Per la prima volta dall’invasione russa, la maggior parte dei cittadini statunitensi è contraria all’invio di aiuti a Kyiv. Il supporto all’Ucraina mostra crepe non indifferenti anche al Congresso e potrebbe essere definitivamente compromesso in vista delle presidenziali del 2024
Da febbraio 2022 a ottobre 2023, il Congresso statunitense ha approvato lo stanziamento di circa 113 miliardi di dollari finalizzati al contrasto dell’aggressione russa all’Ucraina. Di questi, circa 44 miliardi sono stati spesi per finanziare direttamente l’invio di armamenti alle forze armate ucraine che, insieme a quelli ricevuti dagli altri alleati, hanno fino ad ora giocato un ruolo fondamentale nella difesa del Paese dalla brutale aggressione decisa da Putin. Ma con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali statunitensi del novembre 2024, un gruppo sempre più nutrito di parlamentari repubblicani sta tirando il freno a mano, e in futuro potrebbe riuscire a bloccare l’approvazione di nuovi aiuti.
Ciò riflette un crescente malumore tra la popolazione statunitense – soprattutto tra gli elettori conservatori – nei confronti del sostegno militare che gli Stati Uniti hanno fino ad oggi offerto all’Ucraina. Un sondaggio condotto nel luglio scorso dal centro di ricerca SSRS per la CNN ha rilevato come, per la prima volta dall’inizio del conflitto, la maggioranza dei cittadini statunitensi (il 55%) sia contraria all’approvazione di nuovi aiuti da parte del Congresso. Questa maggioranza è decisamente più pronunciata tra gli elettori del Partito Repubblicano, dei quali quasi tre su quattro (il 71%) disapprovano l'invio di nuovi aiuti, mentre il 59% è convinto che gli Stati Uniti abbiano già fatto abbastanza per aiutare l’Ucraina. Nel giugno scorso, un’altra serie di sondaggi del PEW Research Center aveva rilevato come il supporto a Kiev fosse già in calo da mesi, anche in questo caso soprattutto tra l’elettorato repubblicano.
Secondo alcuni osservatori internazionali questo trend sarebbe dovuto alla cosiddetta war fatigue, ovvero la stanchezza dell’opinione pubblica e dei media nei confronti di un conflitto che si protrae ormai da quasi due anni e sembra giunto a uno stallo. Ma il fatto che siano soprattutto gli elettori del Partito Repubblicano a mostrarsi sempre più intransigenti è la manifestazione di un fenomeno ben più profondo e radicato.
Ormai da anni, si fa avanti tra le file dei conservatori un’idea ben sintetizzata dallo slogan di Trump “America First”. Chi lo condivide, vale a dire l’ala destra oggi apparentemente maggioritaria dell’elettorato repubblicano, ritiene che gli interessi degli statunitensi debbano venire prima di tutto, e considera dunque il sostegno agli alleati internazionali e il coinvolgimento degli Stati Uniti nelle guerre oltre confine uno spreco di risorse che potrebbero essere spese per migliorare la situazione interna. Questo punto di vista si contrappone alla visione più classica della politica estera statunitense – spesso condivisa sia dal Partito Repubblicano che dal Partito Democratico –, cioè quella che considera una priorità assoluta il mantenimento dell’egemonia globale degli Usa, anche e soprattutto attraverso il sostegno agli alleati strategici in un’ottica di contrapposizione alle potenze avversarie.
Ultima ma non ultima, non è da dimenticare l’intesa di lunga data tra le destre radicali di tutto il mondo e Putin, mai veramente sopita nemmeno dopo l’invasione del febbraio 2022.
Queste motivazioni si inseriscono in un contesto di lotta interna al Partito Repubblicano: ormai da qualche anno la destra, grazie anche al vasto sistema di informazione ad essa legato, punta alla conquista totale del Grand Old Party spingendo l’elettorato conservatore verso posizioni più estreme al fine di mettere in difficoltà l’area centrista del partito. Lo scetticismo sugli aiuti all’Ucraina fa parte di questa strategia, che ha l'effetto concreto di marginalizzare progressivamente i repubblicani decisi a mantenere una posizione bipartisan di sostegno all'Ucraina e di spostare l'intero partito verso posizioni più esplicitamente contrarie ad ulteriore assistenza.
La Camera dei Rappresentati sempre più anti-Ucraina
Il cambio di posizioni all’interno del Partito Repubblicano sta avendo un effetto sempre più visibile anche sulle decisioni di voto al Congresso. A fine aprile 2022, il voto alla Camera dei Rappresentanti che permise di sbloccare i primi veri e propri prestiti e l’invio di attrezzature militari a Kyiv vide l’opposizione di soli 10 deputati repubblicani (196 votarono a favore, insieme a tutti i 221 deputati democratici presenti). Nel maggio 2022, diventarono 57 i membri del GOP contrari a una legge che includeva lo stanziamento di circa 40 miliardi di dollari in risposta all’invasione russa. Qualche settimana più tardi, tre emendamenti proposti da alcuni deputati della destra repubblicana che intendevano ridurre in maniera più o meno consistente gli stanziamenti a favore del governo ucraino dal National Defense Authorization Act del 2023 (la legge che definisce il budget annuale del Dipartimento della Difesa statunitense) ottennero l’approvazione di un numero compreso tra 70 e 89 repubblicani. Infine, lo scorso settembre, i deputati conservatori che hanno votato contro lo stanziamento di 300 milioni di dollari in aiuti a Kyiv sono diventati 117: per la prima volta la maggioranza del partito alla Camera.
Al Senato la situazione è meno polarizzata. Esiste un gruppo di senatori dell’ala destra repubblicana che quando ne ha l’occasione si oppone agli aiuti all’Ucraina, ma che per ora rimane minoritario. L’establishment del partito – compreso l’influente e longevo capogruppo di minoranza Mitch McConnell – porta avanti l’approccio classico alla politica estera e appare fermamente convinto della necessità di supportare Kyiv. La lunga durata di sei anni del mandato da Senatore, oltretutto, non incentiva il cambio di posizioni politiche al fine di inseguire l’elettorato per conquistarne il consenso – cosa che avviene più facilmente alla Camera, dove i deputati devono sottoporsi all’esame delle urne ogni due anni.
A inizio ottobre la questione degli aiuti all’Ucraina è diventata centrale nelle trattative tra democratici e repubblicani per evitare lo shutdown governativo, ovvero il blocco totale delle attività della pubblica amministrazione che avviene qualora non si trovi un accordo sulla legge di bilancio annuale. Solo l’esclusione degli aiuti all’Ucraina e di altre misure invise al Partito Repubblicano ha permesso di schivare lo shutdown, almeno temporaneamente. Ciò, tuttavia, non è bastato ad evitare una clamorosa sfiducia dell’allora speaker repubblicano della Camera (il corrispettivo del nostro presidente) Kevin McCarthy, accusato dall’ala destra del suo partito di essere sceso troppo a compromessi con i democratici.
Il nuovo speaker individuato ed eletto dai repubblicani, Mike Johnson, ha in passato quasi sempre votato contro gli aiuti all’Ucraina e pochi giorni fa, di fronte a nuove trattative per rinviare lo shutdown, ha trovato un accordo temporaneo che ancora una volta esclude un consistente pacchetto di stanziamenti per Kyiv. La battaglia si riaprirà nelle prossime settimane o all’inizio del 2024, quando il Congresso potrebbe essere chiamato a votare lo stesso pacchetto, che include 61 miliardi di aiuti all’Ucraina . Seguendo l’onda ideologica dell’“America First”, Johnson sembra intenzionato a legarne l’approvazione al finanziamento di politiche più severe per la sicurezza delle frontiere statunitensi.
Le prospettive
Il Partito Repubblicano, come abbiamo visto, rimane diviso e tumultuoso al suo interno. Ma cosa succederà se l’ala destra dovesse prendere definitivamente il sopravvento e bloccare ulteriori aiuti all’Ucraina?
Secondo il New York Times , nel breve termine il sostegno statunitense a Kyiv non verrà a mancare. Questo perché non tutti gli aiuti approvati dal Congresso sono ancora stati attivati: se infatti al parlamento tocca il compito di allocare dei fondi, sono Presidente e Dipartimento della Difesa a decidere quando spenderli. All’inizio di ottobre, Washington aveva ancora a disposizione 5,6 miliardi di dollari in aiuti militari da fornire a Kyiv. Inoltre, attraverso la “Ukraine Security Assistance Initiative” sono stati stipulati una serie di contratti a medio e lungo termine per un totale di altri 5,6 miliardi di dollari finalizzati alla produzione e l’invio di nuovi armamenti. Questi contratti non saranno compromessi da un ipotetico blocco degli aiuti. Sempre secondo il New York Times, l’aspetto più preoccupante potrebbe invece riguardare gli aiuti umanitari, dato che in questo caso non è chiaro quanto denaro spendibile sia rimasto nelle casse del governo statunitense.
Certo è, come rimarcato dalla stessa Casa Bianca , che senza nuovi stanziamenti i fondi statunitensi a favore dell’Ucraina saranno comunque destinati a esaurirsi nel medio e lungo termine. Un esito che potrebbe compromettere le capacità di difesa dell’Ucraina e determinare l’esito di uno dei conflitti più gravi della nostra epoca. Starà agli elettori statunitensi, e ai membri di un Partito Repubblicano che rischia di essere definitivamente sopraffatto da estremisti con malcelate tendenze autoritarie, decidere che strada prendere in occasione delle elezioni dell’anno prossimo.
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