Un embargo alla Crimea avviato da militanti tatari non fa che allontanare sempre più la penisola dall'Ucraina. Un commento
(Pubblicato originariamente da openDemocracy.net, il 12 ottobre 2015)
L'Ucraina non ha perso la Crimea solo nel marzo del 2014: l'ha persa costantemente negli ultimi 23 anni.
Dall'indipendenza dell'Ucraina nel 1991 nessun presidente o governo ucraino ha mai tentato di integrare la Crimea nella più ampia società ucraina. La Crimea è sempre stata una regione speciale e non nel senso buono che questo aggettivo può avere. Per le forze politiche “pro-russe”, controllate dagli oligarchi – sostenute in gran parte da russi-etnici - la Crimea è stata sempre un bacino di voti facili che prontamente forniva un significativo pacchetto di voti contro le forze nazional-democratiche “pro-occidentali”.
Per queste ultime la Crimea ha rappresentato un continuo mal di testa: i nazional-democratici ucraini semplicemente non hanno mai saputo che fare – in termini di integrazione socio-politica – con quel milione e mezzo di russi etnici e con migliaia di ucraini ampiamente russificati. I nazional-democratici, tuttavia, sono sempre andati d'accordo con il Mejlis della Comunità tatara di Crimea, organismo istituzionale che rappresenta i tatari nella regione. Sia nazional-democratici che il Mejlis hanno sempre avuto lo stesso scetticismo nei confronti dell'egemonia della cultura russa in Crimea.
I sentimenti pro-russi – dall'insistenza sul riconoscimento del russo come lingua ufficiale sino ad arrivare a sostenere il diritto alla secessione - sono sempre stati una “fede” prevalente tra i cittadini politicamente attivi della Crimea. L'atmosfera politica generale – generata e sostenuta dal soft power della Russia, dai media e dai partiti ucraini filorussi – è sempre stata pro-russa.
E' difficile affermare che il fallimento dei nazional-democratici nell'offrire un progetto integrante alla maggioranza della popolazione della Crimea fosse voluto. Il problema è che le forze nazional-democratiche dell'Ucraina – Madrepatria di Yuliya Tymoshenko, Nostra Ucraina di Viktor Yushchenko e in generale le forze politiche della rivoluzione arancione – non hanno mai avuto un vero progetto nazionale che coinvolgesse tutta l'Ucraina. Nei fatti, nessuno lo ha mai avuto.
La politica ucraina è sempre stata un gioco di potere tra oligarchi (che controllavano alcuni partiti ed alcuni parlamentari) e le élite al potere. Idee ed ideali raramente hanno contato qualche cosa, se non in periodo pre-elettorale in cui occorreva mobilitare segmenti dell'elettorato sotto specifiche bandiere ideologiche.
Ma per stimolare, in Crimea, un sentimento pro-ucraino servivano sforzi maggiori. La fedeltà politica all'Ucraina, a meno che non si fosse appartenenti alla comunità ucraina in Crimea, è sempre stato un riflesso condizionato più che incondizionato, sviluppato attraverso discussioni e riflessioni sulla politica internazionale, sull'Unione europea, sul significato di democrazia. E in pochi hanno osato mettere in discussione, in Crimea, il consensus pro-russo.
Senza sparare un colpo, le autorità ucraine hanno perso la battaglia per i cuori e le menti della maggioranza della popolazione della Crimea ben prima avvenisse l'occupazione e l'annessione da parte della Russia. I nazional-democratici saliti al potere dopo la rivoluzione, confusi e disorientati, non hanno nemmeno provato a resistere all'occupazione russa e hanno lasciato facilmente la Crimea a Mosca.
Senza dubbio alcuni di loro hanno persino tirato un sospiro di sollievo: è finito il loro mal di testa mentre i loro oppositori “pro-russi” perdevano così una fetta consistente di elettorato.
L'embargo e la sua ragione d'essere
Dopo l'annessione, in Crimea è stato adottato il sistema legale russo il che ha portato – rispetto al “periodo ucraino” - una limitazione sostanziale dei diritti civili della popolazione locale.
Molti se ne sono andati verso la "madrepatria Ucraina". Quelli che hanno sofferto di più sono stati i tatari della Crimea, fedeli al Mejlis, in particolare quelli che avevano espresso apertamente la loro lealtà all'Ucraina ed ai nazional-democratici. Arresti illegittimi e sparizioni sono stati la norma di un regime del terrore dello stato russo contro i suoi oppositori. Di alcuni degli scomparsi si sono ritrovati poi i cadaveri. Anche attivisti non tatari ma pro-ucraini hanno subito discriminazioni, le più infami sono state le sentenze a carico di Oleh Sentsov e Oleksandr Kolchenko.
In risposta alle repressioni e all'annessione della Crimea i leader del Mejlis, ai quali è stato impedito di entrare in Crimea da parte delle autorità russe, hanno lanciato, lo scorso 20 settembre, un blocco via terra della penisola di Crimea impedendo il passaggio di cibo e beni. Il Mejlis ha reso pubblici i motivi dell'embargo in un suo comunicato.
Secondo il comunicato obiettivo principale è la “liberazione della Crimea e la restaurazione dell'integrità territoriale dell'Ucraina”. Poi il comunicato elenca una serie di richieste, tra queste una protezione efficace dei diritti e delle libertà dei cittadini ucraini in Crimea, la fine immediata della repressione e delle discriminazioni nei loro confronti, il rilascio immediato dei prigionieri politici tra cui gli attivisti tatari, Nadezhda Savchenko, Oleh Sentsov e Oleksandr Kolchenko. Nel comunicato inoltre si chiede venga tolto il divieto di ingresso in Crimea ai leader del Mejlis, l'interruzione dei processi penali a carico di attivisti della società civile e la presenza permanente di missioni internazionali, comprese le Nazioni unite, in Crimea.
La richiesta finale del blocco è però indirizzata alle autorità ucraine: il ritiro della legge che ha fatto della Crimea una zona economica franca, criticata tra l'altro anche da numerose organizzazioni che si occupano di diritti umani. Le autorità ucraine hanno tacitamente lasciato fare ed è stata dislocata la polizia nei tre passaggi di ingresso in Crimea dalla ‘Ucraina principale’.
Le falle dell'embargo
L'embargo, comunque, non solo era destinato a fallire fin da quando è stato avviato, ma si è dimostrato controproducente anche per gli interessi della stessa Ucraina e dei suoi cittadini.
Per dirlo in modo esplicito: il blocco non porterà mai alla “liberazione della Crimea”. Putin ha occupato la Crimea non perché i russi che vi vivevano fossero minacciati (come dichiarato) ma solo per consolidare il suo regime in casa propria. Quindi è ininfluente quanto questo embargo porti difficoltà alla popolazione della Crimea, Putin non restituirà la Crimea perché questo lo delegittimerebbe e porterebbe alla fine del suo regime.
Anche la maggior parte degli ucraini sono scettici sull'efficacia di creare un embargo attorno alla penisola. Secondo un recente sondaggio solo il 12.9% degli intervistati ritiene che la Crimea possa venir restituita all'Ucraina attraverso atti di resistenza non-militare e non-violenta.
Inoltre i russi non ottempereranno a nessuna delle richieste di chi sta portando avanti l'embargo perché segnerebbe un precedente e incoraggerebbe ulteriori pressioni simili sulle autorità russe. Se i promotori del blocco speravano di rinvigorire la “questione della Crimea” sui media occidentali, hanno fallito anche in questo, perché il caso della Siria e la crisi dei rifugiati ha posto in ombra molti altri temi. Inoltre, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha recentemente dato voce a quello che era un segreto di pulcinella tra i diplomatici, politici e analisti occidentali: la Crimea non è parte degli accordi di Minsk.
Vi sono anche numerose questioni che riguardano l'embargo di per se stesso.
Innanzitutto la stessa idea di embargo sembra essere profondamente sbagliata. Se l'Ucraina considera la Crimea parte del proprio territorio legittimo e la popolazione della Crimea come propri cittadini, allora il blocco è un approccio bizzarro da adottare nei confronti dei propri concittadini. Il blocco ha già causato la crescita dei prezzi di alcuni prodotti alimentari e quindi è la popolazione della Crimea a soffrire direttamente, non lo stato che ha annesso la repubblica. Se gli ucraini in Crimea sono vittime dell'occupazione russa, allora l'embargo sta punendo le vittime.
In secondo luogo l'embargo distanzia ulteriormente la Crimea dalla “madrepatria Ucraina”. E' noto a tutti che l'integrazione economica porta a convergenze politiche e culturali mentre l'interruzione di relazioni economiche tra regioni implica il loro straniamento politico e socio-culturale.
Quando i russi hanno occupato l'Ossezia del sud l'hanno isolata dal resto della Georgia mettendo fine a tutte le relazioni economiche tra le due aree e quindi impedendo ogni possibilità di riavvicinamento. Anche le autorità georgiane hanno diminuito i contatti con i territori occupati dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhazia. E questo, ovviamente, non ha fatto altro che consolidare il controllo russo su quelle aree.
In terzo luogo l'embargo ha causato il collasso dell'autorità statale ucraina relativamente alla gestione del “confine” con la Crimea. Gli attivisti del Mejlis ed i loro sostenitori hanno agito come sostituti delle istituzioni statali e questo causa un ulteriore indebolimento delle già deboli istituzioni statali in Ucraina. Come ha argomentato il politologo tedesco Andreas Umland embarghi di questo tipo devono essere o un'iniziativa dello stato oppure non dovrebbero essere fatti.
L'argomentazione degli attivisti del Mejlis, secondo la quale è inaccettabile la collaborazione economica con gli occupanti, non regge il confronto con la realtà. L'Ucraina e la Russia hanno ridotto ma non certo interrotto le proprie relazioni economiche e commerciali e l'Ucraina, ad esempio, fornisce derrate alimentari alla Russia.
Uno dei tre principali iniziatori dell'embargo, Lenur Islyamov, ha definito le derrate alimentari mandate in Crimea “commercio sporcato di sangue”, ma la sua posizione non è moralmente irreprensibile: non solo infatti è un uomo d'affari russo (ha un passaporto russo) ma ha anche interessi commerciali in Crimea e a Mosca oltre ad essere stato vice-primo ministro nella Crimea già annessa dalla Russia.
Di insulto in insulto
Una delle organizzazioni che ha affiancato gli attivisti di Mejlis nell'embargo è stato il noto Pravi Sektor e la sua partecipazione ha fatto sollevare numerose sopracciglia.
Pravi Sektor è infatti un movimento razzista e omofobo che si oppone alle autorità ucraine. Alcuni suoi membri sono stati coinvolti in attentati alla polizia ucraina lo scorso luglio mentre altri addirittura hanno minacciato lo stato ucraino con atti di terrorismo. Sul proprio portale web, Pravi Sektor esplicitamente dichiara che considerano l'embargo sulla Crimea come un colpo che colpisce sia gli interessi di Mosca che l'attuale sistema politico dell'Ucraina. Pravi Sektor ha contattato uno degli organizzatori dell'embargo, Lenur Islyamov, offrendogli la propria assistenza che, evidentemente, è stata accettata.
Durante l'embargo attivisti di Pravi Sektor, assieme a membri dell'infame Battaglione Azov, si sono macchiati di numerose violazioni di diritti umani e delle leggi dell'Ucraina, come riportato dalla Crimean Human Rights Field Mission. Le violazioni includono ispezioni senza mandato, detenzioni illegali e violenze fisiche. Gli attivisti del Mejlis non solo hanno contribuito alle legittimazione politica degli estremisti di destra ma hanno messo in pericolo anche i tatari di Crimea.
Come sottolineato giustamente dalla giornalista di Deutsche Welle Anastasia Magazova, Pravy Sektor è, in Russia, un'organizzazione vietata e quindi la cooperazione tra Pravy Sektor e gli attivisti del Mejlis pone una grave minaccia ai tatari di Crimea che potrebbero ora essere accusati di estremismo.
Inoltre la cooperazione tra gli attivisti del Mejlis e Pravy Sektor sembra andare oltre meri tatticismi legati all'embargo. Non vi sono comunanze di ideali tra i due gruppi ma hanno una cosa in comune: sono entrambe organizzazioni nazionaliste che si oppongono alla dominazione della cultura “russofona” in Crimea e Pravyi Sektor sostiene l'idea di assegnare un'autonomia alla comunità tatara di Crimea.
Uno dei documenti fondativi del Mejlis è la Dichiarazione sulla sovranità nazionale del popolo dei tatari di Crimea dove si afferma che “la Crimea è il territorio nazionale dei tatari di Crimea che hanno un diritto esclusivo all'autodeterminazione” e dove emerge che i tatari anelano a stabilire il loro stato-nazione sull'intero territorio della Crimea nonostante la minoranza tatara costituisca solo il 10% della popolazione della Crimea. Queste idee possono addirittura andare nella stessa direzione di specifici elementi dell'estrema destra anti-russa: i nazional-democratici ucraini non sono mai riusciti a venire a termini con le caratteristiche proprie della Crimea e l'estrema destra, in questo senso, ha fatto peggio di loro.
Il futuro della Crimea
Naturalmente tutte le discussioni in merito al futuro status della Crimea sono inutili. La repubblica è stata annessa dalla Russia e il regime di Putin non la restituirà volontariamente all'Ucraina. Inoltre, non è neppure detto che la Russia restituisca la Crimea nel caso andasse al potere l'opposizione moderata.
Per quando la società russa avrà maturato la sua cultura democratica e si renderà conto dell'inammissibilità della violazione della sovranità e dell'integrità territoriale di altri paesi, la Crimea potrebbe essere già irrimediabilmente persa per l'Ucraina in termini sociali, culturali e relativamente ai legami familiari.
L'attuale embargo non sarà certo la causa principale di tutto ciò, ma il suo contributo all'alienazione tra la Crimea e la “madre patria” Ucraina è già rilevante. E il fatto che vi prenda parte anche l'estrema destra non fa che peggiorare la situazione.
Prima di discutere la potenziale reintegrazione della Crimea, lo stato ucraino e la società ucraina dovrebbero capire che la chiave per la reintegrazione è il soft power. Soft power significa non solo un'economia in salute, una democrazia vibrante e una società civile vigorosa - ed un progetto nazionale consolidato ed inclusivo – ma anche la volontà e capacità di rendere tutto questo un polo di attrazione politica.
In ogni caso quando l'Ucraina sarà pronta potenzialmente a reintegrare la Crimea, la società della Crimea sarà cambiata radicalmente: non solo sarà diversa da quella che l'Ucraina ha lasciato nel marzo del 2014, ma sarà ancor meno fedele alla sovranità ucraina.
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