Nonostante le posizioni politiche del neo-eletto presidente USA Donald Trump non rassicurino gli ucraini, in molti nel paese hanno reagito tra fatalismo, ironia e malcelate speranze che la nuova amministrazione non abbandoni l'Ucraina, che resiste all'invasione russa da ormai mille giorni
Le presidenziali americane dello scorso 6 novembre e la vittoria del candidato repubblicano Donald Trump hanno tenuto il mondo intero con il fiato sospeso per giorni, riportando un’attenzione particolare sul nuovo equilibrio politico mondiale.
Guardando all’Europa, i riflettori sono stati inevitabilmente puntati anche sulla guerra russa in Ucraina, dove il conflitto su larga scala imperversa senza sosta da ben 1.000 giorni e dove il sostegno degli Stati Uniti appare vitale per la sopravvivenza degli ucraini.
La vittoria di Trump – che per molti ucraini non è stata affatto una sorpresa – ha scatenato un intenso dibattito sull’impatto che la sua presidenza potrebbe avere nell’ambito del conflitto in corso, con tutte le parti in causa che si stanno preparando a potenziali negoziati dopo il suo insediamento.
Gli ucraini, per la maggior parte disillusi dalle classi politiche dirigenti che hanno in mano il destino del Paese, hanno aspettato all’insegna di un’attesissima prima cinematografica di vedere le prossime mosse dei tre capi di Stato tirati in ballo: Volodymyr Zelens’kyj, Vladimir Putin e, per l’appunto, il 47esimo presidente americano, Donald Trump.
Due uomini politici, questi ultimi, che sembrano fatti della stessa identica pasta: a Trump piace essere lodato e guardato come un ottimo negoziatore e uomo forte, esattamente come al suo omonimo russo, che non osa permettere a nessuno di mettergli i piedi in testa o dirgli cosa fare.
In fondo, se si sostituisce “America” con “Russia” sullo slogan dei MAGA (“Make America Great Again”), la cosa funziona perfettamente nelle due realtà.
Le note capacità comunicative di Volodymyr Zelens’kyj sono state così messe a dura prova. Probabilmente ingoiando più di qualche rospo , il capo di Stato ucraino si è affrettato a congratularsi con Trump per la vittoria, sottolineando che il suo impegno per ”una pace attraverso la forza” è il principio che potrebbe portare anche a una pace giusta.
La risposta a questi segnali di pace del suo omonimo russo, Vladimir Putin, è arrivata quasi subito con un massiccio attacco di droni sulla capitale ucraina e l’invito del Cremlino all’Occidente (Europa compresa) a smettere di armare l’Ucraina.
Una reazione prevedibile e degna della frustrazione tipica del capo di Stato russo, il quale ha ben deciso di non mollare la presa attaccando nuovamente l’intero vicino da est a ovest con 120 missili e 90 droni nelle prime ore di domenica 17 novembre, causando non pochi danni alle infrastrutture energetiche ucraine.
Attacchi questi che non faranno che intensificarsi sempre di più nei prossimi mesi con la fine del mandato di Biden e l’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Se da un lato le minacce del repubblicano di tagliare gli aiuti statunitensi e i suggerimenti di costringere Kyiv a cedere i propri territori in cambio della fine del conflitto hanno provocato ansia, dall’altro molti ucraini hanno accolto con favore la vittoria di Trump proprio per questo barlume di opportunità di pace.
D’altronde, è da maggio 2023 – e per tutta la campagna elettorale – che Trump continua a promettere di essere in grado chiudere il conflitto in meno di 24 ore e gli ucraini, stanchi ed esausti , al fronte come nella vita civile in tempi di guerra, non desiderano altro.
Un sentimento che probabilmente riflette anche la profonda disillusione nei confronti dell’amministrazione Biden , diffusosi soprattutto nell’ultimo anno.
Sono in tanti in Ucraina a ritenere che la politica del presidente uscente abbia dato loro quanto basta per sopravvivere a malapena, ma non per raggiungere la vittoria o per forzare dei negoziati equi.
Pur essendogli grati per l’enorme sostegno fornito all’inizio dell’invasione del 2022, ci tengono a esprimere la loro frustrazione per la cosiddetta “autodeterrenza” di Biden, che impone restrizioni sull’uso di alcune armi (sulla quale potrebbero pertanto esserci dei risvolti significativi in questi giorni ed entro la fine del mandato) e a volte rallenta gli aiuti a causa di quelli che vengono considerati (soprattutto dall’opinione pubblica) come timori esagerati della Russia di un’ulteriore escalation della guerra.
C’è da dire, però, che di Putin non c’è da fidarsi. Secondo la maggioranza degli ucraini, infatti, la Russia userebbe qualsiasi cessate il fuoco per riarmarsi e potenziare il proprio esercito, per poi invadere nuovamente l’Ucraina e arrivare al suo obiettivo finale (non andato in porto quel 24 febbraio 2022) di riportare il Paese sotto l’influenza del noto russkij mir (mondo russo).
La priorità di Kyiv, al contrario, non è quella di riarmarsi fino ai denti per consolidare le proprie forze, quanto piuttosto ottenere delle garanzie effettive di sicurezza, indebolendo la Russia e scongiurando nuove invasioni future. Un traguardo che parrebbe concretamente impossibile al momento.
“Dobbiamo trovare una soluzione che garantisca alla popolazione che la guerra, una volta finita, non si ripeterà più”, ha dichiarato il deputato ucraino Davyd Arachamija, affermando che le reali garanzie di sicurezza sono la priorità "numero uno" dell’Ucraina.
Non appena c’è stata la conferma della rielezione di Trump, il suo team di campagna elettorale ha svelato un piano che riduce il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti non solo nel conflitto ucraino, ma anche nell’ambito della sicurezza europea in generale.
L’adozione quindi del concetto di “American First”: la proposta prevede una zona cuscinetto demilitarizzata di circa 1.200 chilometri lungo i confini dell’Ucraina sorvegliata da militari britannici ed europei, a patto che Kyiv accantoni il suo piano di adesione alla NATO per almeno 20 anni.
Gli Stati Uniti fornirebbero così armi all’Ucraina per scoraggiare ulteriori incursioni russe, ma non invierebbero truppe né finanzierebbero alcuna presenza militare occidentale nel Paese.
Un piano apertamente criticato sia perché riconoscerebbe di fatto le rivendicazioni territoriali della Russia, sia perché andrebbe a minare l’unità della NATO sulla questione della sovranità territoriale dell’Ucraina.
È difficile che la stessa Europa - tirata in causa - possa concordare con tale soluzione: oltre a non essere logisticamente pronta (l’Europa non possiede un esercito e non avrebbe un numero sufficiente di reclute da mobilitare), le forze europee non hanno alcuna volontà di intervenire militarmente nel conflitto.
La scelta della nuova amministrazione Trump non rincuora l’animo dei più. Pete Hegseth , scelto da Trump come segretario alla Difesa, è noto per la sua posizione anti-Nato (“I Paesi della NATO dovrebbero impegnarsi davvero per la propria difesa, invece non lo fanno. Si limitano a sbraitare sulle regole, mentre sventrano i propri eserciti e chiedono aiuto all’America”); Marco Rubio , nominato a segretario di Stato, propende all’idea che l’Ucraina accetti un accordo con la Russia a qualsiasi costo. Il vicepresidente eletto J.D. Vance , invece, è noto per aver dichiarato già nel 2022 che, onestamente, non si interessa affatto del destino dell’Ucraina.
A rincuorare gli ucraini rimangono perciò gli ucraini stessi, che lo fanno a modo loro.
La testata ucraina Suspilne Kultura ha deciso di raccogliere in un articolo alcuni meme, commenti e opinioni che hanno spopolato nei social media sin dai primi conteggi del voto americano del 6 novembre.
“Risate tra le lacrime: come gli ucraini reagiscono alla vittoria di Donald Trump alle elezioni americane” è un pezzo che racchiude davvero lo spirito che caratterizza gli ucraini, fatto di sarcasmo e battute taglienti che contraddistinguono la narrativa del conflitto – perlomeno sui social – sin dai primi mesi dell’invasione russa su larga scala del Paese.
Alcuni commenti sono tristi e ricordano le dure dichiarazioni che il repubblicano ha lanciato pubblicamente e senza filtri sull’Ucraina; altri suggeriscono di rallegrarsi, visto che gli ucraini hanno eletto un presidente filorusso solo una volta [il riferimento è a Viktor Janukovyč, presidente ucraino dal 2010 al 2014, anno della sua fuga in seguito alle proteste di Majdan, ndr], mentre l’America è riuscita a scegliere Trump per un secondo mandato.
Addirittura qualcuno, vista la politica estera piuttosto brusca e imprevedibile di Trump, consiglia semplicemente di prepararsi alla Terza Guerra Mondiale.
“Non preoccupatevi, ha promesso di porre fine alla guerra in 24 ore, domani sarà tutto finito ”.
I due mesi che ci separano dall'insediamento di Trump, che avverrà il prossimo 20 gennaio, saranno dunque un periodo critico per tutti gli interessati, europei compresi.
La situazione dell’Ucraina non è per niente rosea e si aggrava ora dopo ora; non resta allora che sperare in Biden e nella sua volontà di intensificare gli aiuti il più possibile prima dell’arrivo del nuovo presidente.
A pelle, però, sembrerebbe esserci molta più apprensione fra noi occidentali di quanta ce ne sia tra gli ucraini, dove regna un fatalismo che ci è quasi sconosciuto al di qua dell’ex cortina di ferro.
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