danielo/Shutterstock

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Col dialogo Serbia-Kosovo è allo stallo da mesi, Belgrado prosegue nella sua strategia di rovesciare il processo di riconoscimento internazionale della sua ex-provincia. Finora sono almeno dodici i paesi ad essere tornati sui propri passi. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [24 settembre 2019]

Durante la visita ufficiale in Serbia di due settimane fa, il controverso presidente ceco Miloš Zeman ha deliziato le orecchie del pubblico locale, quando in una conferenza stampa col suo omologo Aleksandar Vučić ha dichiarato la volontà di riaprire in patria il dibattito sul riconoscimento del Kosovo, avvenuto nel maggio 2008.

Sembra difficile che Praga possa fare oggi un passo indietro, nonostante il tema “Kosovo” abbia sempre spaccato l'opinione pubblica ceca. Per Belgrado, però, l'iniziativa di Zeman segna un successo non indifferente, perché riporta nel cuore dell'UE la strategia dei contro-riconoscimenti che la diplomazia serba ha portato avanti in questi anni lontano dai riflettori.

Col dialogo bilaterale al palo, Belgrado ha lavorato per convincere chi ha già riconosciuto l'indipendenza di Pristina a tornare sui propri passi. I risultati di questo sforzo sono dibattuti, ma almeno dodici paesi hanno cancellato il proprio nome dalla lista di chi considera il Kosovo uno stato sovrano. Gli ultimi in ordine di tempo, nell'estate appena trascorsa, sono stati Togo e Repubblica centro africana, preceduti da paesi come Suriname, Grenada e Madagascar.

A disconoscere l'indipendenza già concessa, fino ad ora sono stati paesi lontani e non vitali per la sopravvivenza del Kosovo. L'obiettivo di Belgrado è però insieme simbolico e psicologico: far scendere il numero complessivo dei paesi che riconoscono Pristina sotto la soglia del 50% degli stati membri dell'ONU. Una prospettiva vista con forte preoccupazione in Kosovo, attualmente impegnato nella delicata campagna elettorale per le politiche, previste per il 6 ottobre prossimo.

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