Miljenko Jergovic ci propone il racconto corale - questa volta in versi - di una umanità balcanica, attraverso figure che riflettono distratte sulle proprie vicende, congelate in un epitaffio. Una sorta di Spoon River dei Balcani raccontata dal mastro e custode della casa, Sulc, lo Hauzmajstor

27/01/2005 -  Andrea Rossini

Le poesie di Miljenko Jergovic (Sarajevo, 1966) sono senza interruzione, mescolate e concatenate come le parole di Sarajevo, memoria e rappresentazione delle diverse stratificazioni della città. Il compito di narrare le sue epoche geologiche e temporali è affidato al custode (Hauzmajstor) Sulc (Shultz) che, coerentemente con la sua vocazione (quella di majstor, mastro), tenta anche di riparare i guasti prodotti dal tempo:

"... tre generazioni sono passate per la soffitta,
se ne sono andate e non torneranno
e non ricorderanno nessuna delle cose portate su dalle loro mani
nella speranza che ciò non sia la fine e che la fine non esista"

I ritratti sono icone di una umanità balcanica che attraversa con coraggio e spavalderia i rivolgimenti del tempo e della storia, ma non sembra riuscire a comprenderli. Così quel vicino di casa che si aggira stralunato sul set di "Valter difende Sarajevo", o Alija, da quarant'anni con una pallottola in testa:

"Sul bancone del bar di Majevica,
Serdar Alija riposa con una pallottola in testa
la sua testa riposa, ubriaca persa, il lunedì la mattina presto
il cameriere in silenzio asciuga i bicchieri,
Fata pulisce per terra intorno ai suoi piedi
quarant'anni con quella pallottola, trent'anni ubriaco perso,
ma nella tomba non c'è verso che vada"

Dopo "I Karivan", Jergovic ritorna - questa volta in versi - a cimentarsi nella rappresentazione corale dei Bosniaci, popolo naturalmente incline alla melanconia, ossessionato dalla memoria e che - come spiega l'autore - riesce a provare nostalgia allo stesso tempo per Tito e per gli Austro Ungarici. Sulc, il protagonista, ne diviene sia custode dell'intimità che cantastorie:

"... perché la gente non sa
e non ha da sapere, dietro di lui infatti rimase solo il nome
e quella storia - tre galline arrosto mangiate in un giorno solo -
per questo ci sono ancora testimoni vivi"

Al centro della raccolta sta il centro del Paese, la città edificata su di un "bosco dorato", quella che Sulc invoca nel suo testamento, "... questa città verrà nel mio sogno anche quando sarà sparita, / il paradiso nascosto, raj, nel suo nome che è saraj, / alla fine di un mondo che rovina / nell'anima mentre l'anima si riduce in polvere"

Jergovic riesce ad emozionarci ancora una volta.

Miljenko Jergovic, "Hauzmajstor Sulc il custode della memoria", a cura di Ljiljana Avirovic, 2004, Libri Scheiwiller, Milano, pp 189, € 15,00


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