OBC Transeuropa, assieme ad altre organizzazioni per i diritti umani e la libertà di espressione, sottoscrive il seguente comunicato in cui viene criticato il rinvio a giudizio emerso dalla seconda udienza del processo su Gezi Park, definito "un atto di intimidazione"
Noi firmatari, organizzazioni per i diritti umani e la libertà di espressione, condanniamo il provvedimento giudiziario provvisorio preso nella seconda udienza del processo Gezi Park. Secondo il rinvio a giudizio, 16 personalità della società civile e artisti turchi sono accusati di aver progettato “un tentato rovesciamento del governo” e di aver finanziato le proteste pacifiche di Gezi Park. Se dichiarati colpevoli, affronteranno una condanna all'ergastolo senza condizionale.
Riteniamo anche noi che “il processo sia di per sé un atto di intimidazione”, essendo cominciato 6 anni dopo le proteste di Gezi Park, tenutesi nel 2013. Siamo estremamente preoccupati che questo processo possa ancora una volta contribuire a creare un effetto intimidatorio sulla piena applicazione dei diritti di libertà di riunione ed espressione e del legittimo diritto alla protesta, diritti affermati nella Costituzione Turca. Ci appelliamo affinché l'Unione Europea e gli Stati Membri rispondano all'unisono facendo pressione – urgentemente, con forza e all'unisono – sul governo turco in modo che vengano ripristinati lo stato di diritto e l'indipendenza dei tribunali in Turchia.
Il 18 luglio 2019 il collegio giudicante ha deciso di respingere le istanze degli avvocati della difesa che chiedevano di rilasciare Osman Kaval, da 21 mesi in detenzione preventiva, e di ritirare le misure restrittive di controllo, quali il divieto di viaggio, pendenti sugli altri imputati. Sarah Clarke, direttrice di ARTICLE 19 per l'Europa e l'Asia Centrale, ha dichiarato: “Questa decisione rappresenta un lampante esempio della perdurante assenza dello stato di diritto e della mancanza di indipendenza della giustizia in Turchia”. È lo stesso rinvio a giudizio a mostrare una totale mancanza di prove tangibili a sostegno di queste accuse.
Noi ci opponiamo con forza alla detenzione preventiva cui continua ad essere sottoposto Osman Kavala, rinchiuso in un carcere di massima sicurezza da ormai 631 giorni. Nella sua memoria difensiva Kavala ha dichiarato: “In relazione ai capi di accusa non mi è mai stato chiesto nulla da quando sono in prigione né quando mi hanno arrestato. Non sono mai stato interrogato dal pubblico ministero, mai. L'imputazione è stata preparata 16 mesi dopo il mio arresto e anche questo indica che non c'era nessun elemento di prova disponibile”.
Le motivazioni dell'arresto di Kavala non sono supportate a sufficienza nella richiesta di rinvio a giudizio, e questo solleva gravi preoccupazioni sulla proporzionalità e legittimità del suo arresto. La lunga detenzione preventiva, iniziata 4 anni dopo le proteste di Gezi Park, è del tutto ingiustificata e sproporzionata come misura cautelare volta a scongiurare la possibilità di fuga dell'imputato o che costui costituisca una “minaccia per la società”. La lunghezza eccessiva della custodia cautelare di Kavala, 21 mesi, il suo diritto alla presunzione di innocenza, al trattamento umano, al diritto ad un processo equo e alla libertà e sicurezza: tutto ciò è stato violato in un modo assolutamente inaccettabile.
Durante la seconda udienza, gli avvocati della difesa hanno obiettato che le prove raccolte fra maggio e novembre 2013 sulle proteste di Gezi Park erano state "ri-valutate". In un precedente processo avviato sulla base di alcune di queste prove, un tribunale di Istanbul aveva assolto nel 2015 tutti i 26 imputati, compresi due poi imputati nel processo in corso su Gezi Park (Mücella Yapıcı e Tayfun Kahraman). Tuttavia, nell'attuale procedimento, il tribunale non ha preso in considerazione la sentenza del 2015.
La difesa inoltre ha dimostrato l'inadeguatezza delle accuse in base all'art. 312 del Codice Penale Turco che, nel definire il reato, esplicitamente fa riferimento a un “atto di forza o di violenza”. Le proteste di Gezi Park del 2013 invece hanno costituito un movimento pacifico e non violento. Se un atto di forza o di violenza c'è stato, è stato invece da parte della polizia nei confronti dei civili, un uso eccessivo della forza che ha compreso un abbondante utilizzo di gas lacrimogeni contro la folla. L'imputazione, come i difensori hanno continuato a ribadire, non contiene alcun cenno a una organizzazione armata (come da art. 314 del Codice Penale Turco), cosa che ancor di più mina alle fondamenta le accuse.
Il presidente di PEN Norvegia, Kjersti Løken Stavrum, ha dichiarato: “Continueremo a seguire questo processo e a chiedere che vengano fatte cadere tutte le accuse ai danni dei 16 imputati. Il fatto che la richiesta di rinvio a giudizio di 657 pagine, pur del tutto priva di prove concrete, sia stata accettata dal collegio giudicante è purtroppo un ulteriore chiaro indicatore delle pessime condizioni in cui versa lo stato di diritto in Turchia”.
La prossima udienza del processo Gezi Park si terrà a Silivri l'8 e il 9 ottobre 2019, quando saranno sentiti altri imputati e saranno valutate dal giudice le richieste dell'accusa.
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