In vista di un controverso referendum costituzionale, Ankara si scontra apertamente con alcuni paesi europei dove vive una numerosa diaspora turca
Continua, sempre più violento, lo scontro diplomatico tra la Turchia e alcuni paesi europei. La disputa è partita con la Germania, che ha bloccato i comizi dei ministri turchi dell'economia Nihat Zeybekçi e della giustizia Bekir Bozdağ, in viaggio per agitare le ragioni del “sì” al referendum presidenzialista del prossimo 16 aprile tra la numerosa diaspora turca a Berlino e dintorni. E poi seguita l'Olanda, che ha prima dichiarato persona non grata il ministro della Famiglia Fatma Betül Sayan Kaya per poi annullare il permesso di atterraggio al volo del ministro degli Esteri Mevlut Çavuşoğlu in viaggio verso Rotterdam.
In terza battuta si è aggiunta alla lista anche la Danimarca, il cui primo ministro Lars Lokke Rasmussen ha formalmente chiesto al collega turco Binali Yıldırım “di posticipare la sua visita, dal momento che un nuovo incontro non sarebbe scindibile dagli attacchi che la Turchia ha rivolto all'Olanda. Il governo danese segue con preoccupazione gli sviluppi politici in Turchia e un nuovo incontro potrebbe far credere ad una visione danese sulla questione più accondiscendente rispetto agli altri paesi europei, mentre non è affatto così”.
Conseguenze anche in Svezia, dove un evento organizzato da Mehdi Eker, segretario internazionale dell'AKP, è stato cancellato poiché la proprietà dell'edificio in cui avrebbe dovuto svolgersi ha fatto carta straccia del contratto d'affitto. Eker ha accusato il PKK di aver fatto pressioni sulla proprietà, spingendola ad annullare il contratto di locazione: l'evento è stato quindi spostato in un altro luogo, mentre le autorità svedesi hanno garantito il diritto di Eker a tenere pubblici discorsi, precisando però che il governo non ha sponsorizzato né invitato Eker.
Lo sdegno in Turchia
Com'era lecito attenersi, tutto ciò ha causato le ire del presidente Recep Tayyip Erdoğan e dei suoi ministri, ma anche dei partiti repubblicano CHP e nazionalista MHP, quest'ultimo preziosa stampella del governo quando a gennaio il destino della costituzione turca era ancora oggetto di dibattito parlamentare. Erdoğan ha attaccato duramente Germania e Olanda, tacciandole di pratiche che ricordano quelle fasciste e naziste. Parole che hanno suscitato forte sdegno tra le autorità europee.
Anche Kemal Kiliçdaroglu, leader del partito d'opposizione CHP, ha invitato il governo a sospendere le relazioni diplomatiche con l'Olanda durante un comizio elettorale nella città di Adana.
Molti dei giornali turchi hanno affrontato il caso diplomatico come un esempio della turcofobia ed islamofobia che starebbero attraversando l'Europa, incapace di essere fedele ai suoi principi. Un'Europa che deve fare sicuramente i conti con un montante sentimento popolare di ostilità legato alle questioni migratorie: appare però difficile inquadrare l'intera vicenda attraverso la lente dell'islamofobia quando ad appoggiare il divieto per i ministri c'è anche il sindaco di Rotterdam Ahmet Aboutaleb, che ha doppia cittadinanza olandese e marocchina ed è un devoto musulmano.
All'ombra del referendum
Le tensioni sorgono piuttosto dall'avvicinarsi del referendum costituzionale, previsto in Turchia per il 16 aprile prossimo, in cui gli elettori saranno chiamati a decidere sulla proposta di riforma, sostenuta dal governo, che vorrebbe trasformare il paese da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale.
Gli ultimi sondaggi vedono i fronti del No e del Sì molto vicini al 50% e impegnati quindi in un serrato braccio di ferro, in cui il peso dei 3 milioni di potenziali elettori turchi sparsi in Europa potrebbe giocare un ruolo rilevante, se non determinante.
Ecco quindi che le tensioni traboccano inevitabilmente nelle relazioni internazionali. Il governo di Ankara è ad oggi totalmente concentrato sulla vittoria referendaria e non intende arretrare di un passo su questioni che potrebbero indebolirne l'autorevolezza agli occhi dell'elettorato, in una campagna dove l'elemento nazionalista è preponderante fino all'esasperazione.
Il governo turco è dunque pronto a destabilizzare ogni relazione diplomatica, se ciò viene percepito come utile a solleticare l'amor patrio dell'elettore turco e far apparire il partito di governo come l'unico difensore della nazione e la riforma una necessità di fronte agli attacchi del “nemico esterno”.
Ma i rapporti sono tesi anche con molti alleati nella Nato e impattano sull'intero scacchiere regionale. Alcuni analisti sostengono che gli Stati Uniti stiano temporeggiando nelle relazioni con Ankara, perché temono che una presa di posizione netta e contraria all'interventismo turco in Siria agevolerebbe di riflesso il gioco del governo turco nella campagna referendaria, consentendogli di fare leva sul sentimento anti-americano, forte nella pancia del paese, per ottenere preferenze.
Lo scontro diplomatico non è da leggersi solamente come un problema di relazioni bilaterali tra singoli paesi, ma è il prodotto di un dissidio di fondo tra Turchia e Unione Europea nel suo complesso. La storica vocazione europea della Turchia è uscita dall'orizzonte politico proprio con il governo AKP, che non fa più della partnership con l'UE un obiettivo privilegiato, ma preferirebbe considerare l'Unione come un semplice partner commerciale simile a tanti altri. Non potendone fare a meno economicamente - se si considera la dipendenza dell'economia turca sia dal mercato europeo che dagli investimenti esteri -, Erdoğan farebbe invece volentieri a meno dei richiami morali in arrivo dall'Unione europea e di molti dei vincoli giuridici che i trattati in vigore impongono alla Turchia.
Autogol europeo?
L'ostracismo verso i ministri turchi rischia però di rivelarsi un clamoroso autogol per la diplomazia europea. L'Unione disperde al vento quel poco di appeal che ancora conserva presso l'elettorato secolare turco, che dell'Europa si sente sì parte, ma non transige sull'onorabilità della nazione ed è pur sempre pronto a vedere nelle nazioni straniere il nemico che tenta di indebolire la madrepatria.
In una campagna elettorale dove vincerà il contendente che saprà dare maggior sfoggio di orgoglio nazionalista, il bando contro i ministri turchi non solo rischia di servire ad Erdoğan su un piatto il piedistallo ideale da cui ergersi a difensore della patria, ma anche di spazzar via quel poco di soft power ancora in piedi nei confronti della società nel suo complesso.
Eppure non è solo la Turchia ad essere presa dalle convulsioni elettorali. Anche l'Olanda si avvicina ad un'importante scadenza elettorale come le elezioni politiche in un clima di fortissima frammentazione politica, con 28 diverse sigle partitiche a contendersi seggi in un sistema proporzionale puro.
La questione turca è diventata quindi immediatamente protagonista di una campagna dove l'amor patrio e la difesa dall'assertività di Ankara sono diventati elementi capaci di spostare voti importanti, specialmente negli schieramenti della destra olandese, tra cui spicca lo xenofobo Geert Wilders e il suo Partito della Libertà, pronti a cavalcare l'ondata di sentimento anti-turco. Comunque lo si guardi, lo scontro diplomatico in atto appare fomentato ad hoc dagli schieramenti nazionalisti europei ed extraeuropei per un facile tornaconto elettorale.
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