Il presidente turco Recep Tayyp Erdoğan ha ottenuto ieri l'agognata vittoria al referendum costituzionale, che accentra ampi poteri nelle sue mani. Il risultato al di sotto delle aspettative restituisce però un paese pericolosamente diviso. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [17 aprile 2017]
Seppur con un risicato 51% il presidente turco Recep Tayyp Erdoğan ha vinto ieri il “suo” referendum costituzionale: ora potrà accentrare potere nelle sue mani guidare il paese – almeno in prospettiva - per molti anni a venire. L'ennesima vittoria di Erdoğan sembra indiscutibile, eppure la Turchia si sveglia oggi come un paese ancora più spaccato e dal futuro incerto.
Visto lo stato di emergenza in vigore dal fallito golpe del luglio 2016, le purghe che l'hanno seguito e l'assoluto dominio del partito di governo durante la campagna referendaria, il successo al fotofinish di ieri è un risultato al di sotto delle aspettative di Erdoğan, che sperava in un margine ampio e indiscutibile.
Come se non bastasse, le opposizioni denunciano brogli e clima di intimidazione diffusa, contestando apertamente i risultati: invece della stabilità istituzionale che la nuova carica di super-presidente dovrebbe assicurare, almeno secondo Erdoğan, la Turchia rischia quindi di precipitare in un nuovo periodo di instabilità, che va a sommarsi a quelle che già scuotono il paese, dall'intervento militare in Siria al conflitto interno con la guerriglia curda.
Dopo il referendum, anche il fronte dei rapporti con l'Unione europea rischia di deteriorarsi ulteriormente. Bruxelles guarda con sospetto crescente al progetto politico di Erdoğan che somiglia sempre più ad un'aperta autocrazia. E se il prossimo passo del presidente turco sarà davvero, come annunciato ieri, un nuovo referendum per reintrodurre la pena di morte in Turchia, il divorzio tra Ankara e l'Europa potrebbe trasformarsi rapidamente in una pericolosa realtà.
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