Per gli attivisti che stanno scendendo in piazza in questi giorni in Turchia i social media sono uno strumento indispensabile per organizzarsi e tenere informata l’opinione pubblica sulle proprie iniziative ma per il primo ministro Erdoğan rappresentano una minaccia
“C’è una minaccia chiamata Twitter, le bugie più grosse vengono pubblicate lì. Quella cosa chiamata social media per me oggi è la più grande minaccia esistente per la società”, ha dichiarato il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan nel corso di un’intervista trasmessa dall’emittente HaberTürk domenica scorsa. Secondo il premier, che dal 27 maggio deve fare i conti con le più dure proteste contro il suo governo da quando ha vinto la prima volta le elezioni nel 2002, le informazioni pubblicate dal sito di microblogging sarebbero uno dei fattori scatenanti delle manifestazioni che stanno attraversando tutto il paese.
Il 5 maggio a Izmir 34 persone accusate di “aver fatto propaganda e incitato alla rivolta” su Twitter sono state arrestate. A lato di un evento pubblico ad Izmir, il prefetto della città Mustafa Toprak ha dichiarato che le persone fermate hanno invitato attraverso il social network a distruggere negozi o aggredire la polizia: “Non è certamente un problema usare mezzi simili per comunicare, ma i messaggi possono avere contenuti che posso spingere le persone a commettere crimini come provocare incendi o compiere saccheggi e atti di vandalismo”. Secondo la segretaria provinciale del principale movimento d’opposizione, il Partito repubblicano del popolo Sevda Erdan Kiliç i tweet delle persone arrestate contenevano solo indicazioni generiche utili ai manifestanti per evitare di imbattersi nella polizia e gli scontri.
Twitter è lo strumento più usato dai manifestanti
Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di New York che hanno monitorato l’uso di internet a partire da venerdì scorso, giornata in cui a Istanbul si sono verificati gli scontri più duri prima che la polizia consentisse agli attivisti di entrare nel Parco Gezi il giorno successivo, Twitter è stato lo strumento più importante usato dai manifestanti per scambiarsi informazioni e comunicare con l’esterno. Tra le 16.00 del 31 maggio e le 14.00 del giorno successivo sono stati inviati circa 2 milioni di tweet con hashtag inerenti alla protesta come “#direngeziparki”, “#occupygezi” o “#geziparki”. L’elemento che differenzia il caso turco da altri movimenti di piazza recenti, sottolineano i ricercatori, è che il sito di microblogging è stato utilizzato principalmente per scambiare informazioni tra attivisti, infatti l’88% dei messaggi sono stati scritti in turco e il 90% è stato inviato dalla Turchia (il 50% da Istanbul) mentre, ad esempio, durante la rivoluzione egiziana solo il 30% dei tweet sulla relativa piazza Tahrir sono stati inviati da utenti locali.
Molti personaggi famosi come Madonna, Roger Waters, tra i fondatori dei Pink Floyd, la stella di Hollywood Ashton Kutcher e lo stesso amministratore delegato di Twitter Jack Doresey, inoltre, hanno usato il sito di microblogging per esprimere la propria solidarietà al movimento Occupy Gezi.
Per gli attivisti che stanno scendendo in piazza in questi giorni in Turchia i social media sono stati quindi uno strumento indispensabile per organizzarsi e tenere informata l’opinione pubblica sulle proprie iniziative bypassando i media tradizionali sotto accusa per il blackout informativo quasi totale e la scarsa attenzione dedicata alle manifestazioni nei primi giorni della mobilitazione.
Il silenzio dei media
Dopo il ritiro della polizia da Piazza Taksim il primo giugno e la riconquista da parte dei manifestanti del Parco Gezi migliaia di persone hanno protestato davanti alle sedi delle emittenti Ntv e HaberTürk e del quotidiano Sabah contro “il silenzio della stampa”, “non vogliamo media partigiani” lo slogan più gettonato. Critiche che insieme alle dimissioni di importanti giornalisti e conduttori come Ömer Aykar, Dilara Eldaş e Mehmet Turgut, hanno spinto alcune emittenti a cambiare linea dando maggiori informazioni sulle manifestazioni. “Tentando di essere imparziali abbiamo fatto degli errori e ce ne scusiamo – ha scritto il 4 maggio in un messaggio ai propri dipendenti, ripreso dai media, il presidente del gruppo Doğuş Cem Aydın a cui fa rifermento l’emittente Ntv, una delle all-news più importanti del paese – Siamo consci del fatto che abbiamo lavorato molto per conquistare la fiducia che le persone avevano in noi. Abbiamo sbagliato, ce ne scusiamo. D’ora in poi faremo il nostro lavoro nel modo più corretto possibile”.
Nonostante l’inversione di tendenza di emittenti come CnnTürk, Ntv e Sky, i sostenitori del movimento Occupy Gezi non si fidano dei media tradizionali - secondo un sondaggio realizzato dai ricercatori dell’Università Bilgi di Istanbul il 91% di loro pensa che il silenzio dei media sia stato un elemento determinate nello spingere i cittadini a manifestare – e preferiscono comunicare e informarsi usando i social media o gli streaming video delle manifestazioni. Proprio per permettere agli attivisti di Occupy Gezi di comunicare con l’esterno in maniera diretta il 6 giugno è nata la web-tv del Parco Gezi, si chiama “Çapul Tv”, “Tv Saccheggio”, termine usato con ironia dai manifestanti da quando Erdoğan, la scorsa settimana ha definito i cittadini che manifestavano “çapulcular” (vandali, saccheggiatori, in italiano).
“Il sistema nervoso di questo movimento, che non ha eguali nella storia della politica turca, sono i social media (“la più grande minaccia”, come li ha definiti Erdoğan)", ha scritto il 5 giugno sul quotidiano Radikal Serdar Kuzuloğlu, esperto di comunicazione e giornalista, rilevando inoltre che "il coordinamento, lo scambio di informazioni, l’organizzazione delle manifestazioni che i media tradizionali hanno ignorato fino a quando migliaia di manifestanti non hanno protestato alla porta delle loro redazioni sono stati realizzati esclusivamente attraverso i social media. Video, foto, avvenimenti sono circolati online. Per questo si può dire che le manifestazioni per il Parco Gezi sono il primo movimento davvero fondato sui social media ”.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa.
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