Una partita intricatissima che vede coinvolti numerosi giocatori, le cui mosse si susseguono con un ritmo incalzante. In palio le risorse energetiche del Caspio e dell'Asia Centrale. Il ruolo della Turchia sullo scacchiere energetico
Lo scorso 15 ottobre Vladimir Putin ha compiuto una storica visita a Tehran per partecipare al vertice dei cinque paesi che si affacciano sul Mar Caspio. Era dal 1943 che un leader russo non vistava l'Iran. Un gesto, quello di Putin, con cui Mosca ha voluto confermare il suo appoggio al governo iraniano, assediato dalle pressioni internazionali. Il comunicato finale del vertice ribadisce come "non sarà permesso a nessun paese di attaccare alcuno degli stati del Caspio utilizzando il territorio degli altri paesi rivieraschi". Un riferimento evidente alle voci che vorrebbero il territorio azero come possibile base di partenza per eventuali attacchi americani all'Iran.
A Tehran però si è discusso anche del tesoro custodito dai fondali del Mar Caspio. I vasti giacimenti di petrolio e gas naturale fanno della regione del Caspio uno dei più importanti depositi mondiali di risorse energetiche. E proprio i diritti di sfruttamento di questo patrimonio, dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica, sono oggetto di un complesso contenzioso.
Fino al 1991 Mosca e Tehran si sono spartiti equamente i giacimenti presenti sul fondo del mar Caspio. Con la fine dell'URSS e la nascita di nuove entità statali - Russia, Azerbaijan, Turkmenistan e Kazakistan - sono arrivati i problemi. Mentre Tehran insiste sulla equa distribuzione dei giacimenti tra i cinque paesi, Russia, Azerbaijan e Kazakistan premono invece per una distribuzione dei diritti di sfruttamento proporzionale alla lunghezza delle coste di ciascun paese. Una soluzione che penalizzerebbe fortemente l'Iran.
Un primo vertice tra i cinque paesi tenutosi nel 200l non ha fatto registrare significativi passi in avanti. E nonostante qualche progresso, anche dopo l'incontro di Tehran, l'incertezza che regna sulla regione non si è dissipata.
Il documento finale si limita a ribadire che "la sovranità sul Mar Caspio appartiene solamente a questi cinque paesi" e che "le trattative per arrivare alla definizione dello statuto del Mar Caspio continueranno in conformità al diritto internazionale". Tra le righe si legge la preoccupazione, soprattutto da parte russa, che il perdurare dell'incertezza indebolisca la sua influenza nella regione.
Il viaggio a Tehran di Putin rappresenta l'ultima mossa con la quale la Russia gioca la sua partita sullo scacchiere mondiale delle risorse energetiche. Una partita intricatissima che vede coinvolti numerosi giocatori, le cui mosse si susseguono con un ritmo incalzante. In palio le risorse energetiche del Caspio e dell'Asia Centrale. Non solo il loro sfruttamento ma anche il controllo delle vie attraverso le quali esse raggiungono i mercati mondiali.
Dentro questa partita la Turchia si trova a giocare da alcuni anni un ruolo di primo piano. "Il corridoio turco" rappresenta l'alternativa privilegiata per quei paesi, Stati Uniti in testa, che mirano a contenere l'influenza di Russia, e dell'Iran, sulle rotte del gas e del petrolio provenienti dal Caspio e dall'Asia Centrale.
L'inaugurazione nell'estate 2006 dell'oleodotto Baku-Tiflis-Ceyhan e, lo scorso aprile, dei lavori per la costruzione da parte dell'ENI dell'oleodotto TransAnatolia che collegherà la costa turca del Mar Nero a quella mediterranea, mirano proprio a consolidare la via turca a scapito dell'alternativa russa.
La Russia però non è rimasta a guardare. Mosca lo scorso giugno ha firmato un accordo con Kazakistan e Turkmenistan per far arrivare il gas turkmeno in territorio russo. Una mossa che minaccia di infliggere un duro colpo al futuro del progetto Nabucco, un'iniziativa, ancora in fase embrionale, promossa dall'austriaca OMV con l'intento di far arrivare il metano turkmeno e mediorientale dalla Turchia fino a Vienna, attraverso Romania, Bulgaria e Ungheria.
Da qualche tempo anche l'Iran, in cerca di simpatie ed appoggi a livello internazionale, ha assunto un ruolo più attivo nella partita.
Lo ha fatto, come spesso negli ultimi mesi, rivolgendosi al vicino turco. Lo scorso luglio Tehran ed Ankara hanno firmato un doppio accordo. I ministri dell'energia dei due paesi, Güler e Hamamey, hanno trovato un'intesa per far arrivare in Europa il gas naturale iraniano attraverso il territorio turco. "Oggi abbiamo fatto un grande passo in tema di petrolio e gas naturale e ci siamo accordati perché l'Iran possa inviare il suo gas in Europa attraverso la Turchia", aveva dichiarato il ministro iraniano Hameney. All'accordo è stato poi aggiunto un paragrafo che prevede un'intesa con il Turkmenistan.
A lungo l'Iran si è opposto alla possibilità che il gas turkmeno potesse transitare dal suo territorio. La decisione di includere nell'accordo con Ankara anche il Turkmenistan rende più concreta la realizzazione del progetto Nabucco e mostra la volontà di Tehran di guadagnarsi nuove simpatie tra i paesi europei. Per il momento però quella dell'inclusione del Turkmenistan rimane solo un'ipotesi perché nessun accordo fino a questo momento è stato siglato tra Tehran e Askabat.
L'Iran poi ha concesso, senza alcuna gara d'appalto, alla società petrolifera turca TPAO il diritto di estrarre gas naturale da alcuni dei vasti giacimenti che Tehran ha scoperto nel 1999 nei pressi della città di Asaluye. Lo sfruttamento di questi giacimenti è finanziariamente al di fuori della portata iraniana. Da qui la necessità di trovare partner stranieri. La TPAO prevede di investire nell'operazione 3,5 miliardi di dollari e si è lanciata alla ricerca di altri partner che possano sostenere l'impresa. Gli analisti però esprimono dubbi sul reale vantaggio economico che la Turchia avrebbe da questo accordo. Il gas estratto infatti rimarrebbe di proprietà iraniana. Nel caso in cui la TPAO volesse cederlo alla Turchia o ad un paese terzo dovrebbe prima riacquistarlo da Tehran. Un passaggio che inevitabilmente farebbe aumentare i costi.
Questo doppio accordo che Ankara ha stipulato con Tehran in tema di forniture energetiche non è però piaciuto agli Stati Uniti. Fin dalla scorsa estate il portavoce del dipartimento di stato, McCormack, aveva fatto notare come non "fosse il momento favorevole per investimenti in Iran nel settore energetico", suscitando anche la reazione dell'addetto commerciale dell'ambasciata iraniana ad Ankara che aveva risposto: "Gli USA credono di poter influenzare i paesi della regione secondo i propri interessi".
Fonti diplomatiche turche citate dal quotidiano "Radikal" hanno espresso la loro sorpresa per questa reazione americana di fronte ad una operazione che "ha l'obbiettivo di rispondere all'intesa tra Russia, Kazakistan e Turkmenistan e nel contempo ridurre la dipendenza energetica della Turchia dalle forniture russe."
Le pressioni degli americani, che hanno già portato l'India a rinunciare ad un accordo analogo con l'Iran, non accennano però a diminuire. Alla fine di settembre gli USA sono tornati a chiedere alla Turchia di desistere dal progetto: "Siamo pronti a fornire tutto il nostro aiuto ad Ankara per trovare fonti di approvvigionamento alternative".
Di forniture energetiche e relazioni turco-iraniane con tutta probabilità si tornerà a parlare il prossimo 5 novembre nell'incontro previsto tra Bush ed Erdoğan. L'appuntamento arriva in un momento di alta tensione nelle relazioni tra Ankara e Washington. In primo piano ci sarà la vicenda del riconoscimento del genocidio armeno da parte del congresso americano. Approvata dalla commissione esteri, il suo percorso verso il congresso sembra per il momento congelato in seguito alle pressioni turche ed alla defezione di numerosi deputati che avevano inizialmente sostenuto l'iniziativa. Ma soprattutto Bush ed Erdoğan affronteranno la scottante questione del Nord Iraq.
Ankara chiede un intervento concreto da parte americana per neutralizzare le attività del PKK. Da giorni gli americani assicurano il loro massimo impegno e lanciano appelli per un'azione congiunta con Turchia ed Iraq. Per il momento, dopo il viaggio a Baghdad del ministro degli Esteri Babacan che ha presentato al governo iracheno le richieste turche, tra le quali la consegna dei leader del PKK, il governo turco "dopo molte parole aspetta passi concreti".
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