La guerra nella vicina Siria acuisce la necessità in Turchia della risoluzione del conflitto armato con il Pkk e di un passo più accelerato nel processo di democratizzazione del paese. L'introduzione ad un rapporto dell'International Crisis Group
Il conflitto con i curdi in Turchia sta diventando sempre più violento, con più di 700 morti in 14 mesi, il numero più alto di vittime negli ultimi 13 anni. Scontri prolungati con i militanti nel sud-est, rapimenti e attacchi ai civili suggeriscono che gli estremisti stiano prendendo il sopravvento nel Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan).
I media governativi e tradizionali dovrebbero resistere all'impulso di chiamare ad una guerra antiterrorismo a tutto campo e focalizzarsi, invece, insieme ai curdi, sulla risoluzione a lungo termine del conflitto. Si avverte la necessità di riformare le leggi liberticide che permettono l'incarcerazione dei rappresentanti politici legittimi della comunità curda e di fare ammenda per gli eccessi delle forze di sicurezza.
Il movimento curdo, inclusi i leader del Pkk, devono ripudiare gli attacchi terroristici ed impegnarsi pubblicamente al raggiungimento di obiettivi politici realistici. Soprattutto, i politici di tutti gli schieramenti devono legiferare sulle richieste di diritti della vasta comunità curda presente in Turchia, includendo l'educazione in lingua-madre; una rappresentanza politica; e una maggiore decentralizzazione. I curdi godrebbero così in Turchia di piena equità e diritti, decaderebbe il sostegno alla violenza del Pkk e il governo godrebbe di una posizione migliore nei negoziati per il disarmo e la smobilitazione dei ribelli.
Quest'ultimo, ha eluso gli impegni sui diritti dei curdi. Nel 2005, il Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) avviò delle “aperture democratiche”, ma il suo impegno ha tentennato già nel 2009. Alcune volte i leader del partito diedero segnali positivi, inclusa la pianificazione di lezioni facoltative di curdo nelle scuole e dimostrandosi favorevoli ad una collaborazione in Parlamento con altri partiti per altre riforme. Altre volte, appariva invece l'intento di schiacciare il Pkk militarmente, minimizzando la vera estensione dei combattimenti, non dimostrando compassione per le vittime civili curde, rivelando profonda sfiducia nei confronti del movimento curdo e non facendo nulla per bloccare l'arresto di centinaia di attivisti pacifici, assumendo in genere un atteggiamento compiacente rispetto alla repressione, mentre sono state sospese le critiche dei partner internazionali a causa delle turbolenze in Medio Oriente.
Anche il movimento curdo ha mandato segnali contraddittori, inclusi i leader delle fazioni legali e del PKK, condannato come organizzazione terroristica in Turchia e in molti altri paesi. Hanno fatto dichiarazioni concilianti, tentando, nella diaspora europea, di attenersi a forme legali di associazione e protesta, e chiedendo ripetutamente una tregua reciproca. Al contempo, in pochi hanno sconfessato gli attentati suicidi, le auto-bombe, gli attacchi ai civili e i rapimenti, in crescita nel 2012. Gli estremisti promuovono la lotta armata, i giovani radicali sfidano i leader più moderati, e centinaia di giovani uomini e donne si uniscono volontariamente alla rivolta. I funzionari antiterrorismo europei e americani accusano inoltre il Pkk di estorsioni e spaccio di droga.
Questi diversi messaggi hanno convinto l'opinione pubblica che i curdi mirino alla creazione di uno stato indipendente, nonostante la maggioranza di essi voglia soltanto veder riconosciuti i propri diritti in Turchia. Il movimento curdo deve parlare con una sola voce, onorando gli impegni dei suoi leader, se vuole essere preso sul serio ad Ankara e le sue lamentele devono essere ascoltate nel resto del paese.
È difficile trovare una soluzione, mentre continuano gli attacchi terroristici e il Pkk promuove offensive sempre più lunghe. I tumulti in atto nella vicina Siria, dove un gruppo affiliato del Pkk ha preso il controllo di almeno un'area a maggioranza curda vicino al confine con la Turchia, preoccupano Ankara e potrebbero accrescere le aspettative degli insorti.
Da ambo le parti, alcuni esponenti parlano di nuovo di ottenere una vittoria militare e sembra che abbiano accettato come costo necessario le diverse centinaia di morti annuali, anche se dopo quasi tre decenni di combattimenti inconcludenti, l'opinione pubblica sia turca che curda, ammette sempre più che l'azione militare da sola non risolverà il problema comune.
È mancata una strategia chiara di risoluzione del conflitto, implementata in parallelo a sforzi in termini di misure di sicurezza rivolte a combattere i militanti armati, convincendo così i curdi che i loro diritti sarebbero stati gradualmente e definitivamente estesi nel processo di democratizzazione della Turchia. Questo è un ottimo momento per affrontare un cambiamento. Le elezioni (presidenziali) non sono previste per i prossimi due anni. È appena stata redatta una nuova Costituzione. L'AKP gode di una sicura maggioranza parlamentare. Il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan dovrebbe cogliere l'opportunità per il conseguimento di riforme democratiche, dando così risposta a molte delle tante richieste curde. Questo processo non richiederebbe negoziati con il Pkk, ma il primo ministro dovrebbe coinvolgere il movimento legale curdo, prendere le sue rivendicazioni in considerazione, renderlo partecipe del processo di riforma.
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