La storia di Aziz Güler, combattente caduto nelle file delle milizie nella Rojava, regione siriana a maggioranza curda. Da mesi la Turchia rende difficile il rimpatrio dei corpi dei combattenti morti nella Rojava
Dallo scorso agosto la Turchia rende difficile il rimpatrio dei corpi dei combattenti caduti nelle file delle milizie nella Rojava, la regione siriana a maggioranza curda. Solo dopo 59 giorni di attesa, la famiglia di Aziz Güler, ventisettenne caduto in combattimento lo scorso 21 settembre, è riuscita a spezzare questo embargo de facto e a riportare il corpo del proprio caro ad Istanbul, dove domenica 22 novembre si è poi tenuto il funerale.
Ho visitato la casa di Aziz, poche settimane prima, quando questa triste storia era ancora ben lontana dal risolversi. L'appartamento, situato nella periferia di Beşiktaş, mi aveva colpito per l'atmosfera grigia e austera. La grande sala all'ingresso era arredata soltanto con un grande tappeto e numerose sedie disposte lungo le pareti. Sembrava tutto pronto, in quell'aria di mestizia, per potersi stringere attorno al feretro del proprio familiare e superare insieme il dolore della perdita. Il feretro però non c'era, mancava da 40 giorni.
La madre e il fratello di Aziz mi avevano accolto e raccontato il loro dramma familiare, ben presto divenuto nazionale, proprio nella camera da letto di Aziz, in mezzo ai suoi libri di storia, economia e politica, alle sue fotografie, loro seduti sul letto, io alla sua scrivania. Il padre non c'era, si trovava a Qamislo, Siria settentrionale, all'obitorio dell'ospedale in cui il corpo del figlio era tenuto da così lungo tempo.
Quella di Aziz è una famiglia di umili origini, giunta dalla regione di Bingol ad Istanbul diversi decenni fa. Aziz e suo fratello Umut sono nati e cresciuti nella grande metropoli. Aziz è sempre stato coinvolto in politica e un fervido attivista, uno di quelli per cui la teoria non si può disgiungere dalla pratica. Ai tempi dell'università aveva fondato un sindacato studentesco e aveva militato in formazioni socialiste giovanili. Un uomo d'azione, dunque, che di fronte a quanto stava avvenendo nella Rojava aveva deciso che doveva far qualcosa in prima persona. Poco più di un anno fa era dunque partito per unirsi alla Birleşik Özgürlük Güçleri (BOG), una formazione combattente d'ispirazione marxista affiliata alle ben più note YPG curde.
Per tre settimane la famiglia perse traccia di Aziz, partito senza dir nulla. Soltanto dopo, tramite un contatto, venne a sapere della scelta di andare a combattere in Siria. I primi tempi i familiari si tenevano aggiornati esclusivamente attraverso internet, attraverso le notizie ed i video pubblicati sui social media dall'organizzazione di Aziz. Soprattutto attraverso Twitter. Il primo contatto diretto avvenne poi in occasione dell'attentato a Suruç, nel luglio scorso, quando Aziz contattò i propri cari per rassicurarli sulla sua buona salute. La notizia della morte di Aziz, avvenuta a causa di una mina antiuomo, ha raggiunto la famiglia tramite un Tweet delle BOG. Forse vi sono state anche altre comunicazioni più dirette, ma la mia sensazione è che la famiglia non abbia voluto raccontare di più per non avere con il governo più problemi di quanti già non ne avesse.
A quel punto, grazie alla mediazione di alcuni parlamentari HDP e CHP, il padre riuscì ad avere un colloquio con il governatore di Suruç, legalmente responsabile per l'autorizzazione a riportare la salma in Turchia, ma quest'ultimo opponeva un netto rifiuto al rimpatrio. Soltanto dopo varie insistenze e pressioni l'uomo - secondo la famiglia di Aziz - avrebbe reso noto che il divieto di rimpatrio arrivava, seppur in modo non ufficiale, direttamente dal Primo ministro Davutoğlu.
Poiché le autorità turche continuavano ad evitare contatti diretti con la famiglia, quest'ultima decise di passare alle vie legali. Assistiti dall'avvocato Sinan Varlik, hanno presentato un esposto alla Corte costituzionale turca, il più alto organo giudiziario, contro la decisione ritenuta illegittima del governatorato di Suruç: la legge turca prevede infatti il divieto di rimpatrio delle salme in un unico caso, cioè quando esse rappresentano un possibile focolaio di epidemia. Tuttavia la famiglia era in possesso di un certificato, rilasciato dalle autorità sanitarie di Qamislo, che escludeva nettamente questa possibilità.
La decisione della corte è giunta sorprendentemente già il giorno seguente. La corte ha sottolineato di poter intervenire soltanto se esiste un provvedimento da impugnare e dunque non essendosi il governatorato ancora pronunciato ufficialmente, né positivamente né negativamente, l'esposto era stato rigettato.
Per la famiglia di Aziz era ormai evidente il tentativo delle istituzioni di punire la famiglia per le colpe di Aziz, ovvero essersi arruolato nei ranghi di quelle che la Turchia considera organizzazioni terroristiche. Poiché non vi era un grado di giudizio più alto a cui appellarsi, la famiglia decise di presentare un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, inoltrando una richiesta d'urgenza per la restituzione del corpo e una seconda richiesta di giudizio nei confronti della Turchia per violazione dei diritti umani.
È a questo punto che l'ostilità del governo ha lasciato il passo ad un inatteso e insperato via libera: il corpo di Aziz è potuto rientrare in Turchia.
Se si sia giunti a questo grazie alla pressione della stampa e delle istituzioni, per evitare di farne un caso internazionale o semplicemente perché la “punizione” era sufficiente, non è dato saperlo. L'importante è che Aziz ora è tornato a casa, può essere sepolto nella sua città, vicino a quelle persone che ora potranno andare sulla sua tomba per piangerne la scomparsa. Il funerale si è tenuto nel quartiere di Gazi. "E' paradossale ritrovarsi ad essere felici di poter sotterrare la bara di mio fratello”, ha commentato amaramente Umut, fratello di Aziz.
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