Firmando alla Casa Bianca l'accordo di “normalizzazione economica” con Pristina il presidente serbo sapeva cosa stava facendo? Con la promessa di spostare l'ambasciata a Gerusalemme la Serbia si tira addosso le critiche di mondo arabo, Unione europea, Russia e anche Cina
(Pubblicato originalmente da Le Courrier des Balkans il 14 settembre 2020)
"La Serbia si impegna ad aprire un ufficio commerciale questo settembre a Gerusalemme e a trasferirvi la sua ambasciata il prossimo luglio", ha esclamato visibilmente soddisfatto Donald Trump nello Studio Ovale. Era il 4 settembre, giorno della firma dell'accordo di "normalizzazione economica" tra Belgrado e Pristina. "È fantastico, un grande giorno per la pace in Medio Oriente!”. Lo sguardo del presidente serbo diviene fisso. Aleksandar Vučić, seduto ad una piccola scrivania alla destra del presidente americano, si china sulle sue carte, si volta visibilmente preoccupato verso i suoi consiglieri, si passa una mano sulla fronte, poi finge di sistemarsi un ciuffo. Respira profondamente. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è già congratulato con lui online, così come il primo ministro del Kosovo Avdulah Hoti. È proprio un capello nella zuppa, quando invece il documento che andava a sottoscrivere doveva essere solo un accordo economico, come ha del resto ripetutamente affermato il presidente serbo dal suo arrivo a Washington.
L'accordo non rappresenta un passo avanti concreto nelle relazioni tra Serbia e Kosovo. Si tratta in gran parte della riproposizione delle dichiarazioni di intenti firmate pochi mesi prima sulle aperture di una linea ferroviaria e di una linea aerea tra Belgrado e Pristina, e di alcuni copia e incolla di elementi degli accordi conclusi sotto gli auspici dell'UE a Bruxelles, come il riconoscimento reciproco dei diplomi universitari. Ci sono però alcune novità, come la depenalizzazione dell'omosessualità o l'impegno del Kosovo a far parte del "mini-Schengen" balcanico. Ma sono gli interessi americani ad essere principalmente difesi in questo testo, che non ha mancato di provocare il malcontento di Unione europea, Cina, Russia e Paesi arabi.
I due paesi si impegnano ad esempio a non acquistare apparecchiature per reti 5G da fornitori "sospetti" (Huawei compresa), si impegnano a diversificare le proprie fonti energetiche (in altre parole non acquistare solo gas russo, ma forse anche il gas americano ed è previsto l'ammodernamento del porto di Durazzo in Albania, grazie alla concessione di crediti americani, che dovrebbero essere utilizzati anche per costruire l'“autostrada della pace” tra Pristina e Niš. “In altre parole, un corridoio che collegherebbe Durazzo a Belgrado, attraverso la base americana di Bondsteel ", sintetizza sotto condizione di anonimato un ex diplomatico serbo. Una risposta alla "nuova via della seta "cinese, che collega il porto del Pireo a Budapest. "Da un punto di vista formale, questo documento non ha valore diplomatico, è al massimo un promemoria", si afferma negli ambienti diplomatici. Tanto più che nessun rappresentante del ministero serbo degli Affari Esteri non era né coinvolto né presente alla Casa Bianca.
Ma l'effetto politico di questo accordo non è per questo meno sostanziale. Carl Bildt, co-presidente del Consiglio europeo per le relazioni internazionali (ECFR), è stato il primo a prendersi gioco del presidente Vučić twittando il video della sua reazione con il titolo "Come il presidente serbo viene a sapere che l'ambasciata in Israele si trasferisce a Gerusalemme". Poi è stata la volta del portavoce dell'Unione Europea, Peter Sano, che ha ricordato la neutralità di Bruxelles sullo status di Gerusalemme, "capitale" di Israele, "città occupata" per la Palestina. "Qualsiasi gesto diplomatico che possa rimettere in discussione la posizione comune dell'UE su Gerusalemme è da deplorare", ha detto.
Arrabbiata anche la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zaharova, che ha twittato due foto, una mostra Aleksandar Vučić seduto come uno scolaro davanti a Donald Trump, e sotto la famosa scena del film Basic Instinct in cui Sharon Stone mostra le sue parti intime al poliziotto che la interrogava. "Se siete invitati alla Casa Bianca e la sedia è posizionata come se foste sotto interrogatorio, siete seduti come nella foto 2", ha commentato. In seguito Maria Zaharova si è scusata, spiegando che il suo messaggio era stato "interpretato male".
Dal canto suo, l'ambasciatore palestinese in Serbia, Mohamed Nabhan, ha insistito sulla Risoluzione Onu 478 che richiede una soluzione globale del conflitto israelo-palestinese prima che venga affrontata la questione della capitale. "Ignorare questa risoluzione significa schernire altre risoluzioni Onu, come la 1244, che garantisce l'integrità territoriale della Serbia", ha sottolineato, ricordando che Belgrado stava così tagliando il ramo a cui era attaccata. “Per noi, così come per la Lega Araba, nessuna rappresentanza a Gerusalemme è accettabile, nemmeno commerciale. Se questo processo dovesse concludersi, le relazioni diplomatiche verrebbero immediatamente interrotte. Speriamo che la Serbia scelga di scendere da dove si era appollaiata. Noi stiamo preparando una scala con diversi gradini”, ha concluso il diplomatico di stanza a Belgrado da decenni.
Oggi rimangono solo le briciole di quelle che erano le relazioni della Jugoslavia con i paesi arabi, che la Serbia aveva cercato di rilanciare, soprattutto durante la presidenza di Boris Tadić (2006-2012), perseguendo la politica del movimento non allineato. In passato le grandi aziende statali jugoslave hanno costruito strade, dighe ed edifici in tutto il Medio Oriente. Poi il tutto si è ridotto alla vendita di armi e munizioni, un'attività ora sotto il monopolio di società private vicine al Partito progressista serbo (SNS) al governo. "Lo stato non ha più una presenza effettiva nei paesi arabi e musulmani, ma quella poca credibilità che aveva è ora andata persa", ha dichiarato un ex diplomatico serbo. Quanto sta avvenendo potrebbe portare alla perdita di un sostegno importante, quello dell'Organizzazione per la cooperazione islamica, che riunisce 57 stati, il più importante dei quali è la Turchia, la cui vocazione è anche quella di sostenere il popolo palestinese.
Per non parlare del rischio per la sicurezza a cui è esposta la Serbia mettendosi contro entrambe le ali militari e politiche di Hezbollah, oggi considerate "organizzazioni terroristiche". "È alienarsi sia l'Iran che la Siria, stati sciiti che non hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo, e incorrere nell'ira di uno dei gruppi che è al potere in Libano", analizza il Centro di Belgrado per il dialogo sociale e le iniziative regionali, sottolineando che 140 soldati serbi sono al servizio della Forza provvisoria delle Nazioni Unite in Libano (UNIFIL), a Naqoura, cuscinetto tra Hezbollah e Israele.
Tra i paesi arabi e musulmani la Serbia ha avuto, negli ultimi anni, strette relazioni soprattutto con gli Emirati Arabi Uniti (EAU). In modo spettacolare: con il faraonico progetto immobiliare Belgrade Waterfront; con l'acquisizione della JAT - ora Air Serbia - da parte di Etihad Airways; con controversi acquisti e affitti di terreni agricoli in Vojvodina, ecc. A metà agosto, gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato il loro riavvicinamento con Israele e il trasferimento della loro ambasciata a Gerusalemme. Dietro questo accordo, un uomo nell'ombra: il palestinese Mohammed Dahlan, rivale di Mahmoud Abbas. Originariamente legato al clan Đukanović, è stato attraverso la sua intermediazione che Belgrado si è avvicinata agli Emirati Arabi Uniti dopo che l'SNS è salito al potere. Questo gli è valso un passaporto serbo nel 2015 per i "servizi resi".
“Per quanto riguarda la questione israelo-palestinese, la politica serba è schizofrenica da anni. Ma finora eravamo riusciti a sederci su due sedie. Tuttavia, una di queste sedie è stata appena tolta", sottolinea Dragoslav Rašeta dell'organizzazione La terza via. Belgrado ha sostenuto la creazione dello Stato di Israele nel 1948, privilegiando nella scelta la lotta antifascista. Ma nel 1967 Tito aveva interrotto le relazioni diplomatiche con lo stato ebraico dopo la Guerra dei Sei Giorni e la decisione di occupare la Cisgiordania. Una decisione che aveva diviso la Lega dei Comunisti. Fu solo nel 1992, nel mezzo della dissoluzione jugoslava, che Slobodan Milošević decise di riavviarle.
Negli ultimi anni, il presidente Vučić è riuscito a condurre una diplomazia sul filo del rasoio, oscillando tra l'UE, gli Stati Uniti, la Russia e ora la Cina. Perché si è sparato al piede col rischio che mezzo mondo gli giri le spalle per ottenere il sostegno di un presidente che non è nemmeno sicuro che venga rieletto il prossimo 3 novembre? Una scommessa audace, un cambio di strategia... o una nuova manovra per allentare la pressione americana e rimanere al potere ancora per molto tempo?
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