Dove va l’aiuto pubblico allo sviluppo italiano?
1 dicembre 2016
Il dossier "Cooperazione Italia", pubblicato da Openpolis e Oxfam nei giorni scorsi, esamina l’andamento dei fondi destinati dall’Italia all’aiuto pubblico allo sviluppo (ODA).
L'analisi , basata sui dati forniti dal ministero degli Esteri , mette in luce l’evoluzione dei fondi stanziati dall'Italia negli ultimi 5 anni (2010-2015), evidenziando le diverse forme di utilizzo, il rapporto fra impegni presi e stanziamenti, nonché la posizione dell'Italia rispetto agli altri paesi donatori.
A che punto siamo rispetto agli obiettivi sottoscritti ufficialmente?
L’aiuto pubblico allo sviluppo in Italia è regolato dalla legge 125/2014 che disciplina la cooperazione internazionale allo sviluppo.
Nel 2015 l’Italia ha destinato quasi 4 miliardi di euro (3 miliardi e 954 milioni) in ODA, collocandosi al 12° posto nella classifica dei paesi donatori per quanto riguarda l'importo assoluto dei fondi stanziati.
La cifra totale è in aumento negli ultimi 5 anni, ma lo scenario appare meno roseo se si mette in relazione lo stanziamento con il reddito nazionale lordo: nel 2015, l'Italia ha impegnato lo 0.21% del proprio reddito nazionale lordo. Rispetto a questo parametro, il paese si colloca solo al 21° posto nella classifica mondiale. Nonostante l’incremento registrato dunque, la discrepanza fra obiettivi ufficiali e impegni presi rimane notevole (l’obiettivo di lungo periodo che i paesi membri del Development Assistance Committee [DAC] dell'OCSE si sono dati è di arrivare a stanziare lo 0,7% del proprio reddito nazionale lordo entro il 2030).
Come vengono spesi i fondi stanziati?
I fondi messi a disposizione sono suddivisi fra il canale bilaterale – stanziati direttamente dal governo del paese donatore al governo del paese ricevente - e il canale multilaterale, nel qual caso sono veicolati attraverso l’Unione Europea oppure attraverso le organizzazioni internazionali specializzate in cooperazione allo sviluppo (Banca mondiale, Nazioni Unite…).
Mentre cresce la percentuale di fondi destinata all'aiuto bilaterale, fra gli aspetti più interessanti rilevati nella pubblicazione di Openpolis-Oxfam , vi è l'aumento della percentuale di ODA destinata alla gestione dei rifugiati nel paese donatore, inclusi i rimpatri.
“La maggior parte delle risorse del canale bilaterale viene spesa non nei paesi beneficiari dell'aiuto pubblico allo sviluppo, ma rimane in Italia. Solo nel 2015 sono stati impegnati oltre 960milioni e 838mila euro per l’assistenza dei rifugiati, il 53,19% del budget per l’aps bilaterale (26% circa sul totale dei fondi stanziati).”
Secondo quanto evidenziato nel rapporto, si tratterebbe di una vera e propria “esplosione” della voce di bilancio destinata a “rifugiati nel paese donatore”, che raccoglie il budget destinato all’accoglienza di rifugiati nel nostro paese. Nel 2010 infatti, la stessa voce assorbiva appena lo 0,35% delle risorse bilaterali.
Da un punto di vista formale non vi sono infrazioni: le indicazioni fornite dall’Ocse consentono di includere nell'ODA le spese per la gestione dei rifugiati nel paese donatore nei primi 12 mesi della loro permanenza. La tendenza è peraltro rilevabile nella maggior parte dei paesi DAC, ma vede l’Italia capofila di questa ridefinizione dell'utilizzo dei fondi per l'aiuto allo sviluppo. È comunque lecito chiedersi, come si fa nel dossier che dedica a questo aspetto l'intero quarto capitolo, “se sia lecito che un aspetto di politica interna venga 'addebitato' all’esterno, sottraendo risorse ad attività mirate allo sviluppo economico di paesi ancora svantaggiati”.