La disinformazione, i giganti e le nostre abilità critiche

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La disinformazione online è un fenomeno complesso che può diventare estremamente dannoso per la società. Di fronte al potere dei colossi tecnologici, a politiche di breve respiro e ad implicazioni per la libertà di espressione è evidente l’importanza di promuovere il pensiero critico, l’alfabetizzazione mediatica e la riflessione su questi temi in tutte le fasce d'età

16/04/2019 -  Fazıla Mat

La disinformazione online è diventata una componente stabile dell’habitat digitale. A tal punto che a livello globale continuano a moltiplicarsi siti specializzati in “fact-checking” , che si pongono l’obiettivo di verificare e smascherare le “fake news” online. Grazie a Internet e ai social media, infatti, tutti possono creare e distribuire contenuti in tempo reale. Ciò significa che chiunque può anche essere esposto alla disinformazione online, come chiunque può diventarne creatore e divulgatore, come spesso accade per mancanza di attenzione o competenze nel valutare contenuti in contesti mediatici differenti.

La sempre più vasta letteratura sulla disinformazione descrive il fenomeno facendo riferimento ad ogni sorta di contenuto problematico, falso, fuorviante o parziale pubblicato sui siti web e diffuso tramite i social media per trarne profitto o influenzare la società. Diversi studiosi hanno tentato di definire il fenomeno delle “fake news”, concentrandosi sul motivo e l’intenzione alla base dell’inganno , come pure sulla sua modalità di diffusione .

Disinformazione. Falsa e dannosa

Ciò che sembra chiaro è che ci troviamo di fronte ad un fenomeno complesso che presenta numerose stratificazioni. Uno dei termini più esaustivi utilizzati per definire tale complessità  è  “disordine informativo” . L’espressione, ideata da Claire Wardle e Hossein Derakhshan, comprende anche - ma non solo - la disinformazione (disinformation), che viene collocata in uno spazio dove si intersecano l’informazione falsa (misinformation) e quella intenzionalmente dannosa (malinformation).  

Come spiegano i due studiosi, ad animare questo spazio possono intervenire attori ufficiali (come servizi di intelligence, partiti politici, media, agenzie di pubbliche relazioni o lobby) o non ufficiali (gruppi di cittadini) - con motivazioni politiche,  economiche, ma anche sociali (ad esempio, il desiderio di essere connessi con un certo gruppo online od offline) o psicologiche - che fanno uso di una varietà di formati (testi, immagini, materiali audio e video) in costante evoluzione.

La scelta dei colossi tecnologici

Tuttavia, è evidente che all’interno di questo quadro il ruolo delle piattaforme online è di importanza centrale. In definitiva sono i colossi tecnologici (Google, Facebook, Twitter Whatsapp, Snapchat ecc.) quelli che decidono ciò che vediamo sulla rete. Negli ultimi anni sempre più spesso si è parlato di come il dominio di queste compagnie sull’informazione abbia rapidamente offuscato il ruolo dell’editoria tradizionale.

Gli algoritmi dei giganti della tecnologia sono programmati per massimizzare la nostra attenzione e il tempo che trascorriamo online, in modo da trarne il maggior profitto. Le compagnie sfruttano i nostri bias cognitivi e le tracce che lasciamo nello spazio digitale per elaborare algoritmi che ci propongono informazioni modellate sul nostro comportamento.

Su questi presupposti si basano diversi studi che hanno come oggetto le “camere dell’eco ” (echo chambers) e le “bolle filtro ” (filter bubbles). Studi in cui si sottolinea che il meccanismo algoritmico delle compagnie rischia di creare delle “bolle” dove vengono riunite persone con comportamenti simili, dando di fatto adito ad una maggiore polarizzazione della società.

La disinformazione nei processi politici

Un discorso analogo viene fatto per l’influenza che gli stessi meccanismi possono esercitare sulle nostre posizioni politiche, come evidenziato ad esempio riguardo alle elezioni del 2016 negli Stati Uniti o nel caso della Brexit. In entrambi i casi il dibattito sulla strumentalizzazione della rete e dei social media da parte di forze esterne per determinare il risultato elettorale è ancora pienamente in corso. Ma i due esempi non sono casi isolati, dato che il timore di interferenze esterne e in particolare russe si trova anche all’origine delle iniziative dell’Unione europea per contrastare le “fake news”.  

In questo quadro, la mancanza di trasparenza della procedura di raccolta e utilizzo dei nostri dati da parte dei colossi della tecnologia è una delle questioni più importanti da affrontare. Recentemente, e solo grazie all’insistenza di istituzioni e opinione pubblica, le piattaforme sono state spinte ad adottare alcune misure preventive contro la disinformazione, come il codice di auto-disciplina presentato all’Unione europea (UE). Tuttavia, anche con i più recenti strumenti messi in campo, soprattutto per quanto riguarda la propaganda elettorale online, le soluzioni proposte dalle piattaforme sembrano ancora lontane dal fornire un quadro chiaro e trasparente .

Soluzioni per un problema complesso

Il potenziale di diffusione illimitata della disinformazione online ha portato organizzazioni internazionali come l’ONU e l'OSCE a discutere di diverse strategie per contrastare il fenomeno , non ultima la necessità di sostenere il giornalismo di qualità la cui marcata erosione è parte integrante del problema delle “fake news”.  

Mentre si discute se debba essere lo stato a gestire il fenomeno o se sia giusto affidarlo alle aziende private, vengono avanzate numerose soluzioni, ciascuna con punti di forza e criticità . Gli esperti sottolineano sempre più la necessità di adottare al contempo diversi strumenti complementari e vengono avanzate soluzioni tecnologiche per affrontare la questione - nuovi algoritmi, indicizzazione, utilizzo di metadati ecc. - con diverse nuove startup che propongono strumenti innovativi, mentre in alcuni paesi, come Germania e Francia, sono adottati anche degli approcci normativi.

Una risposta a lungo respiro: l’alfabetizzazione mediatica e informativa

Ma tra le soluzioni a lungo termine risulta chiara l’importanza dell’alfabetizzazione mediatica e informativa (media and information literacy - MIL), intesa come l’abilità di accedere, analizzare, valutare e creare contenuti in contesti mediatici differenti. Si tratta di una competenza fondamentale non solo perché i paesi dove si registra una maggiore capacità di resilienza alla disinformazione sono quelli che hanno degli indici elevati di istruzione, alfabetizzazione mediatica e libertà di stampa. Ma perché di fronte al potere dei colossi tecnologici, ad approcci normativi, politiche di breve respiro e implicazioni per la libertà di espressione, è solo potenziando le capacità di comprensione e di interpretazione delle persone che si può cercare di far fronte ad un contesto digitale in costante mutamento.

In questo contesto, è certo importante promuovere pensiero critico e alfabetizzazione mediatica nelle scuole e nei contesti di formazione tradizionali, ma è anche fondamentale trovare modalità per promuovere riflessioni su questi temi in tutte le fasce d’età, anche tra quelle cresciute in anni in cui le fonti di informazione erano molto meno numerose. Sono quindi necessari approcci inclusivi all’alfabetizzazione mediatica in grado di coinvolgere tutta la popolazione esposta ai nuovi media. Sforzi per avere una società più conscia del contesto mediatico in cui vive sono l’investimento di lungo periodo più sicuro per permettere una conversazione pubblica meno avvelenata o distratta da meccanismi di disinformazione, senza ricorrere a strumenti opachi quali forme algoritmiche di censura della disinformazione o ad approcci legislativi che rischiano di limitare libertà democratiche fondamentali.

Per approfondire

La disinformazione è tra le questioni più pressanti del nostro tempo. A questo tema OBCT ha dedicato un dossier di approfondimento partendo dai materiali presenti sul Resource Centre on Press and Media Freedom in Europe. Vai al Dossier Disinformazione

 

 

 

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto ESVEI, co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa. 


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