Ramize Erer - Kaleydoskop

Per lei i tre principi della satira sono l'essere giusti, etici e sinceri. E ad essi, nonostante il clima difficile della Turchia dei nostri giorni, cerca di non venir mai meno. Un'intervista a Ramize Erer

16/07/2018 -  Valentina Marcella

(Pubblicata originariamente sul portale Kaleydoskop l'11 luglio 2018)

In occasione del festival Mediterraneo Downtown svoltosi a Prato lo scorso maggio, la vignettista Ramize Erer è stata ospite insieme alle colleghe Nadia Khiari e Takoua Ben Mohammed di un dibattito sulle vignette come linguaggio giornalistico nel Mediterraneo.

Definita “vignettista femminista”, Ramize Erer è stata una delle prime donne a farsi strada nel panorama delle riviste satiriche turche. Ha esordito negli anni Ottanta nel settimanale Gırgır  e oggi è alla testa del mensile di sole donne Bayan Yanı .

L’abbiamo incontrata per un confronto sulle sfide della satira e delle donne che intraprendono il mestiere di vignettista in Turchia.

Vorrei iniziare questa intervista con un riferimento al passato. La sua carriera ha avuto inizio nei primi anni Ottanta, durante il regime militare che impose enormi restrizioni alla libertà di stampa e di espressione. Nondimeno, lei esordì nella rivista satirica Gırgır che proprio rispetto all’operato della giunta militare divenne un’importante voce di dissenso. Anche oggi, pur trovandosi la Turchia in una fase politica molto diversa, la censura, e di conseguenza l’elaborazione di strategie per aggirarla, è una questione cruciale per i vignettisti. Qual è la sua percezione della situazione di oggi rispetto ad allora?

Durante il regime militare ero una giovane vignettista agli esordi, stavo imparando il mestiere e Gırgır era tutto per me. In quel periodo la rivista fu ritirata dal commercio e costretta a chiudere per un mese (a causa di una vignetta di copertina che venne ritenuta offensiva nei confronti della bandiera turca, N.d.A.). Dopo quell’episodio tutti noi ci ingegnammo a cercare espedienti per fare satira senza che Gırgır finisse nei guai e senza essere arrestati. Ognuno elaborò la propria strategia. Ad esempio Hasan Kaçan creò Cork, un personaggio che parlava un turco storpiato, apparentemente buffo ma soprattutto libero perché grazie alla pronuncia alterata riusciva a dire tutto ciò che voleva. Cork fu un grande successo e arrivò a influenzare anche il nostro linguaggio, in redazione cominciammo a parlare come lui! (ride) La censura era indubbiamente forte e lo stesso vale per il presente. Ogni vignettista cerca la propria strada per continuare a lavorare in modo incisivo e sicuro ma non ci sono certezze. Basti pensare a Musa Kart che è stato in carcere nove mesi e pur essendo tornato in libertà il suo processo non si è ancora concluso.

A proposito di Musa Kart, il 3 maggio, Giornata mondiale della libertà di stampa, la fondazione Cartooning for Peace gli ha conferito il Premio internazionale per la vignetta editoriale 2018 . Questo riconoscimento sottolinea una presa di posizione forte in difesa della satira politica, possiamo considerarlo simbolicamente un premio per tutti i vignettisti di Turchia?

Sono stata molto felice di questo riconoscimento, lo reputo altamente meritato. Credo che possiamo vederlo come un premio che Musa Kart ha vinto per tutti noi soprattutto perché lui è stato in carcere per tutti noi. Questo premio evidenzia anche una dinamica che negli anni Ottanta non esisteva e cioè la visibilità che riusciamo a ottenere all’estero. Sotto il regime militare il nostro operato difficilmente usciva dai confini turchi, oggi l’attenzione internazionale ci dà forza. E questo è doppiamente importante perché adesso c’è una paura diversa, più diffusa e generalizzata, che tutti dal vignettista alla casalinga percepiscono.

Lei ormai vive a Parigi. Quanto peso ha avuto la paura di cui parla nel suo trasferimento?

In realtà io mi sono trasferita una decina di anni fa, prima che si iniziasse a respirare questa atmosfera.

Vivendo all’estero si sente più libera di fare il suo mestiere? Le sue vignette sono comunque pubblicate in Turchia e rivolte ai suoi connazionali.

In realtà c’è sempre una certa premura, ma senza venir meno a quelli che io considero i tre principi della satira, cioè essere giusti, etici e sinceri. Se si tradiscono questi principi si perde la fiducia dei lettori. Quindi, per quanto un certo livello di autocensura sia innegabile, le vignette arrivano sempre a dire quello che vogliono. La satira è così, o la fai o non la fai, non esiste farla senza colpire nel segno. E questo vale con tutti i target, non solo nel caso dei leader politici.

Ci sono dei temi che lei preferisce non trattare? Penso alla linea di Oğuz Aral quando era direttore di Gırgır che imponeva che non si ironizzasse sui difetti fisici e sulla religione.

Sì, c’era una certa sensibilità perché Gırgır era una rivista molto letta, entrava nelle case di tutti. È vero che non faceva satira sulla religione in sé ma prendeva spesso di mira i conservatori, la fiducia indiscussa negli imam. Adesso trattare questi aspetti è diventato molto più difficile. Purtroppo in Turchia è così, in Francia invece la satira è molto più libera.

E lei adesso disegna con una mentalità più turca o francese?

Cerco di fare attenzione perché conosco la mia gente. Sono sempre in cerca della narrazione migliore ma non sempre la trovo senza suscitare polemiche. Per esempio, qualche tempo fa ho disegnato una copertina di Bayan Yanı ispirata alla notizia di una donna che aveva lasciato il marito per scappare con la cognata. Mentre i media la raccontavano come una vicenda tragica, dal punto di vista del marito abbandonato, io l’ho voluta rappresentare come una storia d’amore concentrandomi sul sentimento che legava le due donne. Essendo una vignetta di copertina, dunque ben visibile nelle edicole, in redazione abbiamo ipotizzato polemiche da parte degli ambienti contrari allo sdoganamento dell’omosessualità. Si è quindi deciso, anche se io personalmente non ero molto convinta, di cambiare leggermente la narrazione aggiungendo un riferimento alla violenza sulle le donne. Il risultato è stato che sono piovute lamentele dagli ambienti LGBT, che ci hanno accusato di dare un’immagine falsata del lesbismo. Ricordo anche una mia vecchia vignetta per il quotidiano Radikal che suscitò grande clamore in una singola cittadina per via di un gioco di parole che fu ritenuto offensivo. Arrivarono lettere da varie associazioni locali e perfino dal governatore. Ci si può trovare in situazioni del genere per i dettagli più impensabili, le persone possono essere molto suscettibili in Turchia.

Lei è alla guida di Bayan Yanı, una rivista nata come pubblicazione una tantum che è poi diventata un mensile. Ha mai pensato di trasformarla in un settimanale, come è tradizione per le riviste satiriche turche?

Bayan Yanı è nata quasi per caso. Durante una vacanza mio marito, che era ed è direttore del settimanale satirico LeMan, mi ha proposto di preparare un numero speciale per l’8 marzo. Ho raccolto alcune vecchie idee, ne ho buttate giù di nuove, ho coinvolto alcune colleghe e così abbiamo fatto quel numero. Visti gli immediati responsi positivi abbiamo deciso di portare avanti il progetto ma senza prendere in considerazione la cadenza settimanale; è un lavoro molto impegnativo e non sarebbe semplice.

Ha citato suo marito, il vignettista Tuncay Akgün. Quanto è diverso intraprendere questo mestiere per un uomo e per una donna in Turchia?

Quando ho cominciato io era molto difficile per le donne perché era un ambiente dominato dagli uomini e una ragazza che faceva vignette non veniva presa sul serio. Con Özden Öğrük siamo state le prime e questo grazie a Oğuz Aral che ci ha aperto le porte di Gırgır dandoci la possibilità di imparare il mestiere e crescere in quella rivista. Ci disse che probabilmente avremmo dovuto faticare il doppio degli uomini per farci un nome e effettivamente fu così. Inizialmente non fu facile trovare un linguaggio nostro ma la rubrica che Oğuz Aral ci assegnò, Biz bıyıksızlar (Noi, le senzabaffi), fu un importante spazio di sperimentazione. Successivamente creai un personaggio femminile per la rivista satirica Hıbır. Poi, grazie alla mia ostinazione – essere ostinate era fondamentale! – sono approdata al quotidiano Cumhuriyet e in seguito a Radikal, dove ho cominciato a disegnare un personaggio femminile sfrontato, con le gambe scoperte e senza peli sulla lingua. Kötü kız (Cattiva ragazza) è nata così, un personaggio insolito per i lettori di quotidiani, abituati alla satira politica in senso stretto. Ero l’unica donna a disegnare regolarmente per un quotidiano in quel periodo, per di più con vignette non sui politici ma sulla vita, le relazioni, il sesso; trattavo la sessualità delle donne con uno sguardo di donna e questa era una novità. Credendoci siamo riuscite a crearci uno spazio, che resterà per le vignettiste che verranno dopo di noi.

Cosa direbbe a una giovane donna intenzionata a diventare vignettista oggi, la incoraggerebbe?

Dipende sempre da come lavora perché è necessario avere le basi e un’idea chiara di cosa sia questo mestiere, ma certamente non scoraggerei nessuna potenziale vignettista in quanto donna. Anzi, la inviterei a proporre il suo materiale a Bayan Yanı.

Cosa pensa delle figure femminili disegnate dai suoi colleghi uomini? Senza voler generalizzare, spesso le rappresentazioni della donna che emergono dalle vignette al maschile ricalcano stereotipi di genere problematici, che anche Bayan Yanı cerca di abbattere.

Ciò di cui parlo maggiormente nelle mie vignette sono i desideri delle donne. Prima c’erano solo i desideri degli uomini, i loro sguardi, ma adesso anche il loro punto di vista è cambiato. Indubbiamente c’è chi promuove ancora visioni della donna problematiche ma in generale la presenza nostra e del nostro sguardo ha influenzato anche i colleghi dell’altro sesso, che oggi sono più consapevoli. Credo che ormai anche il più maschilista dei vignettisti consideri la questione con una certa sensibilità, questa almeno è la mia impressione.

Che idea si è fatta delle riviste satiriche di stampo conservatore che sono nate in Turchia negli ultimi anni?

Li reputo dei tentativi fallimentari perché non riescono a fare satira. Credo che non facciano ridere neanche il pubblico a cui mirano.

Concluderei con uno sguardo al futuro. Attualmente in edicola troviamo Bayan Yanı come mensile e LeMan e Uykusuz come settimanali, mentre Penguen e Gırgır hanno chiuso lo scorso anno. Quanto è ottimista riguardo al futuro delle riviste satiriche?

Dieci anni fa lo scenario era più roseo, queste riviste avevano un grande seguito. Pian piano sono calate le vendite e qualcuno non è più riuscito ad andare avanti. Anche fare satira di opposizione è diventato più difficile. Le condizioni possono sembrare poco incoraggianti ma noi resistiamo.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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