Non si ferma il flusso di migranti lungo la “rotta balcanica”, col numero degli arrivi in aumento in Serbia e crescenti problemi di gestione dei campi in Bosnia Erzegovina, che diventano sempre più preoccupanti con l'avvicinarsi dell'inverno. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [3 ottobre 2020]
E' un flusso silenzioso, ma costante quello che continua a portare rifugiati, richiedenti asilo e migranti sulle strade della cosiddetta “rotta balcanica”. I controversi accordi con la Turchia del 2016 hanno ridotto drasticamente gli arrivi sul territorio europeo, ma la rotta non si è mai veramente chiusa.
Nei mesi estivi il numero degli arrivi in Serbia è tornato invece a salire, come confermato da numerose Ong impegnate sul terreno. “Ogni giorno entrano nel paese almeno 150 persone”, ha dichiarato ai media Radoš Đurović, direttore dell'Asylum Protection Center di Belgrado.
Al momento decine di migranti hanno creato un campo improvvisato non lontano da Subotica, in Serbia settentrionale. Negli ultimi mesi sono aumentati i tentativi di raggiungere l'UE attraverso il confine con la Romania: numerose testimonianze parlano di respingimenti violenti da parte della polizia di confine rumena, anche se le autorità di Bucarest negano fermamente.
Situazione sempre più pesante anche in Bosnia Erzegovina, dove secondo stime ufficiose i il numero di rifugiati supera i 10mila, concentrati soprattutto nella regione di Bihać ai confini con la Croazia.
Il paese è diventato un vero e proprio collo di bottiglia e le autorità bosniache, nonostante gli aiuti economici provenienti da Bruxelles fanno evidente fatica a gestire la situazione. Un quadro che provoca frustrazioni e tensioni: mercoledì scorso due migranti sono rimasti uccisi, e altre decine feriti nello scontro – dalle dinamiche ancora da chiarire – scoppiato tra migranti afghani e pachistani in un campo improvvisato alle porte di Bihać.
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