Elezioni Turchia: il voto all’estero premia Erdoğan

17 maggio 2023

bubble icon

L’OSCE ritiene che il presidente Erdoğan e i partiti al potere hanno avuto un vantaggio ingiustificato, anche grazie ad una copertura mediatica di parte. Tuttavia il voto all’estero mette in mostra che il presidente in carica ha ottenuto un gradimento addirittura superiore a quello ricevuto in patria.

Le elezioni in Turchia si sono tenute, ancora una volta, in un contesto di grandi limitazioni dei diritti politici e civili, come certificato anche dalla dura relazione degli osservatori dell’Osce, secondo cui “gli elettori hanno avuto una scelta tra vere alternative politiche e la partecipazione degli elettori è stata alta, ma il presidente in carica e i partiti al potere hanno goduto di un vantaggio ingiustificato, anche attraverso una copertura mediatica di parte”. Innegabile quindi che i risultati in patria siano viziati dal contesto illiberale e repressivo in cui le elezioni si sono tenute.

Il confronto tra i risultati delle urne all’interno del paese e quelle all’estero pone tuttavia diversi quesiti. Il dato da cui partire è che il presidente turco in carica ha ricevuto dai concittadini residenti all’estero il 56% delle preferenze, quindi più di quel 49% di voti ricevuti in patria.

Naturalmente se questo è il dato estero generale, lo scenario cambia enormemente da paese a paese, con più di una sorpresa da offrire.

A premiare Erdoğan sono stati anche i voti raccolti in diversi paesi dell’Europa occidentale quali Belgio (72%), Austria (71%), Olanda (68%), Germania (65%), Francia (64%), Norvegia (51%), oltre ad altre roccaforti di consenso sparse per il mondo come Libano (95%), Egitto (76%) e Arabia Saudita (73%).

Lo sfidante Kılıçdaroğlu ha invece ottenuto risultati positivi da Irlanda (86%), Spagna (82%), Italia (73%) e nei Paesi Baltici, ma anche dal mondo anglosassone (USA 80% e UK 79%), da paesi quali Russia (54%) e Cina (69%).
Interpretare questi dati in ciascun paese richiede analisi complesse che tengano conto delle origini storiche della comunità votante, delle caratteristiche etniche e sociologiche, della presenza di progetti di welfare e mobilitazione guidati dai potenti ministeri turchi degli Esteri e degli Affari Religiosi, del tipo di esposizione mediatica e delle sue bolle, e delle condizioni di vita politiche materiali sperimentate da ciascuna comunità nel paese ospitante.

Guardando però al dato estero crudo, emerge come il consenso maturato da Erdoğan, che all’estero risulta appunto maggiore a quello in patria, sia almeno in parte svincolabile da quel “vantaggio ingiustificato” citato dall’Osce che il presidente si è costruito nel paese in 20 anni al potere fino a una deriva autoritaria sotto gli occhi di tutti.

Altresì, mancano gli strumenti per stabilire se e come tale “vantaggio ingiustificato”, di cui il governo e il presidente godono nel paese, possa anche impattare, direttamente e in modi inattesi, la comunità turca che invece vive sui territori di altre nazioni.