C’è aria di caccia alle streghe in Turchia. Nelle ultime settimane sono stati arrestati numerosi giornalisti. L'accusa? Far parte dell'organizzazione eversiva e ultranazionalista Ergenekon. Ma secondo i colleghi e le organizzazioni di categoria questi arresti sono una seria minaccia alla libertà di stampa
Dopo Soner Yalçın, proprietario del sito di informazione online Odatv (una testata giornalistica vicina alle posizioni delle Forze armate) e due dei suoi direttori, fermati lo scorso 14 febbraio, giovedì 3 marzo è scattato il fermo per altre 11 persone, tra cui 7 giornalisti. Tra questi, due figure di spicco del giornalismo investigativo: Ahmet Şık e Nedim Şener, entrambi autori di libri che hanno gettato luce sulle ambivalenze dei rapporti di potere alla base di Ergenekon.
I professionisti dell’informazione, già preoccupati per il crescente numero di processi a carico dei giornalisti, dopo l’arresto di Şener e Şık si sono riversati nelle piazze. Venerdì scorso un corteo di circa duemila persone, composto per lo più da operatori del settore, hanno marciato per corso İstiklal, a Istanbul, con cartelloni in difesa della libertà di stampa. Su alcuni si leggeva: “Oggi è toccato ad Ahmet e a Nedim. Chi sarà il prossimo?”.
Nella stessa giornata, ad Ankara, il sindacato nazionale dei giornalisti (TGS) ha organizzato una protesta davanti al ministero dell’Interno. I manifestanti, con la bocca imbavagliata, hanno esposto la scritta “In Turchia la stampa è più libera di quella degli Stati Uniti”, citazione – ironica – di una recente affermazione del ministro dell’Interno Beşir Atalay .
Secondo l’indice di Reporters sans frontières ( RSF) la Turchia si trova al 138º posto tra i 178 Paesi monitorati per quanto riguarda la libertà di stampa. “Con 61 giornalisti in stato d’arresto o già condannati, altri 39 in attesa di giudizio che si trovano in carcere, oltre ai 4mila alle prese con processi in corso e tutti quelli che si sentono in grave pericolo è necessario che la questione della libertà di stampa della Turchia venga considerata molto seriamente” ha dichiarato Göksel Yıldırım, capo della sezione di Ankara del sindacato nazionale dei giornalisti (TGS), aggiungendo che “vedere ogni giorno nuovi colleghi che finiscono in questa lista è molto preoccupante”.
La minaccia Ergenekon
Tra i membri della stampa circola grande apprensione sulla piega che ha preso il processo Ergenekon, in corso da oltre tre anni. Con più di trecento imputati, tre processi diversi e una lista di indagati che si fa sempre più ampia, il nome “Ergenekon”, per gran parte dell’opinione pubblica, non è più associato ad un’indagine volta a chiarire le vicende oscure del Paese segnate da omicidi, violenze, piani di golpe preparati e messi in atto da apparati interni allo Stato (lo “stato profondo”). È associato, invece, ad un “cambio di direzione” e ad una minaccia contro chiunque ponga delle domande scomode sul potere, governo incluso.
Prima di venire arrestato, lo scorso 17 febbraio, Ahmet Şık aveva scritto: “Non bisogna credere ciecamente che l’inchiesta su Ergenekon sia lo smascheramento dello 'stato profondo', ma nemmeno considerarla una questione da prendere alla leggera, come tende a fare chi non ci crede. Tuttavia, se le cose continueranno ad andare così, un giorno tutti gli oppositori finiranno per sapere di persona com’è fatta Ergenekon”.
“Se ciò a cui stiamo assistendo oggi è collegato al processo Ergenekon” ha affermato l’opinionista del quotidiano Yeni Şafak Ali Bayramoğlu, “questo processo perde il significato che aveva per le nostre coscienze. Se, invece, non è collegato, significa che si sta cercando di insinuare per il suo tramite la presenza di uno stato di polizia”.
Per Ertuğrul Kürkçü, direttore del portale d’informazione Bianet, “l’arresto di Ahmet Şık e di Nedim Şener quali membri di Ergenekon, indica una sola cosa, che questa inchiesta è ormai guasta. L’inchiesta Ergenekon si è trasformata in un’arma che colpisce i giornalisti d’onore e di principio che rincorrono i ‘veri colpevoli’”.
Chi sono Nedim Şener e Ahmet Şık
Nedim Şener, collaboratore dei quotidiani Millliyet e Posta, è autore de “L’omicidio Dink e le bugie dei servizi segreti”, un libro in cui presenta un’indagine sulle responsabilità della polizia nell’omicidio di Hrant Dink, (e per il quale lo scorso giugno ha ricevuto dall’International Press Agency il titolo di 56º World Press Freedom Hero). Più recente è il libro “Fethullah Gülen e il [suo] movimento nei documenti Ergenekon”, un’inchiesta sull’infiltrazione nelle forze dell’ordine del movimento islamico Nur di Fethullah Gülen.
Il nome di Ahmet Şık, docente alla Università Bilgi di Istanbul e collaboratore del sito di informazione Bianet, è invece legato agli articoli apparsi nel 2007 sul settimanale Nokta che rivelarono i cosiddetti “diari del golpe” dell’ammiraglio Özden Örnek, fornendo agli inquirenti un’importante fonte per le prime indagini sui presunti piani golpisti delle forze armate. Dopo esser stato coautore di due volumi su persone e fatti legati a Ergenekon, Şık, prima dell’arresto, stava lavorando ad un libro, anche lui come Şener, sull’influenza del movimento religioso di Gülen nelle forze di polizia.
I nomi dei due giornalisti sarebbero stati rinvenuti in files “sospetti” dei computer sequestrati presso la sede della Odatv, ma gli interessati negano di avere avuto alcun rapporto di collaborazione con il sito. Da quanto è emerso dall’interrogatorio del procuratore Zekeriya Öz sia per Şener che per Şık l’elemento d’accusa principale sembrano proprio le inchieste riguardanti le influenze del movimento religiosio Gülen nelle forze dell’ordine, inchieste che mirerebbero a sabotare il Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP), in vista delle elezioni politiche attese per il prossimo 12 giugno.
Tutta questa vicenda assume un aspetto ancor più intricato quando si considera che lo scorso agosto, un ex capo della polizia di nome Hanefi Avcı, di posizioni ultranazionaliste, ha pubblicato un libro dove si rivela “il funzionamento segreto e parallelo di un’organizzazione dotata di proprie regole e di una propria gerarchia, presente in ogni istituzione statale” (quello che in Turchia viene chiamato “stato profondo”), denunciando, a sua volta, la presenza del movimento di Gülen all’interno della polizia.
Un mese dopo la pubblicazione del libro, Avcı è stato arrestato con l’accusa di aver aiutato l’organizzazione (illegale) di estrema sinistra “Devrimci Karargah”, creando non poca confusione nella testa di chi lo conosceva con la sua identità di uomo di estrema destra. Il procuratore Öz, durante l’interrogatorio ai due giornalisti ha fatto continuo riferimento al libro di Avcı, chiedendo loro se vi avessero collaborato, ne avessero tratto materiale o se Avcı avesse scritto parte dei loro libri.
L'accusa segreta
Tuttavia, a tutt’oggi, nemmeno gli avvocati dei due giornalisti sanno qual è l’elemento di prova concreto su cui si basa l’accusa rivolta ai loro assistiti. Il procuratore Öz, ha comunicato solo che “l’inchiesta condotta non è legata ai libri e alle opinioni degli imputati” ma che ci sono “delle prove che, per motivi di segretezza non possono essere rivelate". Nel frattempo però, i giornalisti sono stati inviati al carcere Metris di Istanbul, acclamati da un centinaio di colleghi rimasti ad aspettarli davanti al tribunale. Secondo i tempi giudiziari turchi, potrebbero rimanerci anche dieci anni in attesa di una sentenza.
Le reazioni del governo
Il premier Tayyip Erdoğan ha preso le distanze dalla vicenda affermando che gli arresti non sono stati decisi in alcun modo dall'esecutivo affermando che durante il suo mandato “nessun giornalista è mai finito in carcere per le sue attività professionali”. Erdoğan ha sostenuto che “queste cose” non accadono secondo le direttive del governo e che “la magistratura deve fare il suo corso” auspicando che “l’iter processuale si concluda in tempi brevi”. Anche il presidente della Repubblica Abdullah Gül ha dichiarato che “non può interferire nel lavoro dei giudici e della magistratura” ma che “stanno succedendo delle cose che non vengono accettate dalla coscienza collettiva. Questo getta un’ombra sull’immagine raggiunta dalla Turchia e lodata da tutti. E ciò mi preoccupa.”
“Il preoccupante peggioramento” della libertà d’espressione e di stampa ha trovato ampio spazio anche nel rapporto sulla Turchia della relatrice del Paese Ria Oomen-Rujiten, approvato dal Parlamento europeo il 9 marzo. Il Parlamento ha convenuto che seguirà da vicino i processi di Nedim Şener, Ahmet Şık e degli altri giornalisti “sottoposti agli abusi della polizia e degli organi giuridici”. Il rapporto ha evidenziato anche la “possibile perdita di fiducia” in processi come Ergenekon suscitato dagli “arresti di giornalisti famosi come Nedim Şener e Ahmet Şık, quando invece dovrebbero servire a rafforzare la democrazia”.
Intanto in Turchia sono già previste nuove manifestazioni organizzate dalla Piattaforma per la libertà dei giornalisti (GÖP); la prossima sarà domenica 13 marzo a Istanbul.
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