si verificano gli scontri tra le forze armate e il PKK, Partito dei lavoratori del Kurdistan, ndt. Per esempio ci sono aree minate a Turceli e a Diyarbakır che sono molto lontani dai confini". Le mine ricordate da Öğreten sono state collocate nella zona tra il 1984 e il 1999 dall'esercito e dal PKK, ma non esiste una mappatura delle aree a rischio.

Gli abitanti del villaggio di Çerçili in provincia di Kilis, sul confine siriano, vivono da più di cinquant'anni in prossimità delle mine. Il capo villaggio spiega che "siccome il terreno del nostro villaggio è accidentato, le acque delle inondazioni hanno trasportato le mine nei campi, dove poi hanno causato molte vittime." Ahmet Çay, invece, un abitante dello stesso villaggio di 68 anni, racconta che 40 anni fa è entrato in un campo minato rincorrendo le sue vacche, ed ha perso una gamba. "Chi mi avrebbe dato in sposa sua figlia in quello stato? Ancora oggi sono celibe e non sono riuscito a costruire una vita a causa delle mine. Chiedo la terra come risarcimento."

"La legge approvata non prevede nessun tipo di risarcimento per le vittime", continua Öğreten "nel senso che non ha niente a che vedere con il concordato di Ottawa. La priorità del governo è lo sminamento dell'area al confine con la Siria perché è la terra più fertile e più redditizia dei nostri confini. Si tratta di una scelta fatta non su base umana ma commerciale ed economica. Anche il fatto di poter dare l'area in gestione per 49 anni alla società che effettuerebbe la rimozione delle mine fa parte di questa logica. Le vittime delle mine pensano invece che la terra appartenga a loro e ai loro padri. Chiedono che essa venga riconsegnata a loro dopo esser stata ripulita".

Medeni Konak, vicedirettore della Camera dell'agricoltura di Nusaybin, una delle zone interessate dallo sminamento sul confine siriano, ha detto che i paesani più poveri si sono creati delle grandi aspettative da quando circolano le voci sullo sminamento delle loro terre, e che li deluderebbe molto sapere che andranno alle società che le ripuliranno. "C'è un grande esodo da questa zona verso le città occidentali" ha detto Konak, "se le terre venissero date ai paesani più poveri si impedirebbe che migliaia di famiglie emigrino verso ovest".

Intanto manca ancora un qualunque piano mirato, un coordinamento tra le istituzioni o un calendario che stabilisca degli obiettivi nella distruzione delle mine che ogni anno continuano a causare più di un centinaio tra morti e feriti. L'accordo di Ottawa prevede che gli stati contraenti garantiscano l'assistenza per la cura, la riabilitazione, il reinserimento sociale ed economico delle vittime delle mine, mentre capita che molti non solo vivano completamente ignari dei diritti costituzionali basilari che avrebbero, ma si debbano anche costruire le proprie protesi da soli.


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