Insieme a una ventina di organizzazioni internazionali OBCT condivide l'appello alle autorità turche perché venga rivisto l'iter processuale che ha costretto lo scrittore, dopo oltre tre anni di detenzione preventiva e il rilascio, a tornare in carcere il 12 novembre scorso
Le prove a suo carico sarebbero sempre le stesse, e secondo gli osservatori internazionali e le organizzazioni per la libertà di stampa firmatarie dell'appello, si tratta di prove del tutto inconsistenti. Ma per il sistema processuale turco quelle prove sono servite a imbastire due processi e a giustificare il riarresto di Ahmet Altan, che era stato inizialmente arrestato il 10 settembre 2016 sulla base di alcune dichiarazioni rilasciate durante un'intervista televisiva. E che da allora ha passato in libertà soltanto una settimana.
Un primo processo, una condanna all'ergastolo poi cancellata, un altro processo con imputazioni diverse ma sulla base delle stesse prove, oltre tre anni di carcerazione preventiva, un'altra condanna stavolta a dieci anni e mezzo di carcere, il rilascio su cauzione e infine, il 12 novembre scorso, dopo appena una settimana, di nuovo l'arresto “per timore di fuga”. Quella che le organizzazioni internazionali definiscono “una persecuzione giudiziaria” colpisce uno dei personaggi di spicco della cultura turca, conosciuto a livello internazionale.
Nell'appello, che ricostruisce nei dettagli il caso giudiziario, si confida in una sollecita decisione della Corte europea dei Diritti dell'Uomo, interpellata da Ahmet Altan per denunciare la lunghezza dei tempi della detenzione preventiva.
Questa vicenda, afferma Thomas Hughes, direttore esecutivo di Article 19 che ha diffuso l'appello sottoscritto anche da OBCT, fa emergere l'arbitrarietà del sistema attuale in Turchia: “A dominare i procedimenti è stata la vendetta politica piuttosto che la giustizia”.
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