Un ritratto a matita dei presidenti Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky - Myasnikova Natali/Shutterstock

I presidenti Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky - Myasnikova Natali/Shutterstock

Poco spazio per compromessi che possano portare alla risoluzione del conflitto nel Donbass e nei prossimi mesi l'intransigenza negoziale delle parti potrebbe incrementare. È emerso questo dal recente incontro tra il presidente dell'Ucraina Zelenski e l'omologo russo Putin

11/12/2019 -  Oleksiy Bondarenko

(Questo articolo è frutto di una collaborazione editoriale tra OBCT e EastJournal )

Si è finalmente tenuto a Parigi lunedì 9 dicembre il tanto atteso incontro tra il neo-presidente ucraino, Volodymyr Zelensky e la controparte russa, Vladimir Putin. Il tutto sotto l’egida di Francia e Germania, rappresentati dal primo Ministro tedesco, Angela Merkel, e del presidente francese, Emmanuel Macron. L’incontro bilaterale, che nei giorni precedenti ha scatenato giornalisti e analisti con un infinito numero di speculazioni, scenari possibili e previsioni apocalittiche da far invidia a Nostradamus, non ha in realtà portato a grandi passi avanti nel conflitto del Donbass, come del resto sembrava piuttosto prevedibile .

Cosa è stato firmato?

Un passo sicuramente importante, anche se in realtà molto più simbolico che pratico, è stata la firma di un documento finale dell’incontro. Tradotto dal diplomatichese significa che, nonostante le numerose difficoltà, il dialogo ha prodotto alcuni punti che possono essere considerati comuni. Non solo, questo vuol anche dire che c’è una certa volontà di proseguire i negoziati, anche se Russia e Ucraina rimangono lontani su alcuni punti centrali. L’assenza di un documento conclusivo, in altre parole, avrebbe significato una rottura totale, presagio di una nuova riattivazione del conflitto, se non una vera e propria escalation.

Con la firma del documento le parti si impegnano ad adottare misure volte a ‘stabilizzare la situazione nelle zone del conflitto’. Le più significative sono: l’implementazione del totale cessate il fuoco prima della fine del 2019; proseguimento dell’allontanamento delle truppe in altri tre punti lungo la linea di contatto [a partire da giugno, nonostante numerose difficoltà e ritardi, il ripiegamento delle forze armate è avvenuto nei pressi di Stanica Luhanska, Zolote, Petrivske e Bogdanivka. N.d.R.]; scambio di prigionieri secondo la formula ‘tutti per tutti’. Infine, l’Ucraina in pratica mantiene l’impegno, in linea con gli accordi di Minsk, di adottare una legge sullo status speciale della regione e di introdurre nella propria legislazione la ‘formula Steinmeier’ secondo criteri che ‘dovranno essere concordati dal quartetto’ e da altri gruppi di lavoro trilaterale.

Cosa non è stato concordato?

Si capisce, ovviamente, che tutti i punti concordati e messi nero su bianco hanno una portata limitata sull’effettiva risoluzione del conflitto e il ritorno delle regioni del Donbass sotto la sovranità ucraina. Proprio qui, infatti, i punti di vista e gli interessi di Russia e Ucraina sembrano ancora agli antipodi. Come dichiarato dallo stesso Zelensky dopo l’incontro, il punto che riguarda le elezioni locali e il controllo sul confine tra la Russia e i territori occupati, rimane il principale ostacolo per ogni ulteriore passo avanti.

La posizione ucraina, già espressa nel momento della firma della famosa ‘formula Steinmeier’ , rimane quella che prevede prima il ritiro delle truppe russe e il ritorno sotto il controllo di Kiev della porzione di confine, poi elezioni e l’entrata in vigore dello status speciale per la regione. Per Mosca invece, il ritorno del controllo sulla frontiera all’Ucraina è vincolata a tutti gli altri punti, cioè elezioni e status speciale. Proprio così, infatti, è scritto nei famosi accordi di Minsk, che collocano l’inizio del processo di ritorno del controllo del confine al ‘giorno successivo allo svolgimento delle elezioni locali ’. Proprio su questo gioca oggi Vladimir Putin, sugli accordi accettati a suo tempo dal presidente Petro Porošenko, il predecessore di Zelensky.

Il fronte interno

L’incontro di Parigi, come previsto, non è servito per parlare di Crimea, annessa illegalmente dalla Russia nel 2014. Proprio la separazione dei due dossier è da sempre il punto centrale della strategia del Cremlino, alla quale l’Ucraina ha dovuto sottostare sin dall’inizio del conflitto in Donbass. Gli accordi di Minsk e gli incontri del formato Normandia riguardano, infatti, solo la crisi nel Donbass. Un punto, però, che potrebbe pesare sul piano interno, dove l’ex presidente Porošenko ha organizzato nei giorni precedenti agli incontri di Parigi manifestazioni ‘contro la capitolazione' .

La ‘linea rossa’ da non superare secondo l’opposizione in Ucraina è composta principalmente da tre punti. No ai negoziati diretti con i leader di Donetsk e Lugansk, no alle elezioni prima del totale controllo dei territori (compreso il confine) e no al riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea in cambio di concessioni in Donbass. Il tutto condito dai soliti proclami del proseguimento del processo di integrazione europea e NATO. Tutti punti che, a ben vedere, rientrano esattamente nel pacchetto negoziale che Zelensky ha portato sui tavoli di Parigi. Come ormai dovremmo essere abituati, però, le dinamiche interne seguono spesso un loro corso proprio. Il reale futuro del Donbass gioca un ruolo secondario in quella che è la battaglia per un po’ di visibilità dopo che l’improvvisa comparsa di Zelensky ha scombussolato il panorama politico del paese. Così, l’incontro di Parigi è servito a riunire temporaneamente l’opposizione, con Yulia Timoshenko, quella che prometteva la pace nel Donbass a costo di sacrifici, ad appoggiare la ‘linea rossa’ tracciata dall’ex presidente.

Grazie a numerosi sondaggi sappiamo che la maggioranza della popolazione vuole la pace, ma non una resa incondizionata . Quello che sembrano non sapere, quelli che protestano e quelli che negoziano, è come raggiungere questo obiettivo. Porošenko aveva abbandonato ogni reale desiderio di provare a fare passi avanti nella soluzione del conflitto già due anni prima delle elezioni dello scorso marzo, sia perché conscio che avrebbe comportato dei sacrifici da parte di Kiev, sia per puntare su un elettorato più nazionalista. Ben presto anche Zelensky potrebbe virare verso il mantenimento dello status quo, la soluzione più facile da un punto di vista politico. Solo una brusca virata da parte del Cremlino con un deciso passo indietro sulle questioni relative a elezioni e controllo sul confine, potranno aprire una nuova finestra di opportunità. Altrimenti, sembra molto probabile che tra 4 mesi - quando è previsto il prossimo incontro - i risultati concreti saranno ancora più trascurabili di quelli di ieri.


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