Minoranze

Una vita senza casa. La situazione dei rom in Bosnia-Erzegovina

06/08/2001 -  Anonymous User

La privatizzazione minaccia anche i Rom. Questa volta è il turno dei Rom di Mostar, città in cui fin dalla sua fondazione esiste un quartiere - Bisce Polje - abitato da nomadi. E' stata una grande sorpresa per Zarif Ahmetovic tornare a casa pochi giorni fa, e trovare le ruspe che gliela stavano radendo al suolo. Il Comune di Mostar est ha venduto la terra abitata dai Rom ad un imprenditore, Camil Zuharic, che su quel terreno ha in progetto la costruzione di un piccolo centro commerciale. L'accordo tra l'imprenditore e la municipalità di Mostar non ha però preso in considerazione la sorte di Zarif e dei suoi sei figli. La prima notte successiva alla distruzione della casa, la famiglia ha dormito nella casa di amici, ma all'indomani sono dovuti andar via da Mostar, per sempre. "Noi Rom siamo fatti cosi, adesso siamo qui, domani chi lo sa. Quando andiamo via una volta, non torniamo più". "Adesso nessuno della nostra tribù sa dove siano finiti" dice Ramadan Haziri, presidente dell'associazione "Neretva" che raduna i Rom di Mostar.
Sembra che l'accordo con l'imprenditore Zuharic sia ormai una cosa fatta e che una trentina di famiglie Rom dovranno andarsene, mentre il rappresentante del municipio di Stari grad (Città Vecchia) di Mostar - Zijad Hadzionerovic - ha promesso di trovare una soluzione per tutti i Rom di Bisce Polje. In realtà, in passato venne già individuata una località in cui spostarli, ma durante l'inverno scorso la zona venne inondata dal fiume Neretva. Ancora meno fortunati i Rom di Kiseljak (ad ovest di Sarajevo), che durante le inondazioni di luglio si sono ritrovati senza casa. Le famiglie sono state evacuate, ma fino ad ora non è stata trovata per loro ancora nessuna sistemazione definitiva. Sono state proprio queste due storie ad attirare l'attenzione sulla situazione attuale dei Rom in Bosnia.

I Rom in Bosnia Erzegovina

Ad oggi non esistono stime ufficiali sul numero dei Rom presenti in Bosnia ed Erzegovina, anche perché con lo scoppio dell'ultimo conflitto gran parte di essi sono scappati, alcuni diretti verso l'Italia, altri verso la Macedonia e la Serbia.
Prima della guerra vivevano in Jugoslavia circa 850.000 Rom. Esistevano rom di quasi tutte le confessioni religiose presenti sul territorio, ortodossa, cattolica e musulmana, mentre l'intera comunità Rom, senza distinzione di appartenenza religiosa, festeggiava il "Djurdjevdan", che cade ogni sei maggio. Secondo il censimento del 1981, risulta che nella Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia il 47% della popolazione rom con più di 15 anni era analfabeta., il 29% aveva frequentato solo i primi quattro anni di scuola dell'obbligo, appena il 4,6 % aveva frequentato la scuola superiore, e la percentuale di coloro che avevano concluso gli studi superiori si abbassava ad un misero 0,2%.
I Rom vivono da sempre in quartieri separati dal resto della popolazione, cosa che avviene tutt'oggi sia in Bosnia sia nelle altre repubbliche della ex Jugoslavia, come ad esempio a Suto Orizario nei pressi di Skopje. In Bosnia i Rom vivono nelle periferie delle grandi città come Sarajevo, Mostar, Tuzla, o in piccoli quartieri "ghetto" di altre cittadine come Kakanj, Bihac o Zavidovici. La loro posizione sociale li relega quasi sempre in ruoli alquanto inferiori rispetto al resto della popolazione.
Dopo la guerra i Rom rimasti in Bosnia Erzegovina sono molto pochi. Come ci riferisce Haziri, a Mostar prima della guerra vivevano 120 famiglie (per una media di circa 10 membri per famiglia), mentre oggi ne sono rimaste solo 30. Tra i loro membri quasi nessuno lavora in modo stabile, e nessuno beneficia dell'assistenza sociale. Solo ultimamente l'Ufficio affari sociali di Mostar ha deciso di erogare delle sovvenzioni rivolte ai cittadini Rom disabili (invalidi, cechi ecc.).

Le organizzazioni Rom: deboli e divise

L'organizzazione Rom "Neretva" di Mostar è nata pochi mesi fa, e si è data il compito di rapportarsi con le istituzioni nella ricerca di soluzioni definitive ai problemi che sono emersi ultimamente nella zona. Ma purtroppo le organizzazioni locali di Rom non hanno tra loro rapporti molto buoni, cosa che si ripete anche in altri paesi dell'area. Non esiste un coordinamento nazionale per l'intera Bosnia (ed è anche per questo che non è possibile avere dati certi e aggiornati sul numero dei Rom ancora presenti nel paese), e pare non esserci nemmeno una reale volontà di collaborazione.
Tra le tante organizzazioni Rom oggi presenti sul suolo bosniaco, quelle che hanno i maggiori contatti con la comunità internazionale - e quindi anche maggiore accesso a finanziamenti - sono quelle guidate da Rom con una preparazione universitaria. Ma pare esistere un scollamento tra questi e il resto della comunità Rom, perché incapaci di comprendere la tendenza di gran parte dei propri membri a scegliere il nomadismo come impostazione di vita. E così, il disaccordo tra le varie organizzazioni che radunano i Rom della Bosnia Erzegovina non fa che aggravare la situazione, già di per sé difficile, dell'intera comunità. Forse la storia emblematica di Zarif Ahmetovic e della sua famiglia ha attirato l'attenzione pubblica sulle grandi problematiche di questo popolo, che da sempre ha fatto parte della storia bosniaca. Ma intanto nessuno sa dove sia andata la famiglia Ahmedovic...

La situazione dei Rom in Croazia

25/07/2001 -  Anonymous User

I dati

Secondo dati forniti dalle associazioni dei Rom, in Croazia vivono tra le 60 e le 150 mila persone appartenenti a questa comunità. Il primo dato è confermato anche da una ricerca dell'Istituto per le Ricerche Sociali applicate di Zagabria, coordinata da Maja Stambuk, mentre il secondo emerge dalle dichiarazioni di Nusret Seferovic, presidente del Consiglio delle associazioni Rom croate. Diversi invece sono i dati ufficiali: al censimento effettuato nel 1991 risultava che sul suolo croato vi erano soltanto sei mila cittadini Rom, e secondo le previsioni fatte dal gruppo di ricercatori della Stambuk, dall'ultimo censimento effettuato poco più di un mese fa - i cui dati definitivi verranno resi pubblici nel prossimo autunno - dovrebbe emergere un numero di Rom dichiarati tra le 12 e 18 mila. Numeri molto bassi, se si considera che lo stesso Seferovic indica in 12 mila i rom che vivono nella sola città di Zagabria. Questa vistosa differenza tra i dati reali e le cifre che emergono dai censimenti è da porre in relazione alla tendenza della maggioranza della popolazione rom a dichiararsi "croata" se appartiene alla religione cattolica oppure "bosniaca" se di religione musulmana. Il motivo non è concretamente dimostrabile, ma è verosimile che molti non si dichiarino espressamente "Rom" per paura del razzismo latente - ma a volte anche esplicito - e dei forti pregiudizi che gran parte dei cittadini croati mostrano nei loro confronti. Un esempio? Il portiere della squadra nazionale di calcio medaglia di bronzo ai Campionati Mondiale del 1998, Drazen Ladic, si è sempre dichiarato "croato", e con lui tutti i membri della sua comunità che tutt'oggi vive nella contea di Medjimurje, al confine con Slovenia ed Ungheria, semi-isolata dal vicinato croato.

Le organizzazioni rom

La popolazione Rom si è organizzata in circa 40 organizzazioni non governative, e in un partito chiamato "Partito Rom" il cui presidente è Stevo Djurdjevic, imprenditore di Bjelovar nella Croazia settentrionale. Le 40 organizzazioni si raggruppano in tre associazioni nazionali: l'Associazione delle organizzazioni Rom croate, il cui presidente è Vid Bogdan di Pitomaca presso Koprivnica (Croazia settentrionale), che collabora anche con il Partito Rom e raggruppa le tribù Bajasi, provenienti dalla Romania, e i Rom autoctoni croati sopravvissuti allo sterminio ustascia nel periodo della seconda guerra mondiale. Vi è poi il Consiglio delle associazioni Rom croate del già citato Seferovic, che raggruppa i Rom bosniaci e croati. In ultimo c'è il Consiglio di coordinamento delle associazioni Rom in Croazia, presieduto da Sead Hasanovic Braco di Kozari Bok (un sobborgo di Zagabria), che raggruppa prevalentemente Rom provenienti dalla Macedonia e dal Kosovo.
Le tre associazioni nazionali sono divise tra loro, e questo è uno dei problemi più acuti della comunità Rom. Sono in corso tuttavia degli sforzi per un riavvicinamento, anche se il lavoro è difficile. L'unico personaggio di rilievo che forse potrebbe guidare questa riconciliazione pare essere Veljko Kajtazi, atleta famoso (ex-campione internazionale di jiu jitzu) e professionista molto stimato. Kajtazi si è laureato all'università e oggi lavora come ingegnere elettronico; da lui dipende la riuscita dell'iniziativa di riavvicinamento, perché è l'unico tra i personaggi di rilievo della comunità Rom che non appartiene a nessuna delle tre fazioni concorrenti.
Rispetto ai funzionari di queste associazioni, circa il 90% è attivista di professione, cioè ricava il suo reddito esclusivamente dal lavoro nel settore non governativo. I finanziamenti provengono in primo luogo da donazioni estere, ma anche il governo eroga contributi attraverso l'Ufficio per le minoranze etniche. In particolare poi il Comune di Zagabria sostiene le associazioni Rom nel settore della cultura, dell'assistenza sociale e in misura minore dell'educazione.

Il lavoro e la casa

Circa il 25% della popolazione Rom ha un posto di lavoro fisso, la maggioranza in imprese statali. La manodopera non qualificata lavora nei cantieri navali, soprattutto nel cantiere "3 maj" di Fiume, e nei servizi comunali. Tra i pochissimi che hanno una formazione professionale (tecnici, ecc) la disoccupazione è praticamente inesistente. Kasum Cana, dell'Associazione Bogdan e presidente della sezione di Zagabria della Federazione del Partito Rom, parla addirittura di "discriminazione positiva" in questo contesto (pur statisticamente non significativo). Un altro 20% circa della popolazione è rappresentato da piccoli imprenditori - in particolare nell'ambito del commercio e dei servizi - a conduzione familiare e spesso senza operai dipendenti. Il resto della popolazione (circa il 55%) sopravvive grazie al commercio "in nero" e ad altre attività semi-legali o illegali, e una metà di essa si dichiara disoccupata. Per quanto concerne gli alloggi, il 30% dei Rom vive in case di proprietà, il 10% in appartamenti - in genere modesti - presi in affitto, il restante 60% in baracche e casupole per la maggior parte abusive. La differenziazione sociale nella popolazione Rom è enorme, e non esiste praticamente un ceto medio: i Rom o sono estremamente ricchi, secondo gli stessi criteri di valutazione utilizzati per la maggioranza della popolazione croata, oppure fanno parte della scala sociale più bassa e vivono ai margini della società.

L'educazione e i giovani

Soltanto il 10% dei giovani Rom frequenta la scuola dell'obbligo fino alla fine del corso di studi, che in Croazia dura otto anni. Ancora meno - 6-8% della popolazione giovanile - sono quelli che frequentano un corso di studi medio superiore, e in genere privilegiando gli istituti professionali. Sono rarissimi i Rom che frequentano il liceo e poi proseguono negli studi superiori. L'università è frequentata solo da qualche decina di giovani membri della comunità Rom croata.
D'altronde, il livello di integrazione dei giovani Rom nelle scuole è molto basso, e gli atteggiamenti di discriminazione a volte sono aperti, altre volte molto sottili. La discriminazione si rivolge soprattutto verso i bambini appartenenti al ceto più basso, che spesso hanno grandi difficoltà a esprimersi in lingua croata. Ad eccezione di un'iniziativa privata avviata a Kozari Bok (sobborgo di Zagabria) e in alcuni istituti nella Croazia settentrionale, nelle scuole non è previsto l'insegnamento aggiuntivo della lingua e della cultura Rom.

La condizione sociale dei Rom in Croazia

L'assistenza sociale è relativamente ben organizzata, e non vi sono casi ufficialmente registrati di discriminazioni nei confronti della popolazione Rom in questo settore, anche se va detto che pochi di loro rientrano tra le categorie dei beneficiari ammessi alle sovvenzioni statali. L'assistenza sociale in Croazia, infatti, viene offerta ai disoccupati con più di vent'anni di contributi alle spalle, e solo nei primi dodici mesi di disoccupazione...In alcuni casi le autorità mettono a disposizione delle famiglie Rom un'abitazione popolare, ma questa prassi non è molto seguita nemmeno nei confronti del resto della popolazione. A questo proposito il Sindaco di Zagabria, Milan Bandic, ha espresso l'intenzione di costruire nuove case per i Rom e risolvere così la situazione di coloro che attualmente vivono in casupole illegali. Moltissimi membri della stessa comunità Rom si sono dichiarati però contrari all'iniziativa, perché ciò li metterebbe in un'ulteriore condizione di ghettizzati.
Kasum Cana spiega questo atteggiamento anche con la violenza interna alla popolazione Rom: recentemente si è registrato un caso brutale di stupro di una minorenne di nazionalità Rom commessa da parte di vicini di casa, appartenenti alla stessa nazionalità. Questo ha provocato il rifiuto da parte della famiglia a cui la ragazza appartiene di vivere in prossimità della famiglia dei responsabili della violenza.

I rapporti con il resto della popolazione croata

Ci sono stati dei casi di discriminazione anche pesante nei confronti di cittadini Rom croati, e in particolare sette casi di violenza neonazista tuttora irrisolti tra il 1999 e il 2001. Rispetto a ciò il comportamento della polizia ha mostrato due volti: da un lato solo in un caso recente a Pola gli skinheads responsabili delle violenze sono stati arrestati, e solo per iniziativa della stessa comunità Rom che li ha segnalati alla polizia. "Al contrario - afferma Cana - quando qualche persona di nazionalità Rom commette un reato è subito scoperta ed arrestata". Dall'altro lato però, dopo le gravi aggressioni sempre da parte di skinheads nella scorsa primavera a Zagabria, la polizia ha iniziato a mostrare una certa efficienza. Ora infatti gli skinheads sembrano neutralizzati, e non attaccano più la comunità Rom.
Ciò nonostante, secondo Cana resta inaccettabile ad esempio che non si proceda contro un noto gruppo neonazista responsabile mesi fa di aver picchiato un ragazzo Rom, nel quale "milita" anche il figlio di un generale dell'Esercito croato. Cana sostiene che il Ministero degli interni dovrebbe essere più attivo nel fornire sicurezza alla popolazione Rom, e nell'isolare la destra radicale che minaccia i fondamenti della democrazia e dei diritti umani di tutta la popolazione croata.
Durante l'intervento della NATO in Kosovo, in Croazia è arrivato un gruppo di profughi di nazionalità Rom provenienti da quella regione. Tra loro vi sono una ventina di persone che hanno chiesto e ottenuto lo status di rifugiati, ma nel frattempo hanno già lasciato il paese e ora si trovano accolti in Svizzera. Soltanto uno di loro vive ancora a Zagabria, e riceve un aiuto sociale erogato dal quartiere comunale Maksimir. Recentemente sono arrivati a Zagabria anche alcuni membri della comunità Rom macedone, sistematisi poi presso famiglie di conoscenti o di parenti. Nessuno di loro ha chiesto lo status di rifugiato, in parte perché arrivati in modo illegale - cioè senza aver ottenuto il visto - e in parte perché sperano di avere un futuro nel proprio paese di origine o in occidente. Tutti - racconta ancora Cana - sperano di partire per l'Italia o la Svizzera, perché in Croazia non si può vivere con i soli aiuti umanitari.

Vedi anche:

The CHC Representatives Visit to the Roma Settlements in the County of Medjimurje

Zamir Association

Roma people in south Serbia

24/07/2001 -  Mihailo Antović Nis

It is today three years since Mr. Sait Balic, known as 'baro manush', which in Romany means 'a great man', died. Mr. Balic was the most famous Roma person in Nis, the man who fought for the rights of Roma people for almost 3 decades, and he was also the President of World Roma Congress. In the seventies and eighties, Nis (which hosts one of the largest Roma populations in the entire former Yugoslavia, about 30,000 people altogether), became a centre of Roma life: it hosted the first (and unique) manifestation known as 'The Meetings of Roma of Serbia" (still active), and it organized the first Roma professional organization known as "Pride". Thanks to Mr. Balic's efforts, in the eighties the first Roma kindergarten was also founded in Nis. But during the life of this great man, the rights of Roma were largely neglected, partly because of the lack of care of Serbian population, and partly because of the attitude of Roma themselves.
Nowadays, at least officially, the situation is slightly better. Romany technically have the same rights as the rest of the population. They are educated in the same schools as the others. They have their political parties, NGOs and regular participation in the media. Until recently, there was a TV show on the local Nis Television every Sunday known as 'Akaja Rat Si Romani', sponsored by the Fund for Open Society and devoted to Roma people exclusively. In the last six months, a radio station in Romany language has been active in Nis. Mr. Balic's son, Osman, has followed his father's footsteps: he is today probably the most active Roma politician in Serbia, currently at the position of Assistant to the Republic Minister of National Minorities, probably the first time in the Serbian history that a Roma person occupies a relatively important political position.

It is the ordinary man on the street and his attitudes, however, that are ultimately relevant when assessing Roma position. Apart from minority militant groups, such as skinheads (virtually nonexistent in Nis, but pretty active in Belgrade and Vojvodina), who often attack Roma people in the streets, excessive physical violence against the Roma is rare. But, there is a general undertone among the Serbs which shows that nobody takes the Roma very seriously. They are seen as petty thieves and smugglers, average musicians or simple labour force, and this conception is enhanced by the fact that in reality they seldom take any upper positions in the society. Misconceptions are sometimes all-present. For example, popular Roma jokes often describe them as 'dirty', which is not only racist but also physically untrue, since their worldview implies the cult of purity, both spiritual and physical, unknown to most Serbs. Needless to say, any mix between the two populations is rare, which is shown by a recent poll where the percentage of Serbs willing to marry a Roma was 0 (strangely, knowing the situation, even Albanians were more suitable prospective marital partners, although that figure was also very low).
The Roma, on the other hand, do not generally do much to improve their position. Many seem to be satisfied with living in semi-ghettos (residential areas known as 'Gypsy-Towns'), sometimes in very harsh conditions. Their education often stops after primary schools, they usually get married early and have a lot of children, whom they cannot fully support, so they are themselves married young, and so on. Crime rates among the Roma are very high, although their offences are usually minor. Their political life, apart from some NGO activity in the recent years, is very modest. In the middle of the 'cast your vote, participate in the elections' campaign last autumn, a large part of which was aimed at the Roma, posters put up in Roma-town in Nis contained an additional inscription: "Whoever tears the posters, let his mother die soon!" - which aimed at the traditional superstition of the Roma, and seemed to be the only way for the posters to stay in one piece and communicate their message. In Vranjska Banja, a spa near Vranje, south Serbia, almost exclusively inhabited by Roma people, almost the entire population of age has joined the currently ruling Democratic Party of prime minister Djindjic. The explanation to this sudden interest in political life came after a local party official, also a Roma person, boasted in front of the foreign journalists that "the Roma are always with those in power, which today means Democratic Party, and that everybody will join. Those who do not, will be 'located'". Someone might call this a new reading of democracy.

However, the funny stories of the local Roma people and their clumsiness when they are to somehow integrate into society are replaced by very grim stories of Roma IDPs from Kosovo. While ethnic Serb IDPs had somewhere to go to, or at least were given some attention, the Roma were left to wander on their own. No one was willing to accept them (in Nis there was one (only one!) family ready to accept Roma population). There was virtually no organized care for the Roma once they crossed the administrative Kosovo border. On the other hand, it would be fair to notice that Roma NGOs, in spite of such a neglect of their compatriots, always make programmes which help all IDPs, irrespective of their ethnicity.

The Roma from Kosovo were put up in some camps where conditions were generally worse than those camps hosting Serbs. There is a large camp known as Salvatore in Bujanovac. From June 1999 to June 2000 the Roma there were put up in tents. Only last summer were they allowed containers donated by the Japanese government. The most terrible story was the one from Kursumlija, in the southwest, were a number of families settled downtown, in the open air, under the bridge. Some had to survive through the winter in unfinished buildings with no windows, no heating, and bad roofs - such as the Cultural Centre building in Kursumlija. In Kragujevac, their situation was slightly better - they were allowed to enter small bungalows with joint kitchen and toilet, shared by eight families. There are some situations where the Roma are settled within Kosovo, also as IDPs: such is the case in the camp in Plementina, a virtual ghetto a few miles from home, where there are about 700 IDPs (mostly Roma, with some Kosovo Serbs and a couple of Serbian families earlier settled from Krajina, Croatia). They are taken care of by the Kosovo branch of ICS.
It is rather difficult to work with Roma population and most NGOs avoid this activity. Repatriation programs still do not exist, and integration is almost impossible. The social habits of many are extremely low, so they are usually taught the most basic things by NGO activists: literacy, basic hygiene (for which they often get small packages with soap and toiletry weekly) etc. Some are trained in workshops, where they choose activity according to their wishes: they are taught some English, music, rap, folklore, even karate - virtually anything to get them socialized as much as possible. ECHO and ICS have started up the project "Evropako Rom" (European Roma), which consists of making the Roma population, especially the youth, active in preparing their own magazine. It is published every two months, and it covers the topics in Roma legends, history, culture, but it also offers some news and interviews.

The overall situation of the Roma, however, remains grim. Generally treated with disrespect, not well organized and not determined to fight, they have remained on the fringes of society for centuries. Among them, those displaced from Kosovo have probably generally been through the most humiliation and neglect of all ethnic groups since the break up of the former Yugoslavia.

La questione del bilinguismo in Istria e i rapporti con la Croazia

02/07/2001 -  Anonymous User

Il bilinguismo che caratterizzava i ceti borghesi di Zagabria e Osijek, dove le nonne parlavano regolarmente con i nipoti in tedesco, è praticamente scomparso. Ma in Croazia è storicamente presente, e molto vivace, anche un altro bilinguismo: il bilinguismo croato-italiano, nelle regioni dell'Adriatico settentrionale (Istria e Quarnaro). Si tratta di un fenomeno numericamente più vasto dell'entità della comunità italiana: quest'ultima, nel censimento del 1991, conta poco più di ventimila abitanti (i risultati del nuovo censimento saranno pubblicati in autunno); da una ricerca effettuata nel 1996 dal docente di Sociologia dell'Università di Fiume Boris Banovac, risulta che il 7% della popolazione istriana si definisce etnicamente italiana, il 65% si sente croata e circa il 20% si definisce istriana o croato- istriana e sceglie, dunque, un'identità regionale.
In Istria e Quarnaro il bilinguismo è quasi totale.
Nell'ex-Jugoslavia, specialmente nei primi anni dopo la seconda guerra mondiale, c'era una forte pressione sulla minoranza italiana, il cui esito evidente fu l'esodo della maggior parte del gruppo etnico italiano, tra il 1948 e il 1955. Il bilinguismo era emarginato, ma questa operazione non ha avuto successo: Istria e Quarnaro hanno infatti mantenuto carattere bilingue (a differenza di Fiume, dove a seguito della vasta immigrazione il bilinguismo si è perso). Negli anni Settanta e Ottanta non si sono infine più registrati tentativi di emarginazione o abolizione.
Negli anni Novanta, nel periodo della Croazia indipendente governata dall'HDZ (Unione Democratica Croata), in Istria e Quarnaro c'è stato il rifiuto dell'omogeneizzazione nazionale croata: il numero dei voti per l'HDZ corrispondeva più o meno al numero degli immigrati di nazionalità croata. Ma neanche altri partiti con l'aggettivo 'croato' nella denominazione hanno ottenuto un successo di rilievo. L'IDS (Dieta Democratica Istriana), diventato un movimento regionalista, con mutati orientamenti politici e ideali (il presidente Ivan Jakovcic nel 1994 ha definito la linea politica del partito come democratico-cristiana, provocando molti dissensi, specialmente tra coloro che percepivano la propria collocazione a sinistra), deteneva il monopolio quasi assoluto nelle città e nei comuni istriani, così come nella parte quarnerina (Liburnia e isole apsartide) della Contea di Fiume (Contea litorale-goraniana). Molte assemblee comunali erano monopartitiche. Le giunte locali hanno introdotto il bilinguismo ufficiale nelle città dove era presente una minoranza italiana. L'Istria, in termini di popolazione e di strutture politiche dominanti, stava diventando per questo oggetto di attacchi durissimi da parte dell'HDZ (accuse di separatismo, irredentismo, e così via), ma l'IDS ha trovato tra i partiti croati d'opposizione alcuni alleati, in primo luogo l'HSS (Partito Contadino della Croazia), l'HNS (Partito Popolare Croato) e il LS ( Partito Liberale), ed è così diventata nel 2000 una delle componenti della nuova coalizione governativa.
Partecipando al potere centrale, l'IDS si è assunta la responsabilità per l'impotenza (o la lentezza) del nuovo governo, riguardo al superamento della crisi sociale ed economica e, più in generale, riguardo alla mancata modernizzazione del paese e abolizione dell'eredità negativa del periodo precedente. Nel periodo del governo HDZ era relativamente semplice ottenere l'appoggio dell'elettorato: era impossibile per l'autogoverno locale cambiare qualcosa di sostanziale perché tutto (o quasi tutto) dipendeva dalle autorità centrali. Dopo il 3 gennaio (data del crollo dell'HDZ), la situazione è cambiata, ma nella vita quotidiana non c'è traccia di superamento del passato. D'altra parte, alcuni casi di corruzione a livello locale (in primo luogo, il caso Quaranta a Pola) hanno aggravato la posizione dell'IDS. Forse proprio questo spiega non soltanto la decisione dell'IDS di passare all'opposizione, ma anche la decisione di approvare uno Statuto regionale istriano, che producesse dissensi a livello nazionale e mostrasse il vero stato d'animo dominante nel resto del paese. L'intento dell'IDS, con questa mossa, era quello di suscitare appoggio per il partito in difficoltà.
Uno tra gli elementi problematici nello Statuto istriano (su cui si attende la decisione della Corte Costituzionale) riguarda il bilinguismo ufficiale. Secondo lo Statuto, la lingua croata ed italiana sono definite lingue ufficiali, equiparate a livello regionale. Questo significherebbe che l'amministrazione pubblica dovrebbe svolgersi obbligatoriamente in entrambe le lingue. Chi non fosse in grado di scrivere un atto pubblico in italiano, non sarebbe quindi più idoneo a svolgere un servizio pubblico. La verità è che questo colpirebbe soltanto pochissimo personale amministrativo o più precisamente soltanto i nuovi immigrati. C'é un documentario famoso dagli anni Ottanta circolato a Degnano, presso Pola, con il titolo (anche in versione croata!) "Buon giorno, Mujo!" (Mujo è un tipico nome musulmano bosniaco, derivato da Muhamed). Questo mostra che anche gli immigrati bosniaci, macedoni, albanesi, ecc. sono nel corso degli anni diventati bilingue. Una dalle conseguenze dello Statuto sarebbe l'obbligo per la maggioranza croata di imparare l'italiano (attualmente non c'e nessun obbligo e vige la prassi di conoscere o imparare la lingua italiana, non tanto per ragioni di convivenza o intercultura, ma per i contatti commerciali, turistici e professionali (spesso per il lavoro nero oltre frontiera, a Trieste e in Friuli). Anche gli analisti molto favorevoli al regionalismo istriano, come lo scienziato politico Damir Grubisa (Novi list dell'8 giugno) sostengono che l'obbligo sarebbe contestabile. Secondo un funzionario istriano dell'SDP (Partito Social Democratico), Livio Bolkovic, l'applicazione dello Statuto produrrebbe diseguaglianza e discriminazione linguistica tra coloro che soni bilingue e coloro che parlano soltanto croato (in Istria non ci sono italiani, eccetto alcuni anziani, che non siano impadroniti della lingua croata).
Il vertice dell'IDS ha annunciato che nella seduta costituente dell'Assemblea istriana (dove, dopo le elezioni dal 20 maggio, l'IDS ha di nuovo la maggioranza assoluta) saranno precisati alcuni articoli dello Statuto, riguardanti proprio la questione della lingua ufficiale, secondo cui il bilinguismo ufficiale non sarà obbligatorio per le comunità senza minoranza italiana.
In ogni caso, l'intento provocatorio dell'IDS di mettere in luce lo stato d'animo dominante in Croazia ha avuto un successo enorme. Non soltanto la destra radicale (membri e funzionari dell'HDZ e partiti vicini), ma anche personaggi come il centrista Drazen Budisa (HSLS Partito Social Liberale) hanno dimostrato un livello altissimo d'intolleranza. Dice Budisa: "Noi non dobbiamo e non possiamo tollerare la de-croatizzazione dell'Istria. L'Istria non deve continuare ad essere un punto nevralgico del paese. Tutti insieme dobbiamo gridare: basta!" (Feral Tribune del 9 giugno; il cronista Ivica Djikic, che cita Budisa, interpreta la sua affermazione come espressione della paura che tramite il bilinguismo e la demilitarizzazione, l'IDS voglia cedere l'Istria ai "fascisti italiani". Nello stesso senso si esprime anche la presidentessa dell' HSLS in Istria, Jadranka Katarincic Skrlj, deputata in Sabor (Parlamento) grazie alla coalizione governativa, più che al sostegno elettorale istriano. Alcuni politici rilevanti croati non la pensano però così. Il presidente dell'LS e Sindaco di Osijek, Zlatko Kramaric, ha ripetutamente deplorato i metodi usati da Budisa (e anche dal presidente dell'HSS Zlatko Tomcic, ex-alleato dell'IDS) riguardo al bilinguismo e generalmente alla questione istriana. Ha poi dimostrato chiaramente il suo dissenso da Budisa anche Vesna Pusic, leader dell'HNS.
Il nuovo sindaco polese Luciano Delbianco, dissidente dall'IDS e Presidente del partito alternativo regionale IDF, sostiene che, benché non sia d'accordo con la formalizzazione del bilinguismo ufficiale tramite lo Statuto regionale, il bilinguismo è in Istria una cosa quasi naturale e che nessuno deve sentirsi minacciato se parla un'altra lingua. Un altro dissidente dell'IDS, Ivan Pauletta, fondatore storico del partito, pensa però che le vicende concernenti lo Statuto istriano mettano in evidenza un'ignoranza del pubblico politico ed intellettuale croato: secondo lui l'Istria non era italianizzata, ma slavizzata, così come la Dalmazia. La Croazia dovrebbe, secondo Pauletta, seguire alcuni esempi italiani: in Molise la lingua croata, parlata da 2500 persone, è legalmente definita una lingua protetta (intervista speciale sul Feral Tribune del 9 giugno). A Pauletta risponde nel numero seguente del Feral, Nela Rubic, dichiarando la sua approvazione dell'Istria bilingue ("L'Istria parla tutte le lingue, in Istria ciò è naturale e perciò ammirevole"), ma anche un dissenso rispetto al metodo con cui Pauletta legittimerebbe un primato linguistico.
Una reazione tipica arriva dalla caporedattrice del Glas Istre, Eni Ambrozic. Secondo lei le reazioni contro il bilinguismo istriano producono la diffusione d'una opinione maggioritaria in Istria molto sfavorevole a Zagabria, che non è in grado di capire la realtà istriana e di accoglierla. Eni Ambrozic ritiene che nulla sia cambiato nella posizione della maggioranza croata nei confronti dell'Istria, rispetto ai tempi dell'HDZ. Ma ci sono anche voci simili da parte di non-istriani. Due partiti croati (il LS e l'HNS già menzionati) hanno dimostrato che non condividono l'isterismo contro l'Istria in corso nel paese. Ma forse ancora più preziose sono le analisi fatte da alcuni intellettuali di rilievo. Oltre a Grubisa, già citato, vale non dimenticare Nenad Miscevic, filosofo fiumano (ex-professore a Zara, ora ordinario alla Università di Maribor, in Slovenia). Secondo Miscevic (Novi list, del 10 giugno), il problema del bilinguismo è da interpretare come assenza di volontà politica e culturale da parte della Croazia di seguire l'Istria nel processo di europeizzazione. Lo stesso atteggiamento che durante gli anni Ottanta la Jugoslavia aveva nei confronti della Slovenia è ora manifesto nell'atteggiamento della Croazia verso l'Istria. Il modello da seguire consisterebbe invece nell'esempio dell'Alto Adige. Senza una svolta in tale direzione, la Croazia sarebbe come la Romania rispetto al problema della Transilvania.
Ma chi rappresenta la Croazia maggioritaria riguardo al "problema istriano"? Budisa e Tomcic o Kramaric e Miscevic? Non ci sono ricerche empiriche valide. Ma sembra che la maggioranza croata sia assolutamente o quasi assolutamente indifferente e che l'isterismo di Budisa, così come l'europeismo di Miscevic, siano soltanto due opinioni minoritarie, la prima diffusa a misura del nazionalismo croato, la seconda a misura dell'affermazione del valore della multiculturalità nella società e nell'opinione pubblica croata. I futuri sviluppi dipendono dal tipo di contesto culturale, ideologico, politico e sociale che si costituirà nel paese nei prossimi anni.

I Rom tra Albanesi e Macedoni

30/06/2001 -  Anonymous User

Lo scontro tra le due principali comunità nazionali schiaccia, e quasi fa sparire, così come era accaduto già due anni fa in Kosovo, gli altri gruppi etnici presenti sul territorio. Tra questi i Rom. La loro presenza nella regione è antica e, preciso onde evitare equivoci e romanticismi nomadici, stanziale. Salvo ovviamente gli spostamenti legati a conflitti, persecuzioni e ricerca di lavoro. Le statistiche ufficiali non offrono dati attendibili sulla consistenza numerica di questo gruppo etnico.

Fonte: Nando Sigona © KATER;

Crisi in Macedonia: l'etnia non c'entra

28/06/2001 -  Anonymous User

Non sono conflitti etnici quelli che scuotono la Macedonia e l'Albania e che presto potrebbero lacerare il Montenegro. Sono conflitti politici ed economici. Uomini politici la cui identità etnica è posticcia legittimano politiche servili verso Fondo Monetario, Banca Mondiale e USA tramite appelli etnici. Cartelli multietnici si formano per il controllo dei flussi di risorse che traversano i Balcani, destinate ai mercati europei: i conflitti "etnici" servono solo per ampliarne lo spazio di manovra. Questi cartelli governano la transizione dei Balcani verso un'economia di mercato. Ne hanno già definito i contorni mediando i propri interessi con quelli dei poteri globali. Questi interessi si concentrano su alcuni nodi, quelli che permettono il controllo dei flussi di merci dall'Asia verso l'Europa.

Il "paraesercito macedone" intima agli albanesi di andarsene: ecco il comunicato

26/06/2001 -  Anonymous User

MACEDONIA PARAESERCITO 2000 ORDINA: Ordiniamo a tutti gli schipetari termine peggiorativo per albanese - N.d.T. che hanno oggetti in vendita-sono negozianti qui e intorno al mercato Kvantaski, di andarsene entro tre giorni, mentre per gli schipetari di Aracinovo il termine è di 24 ore. Dopo tale termine, tutti i negozi verranno bruciati e se qualcuno cercherà di proteggerli, verrà anch'egli ucciso senza preavviso. Informiamo gli schipetari della Repubblica di Macedonia che per ogni ufficiale di polizia o soldato ucciso, 100 schipetari che non hanno la cittadinanza o che hanno preso la cittadinanza dopo il 1994 verranno uccisi. Per ogni ufficiale di polizia o soldato reso disabile, verranno uccisi 50 schipetari. Per ogni ufficiale di polizia o soldato verranno uccisi 10 schipetari, senza tenere conto del loro genere o della loro età. Informiamo gli schipetari che non hanno la cittadinanza o la hanno ottenuta dopo il 1994 che devono abbandonare la Macedonia prima del 25 giugno di quest'anno, a mezzanotte. Dopo tale termine, cominceremo con la pulizia -- "La notte più lunga", offerta da Macedonia Paraesercito 2000. Ordiniamo a ogni macedone, turco, Roma, Torbes, Bosgnacco e agli altri di non effettuare compere nei negozi albanesi mentre la guerra è in corso, perché con tali azioni viene fornito direttamente supporto ai narcogangster terroristi schipetari. In caso contrario, tutti i negozi di coloro che commerciano con gli schipetari verranno bruciati. Ordiniamo a tutti di affiggere questo opuscolo sui propri negozi al fine di consentire un'informazione di massa. Le abitazioni che riceveranno questo opuscolo e non lo mostreranno in un luogo visibile saranno potenziali obiettivi, indipendentemente da chi sono i loro proprietari.
L'opuscolo recava un sigillo di gomma rossa con l'immagine di un leone e la scritta M P 2000 intorno al sigillo.

© HUMAN RIGHTS WATCH;

Articolo

25/06/2001 -  Anonymous User

In questi giorni a Bujanovac Jeton Ismail, corrispondente per Radio Deutsch Wella, ha aperto la prima radio privata in lingua albanese. Ismail crede inoltre che la collaborazione con i media in lingua serba sarà un ottima spinta verso la tolleranza reciproca. La radio inizierà col trasmettere brevi annunci informativi e musica.
Dopo due anni nelle edicole di Bujanovac arrivano anche i giornali dal Kosovo: Kosova sot, Koha Ditore, Bota sot, Rilindija, ed è aumentata la tiratura dei media locali che arrivano in questo comune plurinazionale, ma anche a Presevo e Veliki Trnovac, dove presso popolazione locale albanese negli ultimi mesi è aumentato l'interesse per la stampa in lingua serba che dedica ampio spazio alle attualità di questo territorio.A Bujanovac in breve tempo ci si aspetta che inizi a lavorare anche la televisione locale, per la quale il Governo serbo ha stanziato i mezzi.
Il programma verrà realizzato dall'equipe di Radio Bujanovac di cui fa parte pure il mensile locale "Bujanovicne novine".

La pressione internazionale riattiva il dialogo

22/06/2001 -  Anonymous User

Sono ripresi a fatica i colloqui tra i partiti macedoni e quelli albanesi, dopo la brusca interruzione causata dalle forti divergenze interne. La fugace visita di Solana a Skopje, sembra aver riaperto la possibilità di una speranza d'intesa tra le due parti in conflitto. Solana ha fatto sapere che ritornerà nel fine settimana a Skopje e che entro il prossimo lunedì dovranno esserci dei "risultati concreti".
Su informazioni dell'agenzia Sense, Solana ha informato il consiglio dei ministri degli esteri del Parlamento europeo, circa le possibilità di cambiamento della costituzione macedone. L'Alto rappresentante europeo ha detto che "Il sentimento tra gli appartenenti alla minoranza albanese della FYROM è quello di appartenenza a questo paese. Non desiderano essere cacciati, ma desiderano esserne parte. Per ciò è così importante considerare un cambio della Costituzione. In tutti le costituzioni della regione è mantenuta la filosofia dell'inizio degli anni '90. Il cambiamento dei preamboli della Costituzione è, in questo senso, la base perché lo stato sia non solo degli Slavi, ma formato anche dai cittadini albanesi". " Per questo - prosegue Solana - siamo così interessati al cambiamento della Costituzione, in modo che gli uni e gli altri possano sentirsi bene nel paese, ciò è particolarmente importante con una Costituzione che riconosca che gli elementi fondatori del paese, siano sia gli uni che gli altri e non solo gli uni" (Sense).
Tuttavia le pressioni internazionali non sono gradite al premier macedone Georgievski che ha detto di non poter accettare "pressioni dalla comunità internazionale per cedere alle richieste degli albanesi e non devono porci limiti di tempo perché sono in discussione questioni di eccezionale importanza" (Ansa). Georgievski si riferisce alla data entro la quale dovranno essere presentate le decisioni che usciranno dai colloqui di questi giorni, ovvero lunedì 25 giugno presso la riunione europea in Lussemburgo. Il leader del PDP (Partito per la prosperità democratica albanese) Imer Imeri ha fatto sapere che i colloqui riprenderanno dalle questioni meno difficili per poi proseguire sui punti dove c'è maggior divergenza (AP).
In questo bailamme generale di accuse reciproche, tra albanesi e macedoni, circa il fallimento dei negoziati, si fa sentire anche la voce della NATO, pronta per un intervento di breve durata e con una forza minima necessaria a garantire il disarmo dei guerriglieri, ma tuttavia in attesa di un esito positivo delle trattative. A proposito dell'incontro tra Powell e Robertson - scrive la Reuters - il segretario di stato americano ha dichiarato: "abbiamo parlato della Macedonia. Siamo speranzosi che il processo politico ripartirà velocemente e che avrà una spinta in avanti". Ma - ha aggiunto Powell - non abbiamo fatto il punto sulla partecipazione degli USA. Ci sono molti modi in cui possiamo contribuire" (Reuters, Ansa).
Nel frattempo alcuni scontri tra le forze macedoni e i guerriglieri albanesi si sono verificati la notte scorsa nei presi dei villaggi di Rasce e Radusa, quest'ultima localizzata tra Blace e Jezince, punto di attraversamento della frontiera verso il Kosovo, dove mercoledì sono transitate circa mille profughi. L'UNCHR fa sapere, inoltre, che il numero dei rifugiati macedoni è salito a circa 50.000 persone. Sembra che i macedoni si siano rifugiati in Serbia e in Kosovo, mentre gli abitanti albano-macedoni lasciano il paese per dirigersi in Turchia, in Albania o in altri paesi occidentali (Tanjug).

La prima fase delle trattative si conclude con un nulla di fatto

21/06/2001 -  Anonymous User

Le trattative in atto a Skopje tra i due partiti macedoni (VMRO-DPNE del premier Georgievski, il Partito socialdemocratico macedone di Cervenkovski) e i due albanesi (il Partito democratico albanese (PDA) di Xhaferri e il Partito per la prosperità democratica (PDP) di Imeri) hanno subito un arresto. Dopo sei giorni di consultazioni sotto le pressioni della comunità internazionale, il dialogo si è concluso con un nulla di fatto.
Da parte macedone si rimprovera ai partiti albanesi di essersi spinti troppo oltre nelle richieste, ovvero - secondo le parole di Trajkovski - il raggiungimento di "una federalizzazione e l'ambire ad uno stato con due nazionalità" (Politika). Inoltre è stata rifiutata la proposta, avanzata da parte albanese, di ottenere una forma di "democrazia consensuale", cioè un vicepresidente della repubblica, albanese, con diritto di veto e un ramo nuovo della camera parlamentare. Trajkovski ha infatti dichiarato che "la Macedonia non deve applicare il concetto della democrazia consensuale, perché in quel modo si approfondirebbero i conflitti interetnici e si bloccherebbe il sistema per l'emanazione delle decisioni politiche" (Politika).
Da parte albanese vengono smentite le ambizioni territoriali, ma si insiste invece sullo status di popolo costitutivo, sul riconoscimento della lingua e la scrittura in caratteri latini accanto alla lingua macedone in cirillico, e sulla figura di un vice presidente con diritto di veto.
Proverà oggi a Skopje l'Alto rappresentate europeo per la sicurezza, Javier Solana, accompagnato dall'inviato della NATO, Peter Feith, a mettere d'accordo le parti in conflitto. Solana deve cercare di far uscire un'intesa tra i partiti albanesi e quelli macedoni, di modo che la NATO possa intervenire, senza un mandato dell'ONU, dal momento che entrambe le parti richiederebbero l'intervento direttamente.
La NATO avrebbe già deciso di inviare un contingente di circa 3.000 uomini in Macedonia, tuttavia, come ha dichiarato il suo segretario generale, George Robertson, "non si tratta di un intervento armato, ma piuttosto di un offerta fatta dai paesi aderenti al Patto per prendere in consegna le armi e le uniformi di quei gruppi che si vogliono disarmare" (Finanacial Times).
L'intervento dovrà durare un mese e le truppe dovranno esser pronte nell'arco di una decina di giorni (probabilmente entro il 27 giugno, data per cui era previsto un colloquio con il premier macedone Georgievski a Bruxelles). La Gran Bretagna, la Spagna, la Francia, la Grecia, la Repubblica Ceca, la Norvegia e la Germania hanno annunciato di essere pronte ad inviare loro soldati per un contingente NATO già nominato Mfor, mentre gli USA fornirebbero il supporto logistico all'operazione (Politika, Finanacial Times). Secondo le parole di Colin Powell, sembra che gli USA stiano considerando di utilizzare alcune delle 700 truppe di supporto logistico già presenti in Macedonia, e ha concluso dicendo: "credo che siamo coinvolti militarmente, politicamente e diplomaticamente" (Finanacial Times).
Colin Powell, aveva nei giorni scorsi assicurato la lobby albanese americana che gli Stati Uniti continueranno a rimanere impegnati nello sforzo per un'equa soluzione della crisi macedone. La comunità albanese aveva, infatti, espresso preoccupazione per l'impegno russo alle operazioni di disarmo e sorveglianza della Macedonia. Il presidente del Consiglio nazionale americano albanese aveva dichiarato che "ogni volta che sentiamo nominare la Russia e i Balcani nella medesima frase ci rende nervosi" (Reuters, AFP).
Resta da vedere come si comporterà la comunità internazionale se dagli incontri diplomatici dei prossime giorni non uscirà un piano di soluzione che metta d'accordo i due schieramenti politici, albanesi e macedoni. Ci sarà comunque un intervento della NATO? e se sì, in che misura?

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21/06/2001 -  Anonymous User

"Le indagini dureranno molto tempo, ed io sono preoccupata per il destino della Hercegovacka Banka". Lo dice Toby Robinson - americana, direttrice temporanea dell'HB, imposta dall'Alto rappresentante Wolfgang Petrisch - in un'intervista rilasciata a Slobodna Bosna, il 14 giugno scorso.
Non possiamo ancora dimenticare gli incidenti alla Hercegovacka Banka
del 6 aprile scorso, quando
la signora Robinson dovette letteralmente fuggire dalla
banca, sotto le minacce e le pietre lanciate dagli
estremisti croati. In quell'occasione alcuni carabinieri italiani furono presi in ostaggio ed
alcuni di loro vennero gravemente feriti.

Dopo un periodo di silenzio, l'Alto rappresentante, con
l'aiuto dello SFOR, ha organizzato un'ulteriore incursione nella
Banka, riguadagnando il controllo della situazione E' da allora che
comincia il duro lavoro della signora Robinson, che
ha il compito di controllare la situazione nella banca e
scoprire tutti i conti irregolari.
La Robinson ha alle spalle una carriera analoga
nei Stati Uniti: "Per lungo tempo ho operato in
banche che avevano molti problemi, soprattutto in
Texas, negli anni Ottanta. Adesso vivo e lavoro tra
Sarajevo e Mostar. E' importante concludere questa fase di controllo
della contabilità il più presto possibile".

Riguardo alla collaborazione da parte degli impiegati della
Herzegovacka Banka di Mostar, la Robinson dichiara che, su 275, soltanto un paio le stanno
dando una mano, mentre gli altri sono occupati a garantire il funzionamento tecnico della banca.

I documenti da controllare sono 1,1 milione e l'operazione è soltanto all'inizio.
Una delle anomalie scoperte riguarda un
conto di 54 milioni di marchi tedeschi, denaro della Repubblica
croata. Considerando che il
capitale della Hercegovacka Banka è di 20 milioni di marchi
tedeschi, questo conto è sospettato essere una transazione illegale. E' prematuro dire se e quando vi sarà un procedimento legale.
Si tratta probabilmente di una delle ragioni per cui Petrisch ha ordinato di effettuare i controlli.

L'attuale problema è, poi, stabilire priorità nell'erogare il denaro. La
soluzione che si prospetta sembra essere quella di bloccare tutti i conti. La
Hercegovacka Banka, banca centrale della Bosnia Erzegovina, dispone infatti di 20 milioni
di marchi tedeschi: il Ministero delle Finanze ne chiede 17, al contempo il Fondo pensionati
ne chiede 14. A chi dare il denaro? Forse, una pensionata di Mostar ha bisogno davvero di poco, per sopravvivere.

Il "paraesercito macedone" intima agli albanesi di andarsene

20/06/2001 -  Anonymous User

Il "paraesercito macedone 2000", fino ad ora sconosciuto al pubblico, ha emesso un comunicato con il quale richiede che"tutti gli albanesi (shiptari) che hanno avuto la cittadinanza macedone nel 1994 devono lasciare il paese entro il 25 giugno 2001".
Nel comunicato dell'organizzazione, pubblicato dal giornale di Skopje "Vest", si dice che il "paraesercito macedone", inizierà la "pulizia dei loro villaggi" se gli albanesi non lasceranno il paese, e saranno risparmiati soltanto "quegli albanesi che prenderanno le distanze dai terroristi".
La minaccia è stata rivolta anche ai macedoni che hanno "avuto a che fare con alcuni albanesi", e al governo è stato richiesto di effettuare la revisione delle cittadinanze date agli albanesi in quell'anno, prima che vengano attivate tutte le "forze a disposizione e le armi sofisticate".
Il paraesercito macedone, come organizzazione cospirativa, è stato formato dieci anni fa da un gruppo di macedoni che erano al potere. Fra di loro c'era anche l'ex ministro degli affari interni Jordan Mijalkov, e ora dispongono di circa 2000 membri. Nell'organizzazione c'è anche un gran numero di appartenenti alle unità d'elite dell'esercito e della polizia, le "Tigri", i "Lupi" e gli "Scorpioni", si dice nel comunicato. Gli appartenenti al paraesercito sono anche, come dice sempre il comunicato, "pulitori a pagamento" che saranno attivati e che riceveranno uno stipendio mensile di diecimila marchi per la liberazione dai balisti albanesi che non hanno la cittadinanza oppure l'hanno ottenuta nel 1994. Questa organizzazione fino ad ora non si è mai fatta sentire. Nel 1994 la cittadinanza macedone è stata data, prima del censimento, come si scriveva sui media di Skopje, a circa 120.000 albanesi.

» Fonte: © Tanjug

Si dimette il Ministro degli Interni

20/06/2001 -  Anonymous User boskovski, ljuboten

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19/06/2001 -  Anonymous User

Si è svolto sabato scorso presso la sala Piamarta di Brescia, un'incontro organizzato dall'Associazione Guido Puletti dal titolo: "L'eccidio dei tre volontari italiani e i crimini di guerra in Bosnia. Tra memoria, ricerca della verità e giustizia".
L'incontro ha voluto commemorare la morte dei tre volontari bresciani, uccisi tra Gorni Vakuf e Travnik il 29 maggio del 1993, mentre il processo che si è recentemente aperto a Travnik è tuttora in corso.

I relatori della serata sono stati: il sindaco di Brescia, Paolo Corsini; Esad Hecimovic, redattore del settimanale bosniaco "Dani" e Ilario Salucci dell'Associazione Guido Puletti.
Non molto il pubblico presente in sala, onorato tuttavia dalla presenza di Paolo Di Giannantonio, giornalista della RAI.
Il sindaco Corsini - che personalmente ha seguito parte della vicenda giudiziaria relativa all'eccidio dei tre giovani di Brescia e che si è preso a cuore la battaglia condotta dalle associazioni nella difficile ricerca della verità - ha aperto la serata. "A Travnik e Sarajevo - dice il sindaco Brescia - ho avuto modo di vedere la tenacia di questa città nel non lasciarsi prendere dall'amnesia o dalla smemoratezza di ciò che è accaduto tempo fa". Inoltre grazie all'Associazione "ho avuto modo di avere una chiave di lettura di tutta la questione, mi sono reso conto, infatti, che non si trattava solo di un eccidio, ma piuttosto l'espressione di qualcosa che fa paura, un'azione della criminalità politica e militare, ovvero di qualcosa di più grave".
Queste parole vengono completate dalla competenza e dalla preparazione di Esad Hecimovic, che da anni si occupa dei crimini commessi in Bosnia. "Dal '97 mi sono occupato dei crimini commessi ai croati, sia civili che militari. Il problema è stato quando ho iniziato a scrivere di Paraga, allora sono iniziate le minacce". Paraga è il responsabile della morte dei tre volontari ed è anche una persona piuttosto influente nella città di Travnik e in buona parte della Bosnia. Nonostante il pericolo corso, Hecimovic è riuscito ad intervistare Paraga e secondo le sue parole "quella fu proprio la sua prima uscita in pubblico dal '93". Nella intervista, Paraga sostenne di non essere mai stato sul luogo dei fatti, mentre recentemente ha ammesso di essersi trovato sul luogo, ma di non aver commesso egli stesso l'omicidio e che erano stati i suoi soldati. "La cosa peggiore - aggiunge Hecimovic - è che la vittima deve difendersi dalle accuse di chi è accusato".
Ad Ilario Salucci spetta di fare il quadro sulla situazione italiana relativa al processo in corso. "8 anni fa i giornali descrissero i tre volontari come incoscienti, per aver partecipato come civili ad una guerra", ma si chiede Ilario forse che è "una cosa morire da civili e un'altra morire da militari?". Il fatto è che in questo processo manca tutta una documentazione essenziale, quella dell'ONU che era presente in loco". In conclusione Salucci avanza alcune domande: "perché il 31 maggio'93 era a tutti noto che il responsabile dell'eccidio fosse Paraga, mentre dopo nessuno ammise il fatto? Perché le autorità centrali non riconobbero l'eccidio come una decisione politica?". Anche le autorità italiane sembrano ostacolare il legittimo emergere della verità.
"Ma chi è in realtà questo Paraga?" chiede in sala il giornalista della RAI, Di Giannantonio. Il redattore di Dani risponde in modo modesto che "Paraga viene descritto come un contadino. Fu un comandante dei Berretti Verdi, ovvero l'esercito della difesa di Alija Izetbegovic. Questo gruppo nacque in seguito ad altre forze armate provenienti dall'SDA (il partito di Izetbegovic). All'inizio adottavano una serie di simboli islamici". Sono tuttora piuttosto influenti, "il Partito per la Bosnia e l'Erzegovina (SBiH) ha relazioni con alcuni di questi dei Berretti Verdi" e se Paraga non avesse avuto questo processo - continua Hecimovic - ora sarebbe sicuramente ai vertici della politica". Eppure "Paraga è un contadino che può permettersi uno dei migliori avvocati della BiH" avanza Di Giannantonio. In questo caso ci sono due risposte - dice il giornalista di Dani - "una è che il padre ha chiesto di persona a Sarajevo il miglior avvocato per suo figlio", ma è anche vero che "ci sono persone che durante la guerra si sono arricchite enormemente, persone che sono passate dall'SDA alla SBiH e che sono politicamente importanti". "In BiH c'è la stampa nazionale che vincola a scrivere solo sui crimini commessi dagli altri popoli, ma se scrivi sui crimini commessi dagli appartenenti al tuo popolo, allora su di te si riversano tutte le accuse". Inoltre "occorre sempre pensare alla situazione reale, ovvero collocarsi nella realtà di Gorni Vakuf, dove le frontiere etniche che c'erano durante la guerra sono ancora ben salde" "Io non credo - conclude Hecimovic - che esista un crimine di mio interesse nazionale e per questo motivo scrivo sui crimini commessi dal mio popolo".
Congedano l'incontro le parole dei responsabili dell'Associazione Guido Puletti, i quali affermano che "l'Associazione stessa continuerà a cercare il senso di queste morti aldilà del verdetto del processo", che con buone probabilità si concluderà con l'assoluzione del comandante Paraga.

La reazione macedone: incidenti a Bitola

07/06/2001 -  Anonymous User

Come probabile reazione all'uccisione, da parte dell'UCK, di cinque militari dell'esercito macedone, per tutta la notte scorsa si sono susseguiti gravi incidenti nella città di Bitola. Infatti, tre dei cinque soldati rimasti uccisi ieri erano di Bitola, una delle maggiori città della Macedonia meridionale, dove la presenza albanese è di circa il 10% dei complessivi 80.000 abitanti della città. Molti negozi di albanesi sono stati presi di mira da ripetuti attacchi, parecchi sono stati dati alle fiamme o colpiti alle vetrate, da parte di una folla di manifestanti macedoni. Anche l'abitazione del viceministro della sanità, Muharrem Nexhipi, è stata incendiata. Il viceministro ha detto all'Ansa che i poliziotti non sono intervenuti se non dopo le tre di notte, quando l'ondata di violenza iniziava a scemare.
Come riporta l'IWPR (su un commento di Sime Alusevski, giornalista del settimanale regionale Bitolski Vjesnik) altri incidenti a Bitola, considerata una delle città dove la convivenza tra albanesi e macedoni non ha mai incontrato difficoltà, si erano verificati durante la notte del 30 aprile scorso, a seguito dei funerali di quattro soldati dell'esercito macedone, originari della città. Anche allora i manifestanti distrussero le vetrine dei negozi dei proprietari albanesi, ricordando ad alcuni la "notte dei cristalli". La maggior parte degli esercizi colpiti dagli attacchi di violenza non è stata ancora riparata. Le assicurazioni stentano a stipulare contratti con proprietari albanesi, e solo alcuni sono stati rimborsati dopo gli incidenti.
Alcuni albanesi credono comunque che gli incidenti non siano opera degli abitanti macedoni di Bitola, piuttosto pensano si tratti di un'orchestrazione ad opera di gruppi politici macedoni con base a Skopje, altri addossano invece le responsabilità ai tifosi della squadra di calcio Ckembari. Uno dei militari uccisi ieri faceva, infatti, parte del Ckembari e, sempre secondo il giornalista Sime Alusevski, il fratello del militare ucciso, che lavora come taxista a Bitola, è riuscito ieri ad organizzare un gruppo di duecento taxi che hanno guidato attraverso il centro della città, suonando i clacson e sventolando manifesti anti-albanesi.
Questi continui scontri stanno esasperando la popolazione, che inizia seriamente a preoccuparsi per la propria incolumità e non sono pochi quelli che temono un accrescimento della violenza e delle provocazioni.
Il portavoce del governo, Antonio Milososki, ha dichiarato: ''A questo punto in Macedonia bisogna proclamare lo stato di guerra''. Una proposta apparentemente condivisa anche dal premier, Ljubco Georgievski, e invece finora respinta dal capo dello Stato Boris Trajkovski e da Branko Cernenkovski, ex primo ministro e leader dell'Unione socialdemocratica, importante formazione politica, membro della coalizione governativa in crescente conflitto con il partito del primoministro. (Ansa)
Sia il ministro dell'interno che quello della difesa si sono detti contrari alla proclamazione dello stato di guerra, promettendo "un'immediata e dura risposta delle forze di sicurezza contro i terroristi albanesi responsabili della strage di Tetovo".

Da parte occidentale, l'Alto rappresentate europeo per la politica estera e la sicurezza, Javier Solana, ha reagito negativamente alla proposta avanzata dal premier Georgievski affermando che: "ciò servirebbe solo ai terroristi e non favorirebbe la soluzione della crisi". Dello stesso parere è anche il presidente della UE, Anna Lindh, che durante un colloquio telefonico con Skopje, ha cercato di convincere il presidente Trajkovski e il ministro degli Esteri, Ilonka Mitreva, a trattenersi dal dichiarare lo stato di guerra "perché ciò favorirebbe l'aumento della violenza e fornirebbe una scusa alla continuazione delle azioni dei terroristi, così come l'uccisione di civili". (Sense)

Bosnia: la 'difesa' riunisce le etnie

22/05/2001 -  Anonymous User

Entro il 5 giugno prossimo, tutti i militari (circa 7.200) della cosiddetta componente croata dell'esercito federale, torneranno nelle file dell'Esercito. Questo è il risultato dell'accordo siglato il 16 maggio scorso, tra il Ministro della difesa federale - Mijo Anic - e il comandante della componente croata, Anto Mijo Jelic.

E' da ricordare che questa crisi militare in Bosnia dura già da due mesi e il suo inizio coincide con la proclamazione dell'Autonomia croata in Bosnia Erzegovina, avvenuta il 4 marzo scorso a Mostar. Il vertice politico del partito HDZ aveva condannato la nuova formazione governativa nata dopo le elezioni del novembre scorso, e quindi non si era nemmeno dimostrato pronto a riconoscere il nuovo Ministro della difesa Mijo Anic (essendo un croato non allineato all'HDZ).

Così, due mesi fa, la componente militare croata si era autosciolta e separata dall'esercito federale. A tutti i 7.200 soldati, nel frattempo mandati a casa, fu promessa una paga regolare di 500 DM al mese. Alcune caserme sono rimaste perciò vuote, mentre in altre i soldati e gli ufficiali hanno continuato a rispettare il comando federale (soprattutto nella regione della Bosanska Posavina). Ora, passati solo due mesi, l'Autonomia croata ha già cominciato a mostrare le sue falle. Allo stesso tempo l'HDZ, cominciando a temere le sanzioni paventate dalla comunità internazionale, si è preparato a negoziare con l'Alto Rappresentante in Bosnia Erzegovina, Wolfgang Petritsch, il quale nel frattempo aveva già sospeso Ante Jelavic - Presidente dell'HDZ bosniaco - da ogni incarico politico. Il 14 maggio si è saputo, con un certo scalpore, che il Ministero della difesa federale ha mosso una causa contro i politici dell'HDZ, Jelavic, Prce e Curcic. Ma due giorni dopo la situazione si è tranquillizzata con l'arrivo di un'altra notizia, sempre sorprendente: l'accordo si è raggiunto e la componente croata torna nelle fila dell'Esercito federale. "L'autonomia croata non poteva finanziare l'esercito croato fuoriuscito, perché economicamente fallita" scrive il giornale Nezavisne novine del 19 maggio scorso, citando una fonte anonima vicina al Ministero della difesa federale. Sembra che la componente militare croata fosse pronta a negoziare già da due settimane e che i tempi si siano accelerati in seguito alle tensioni nate nella caserma di Kiseljak dove, per motivi politici, i soldati croati si sarebbero scontrati tra di loro.

La versione croata sull'accordo risulta essere un po' diversa: il generale Jelic (Oslobodjenje, 18 maggio) dichiara che questo accordo firmato con Mijo Anic è espressione della volontà del popolo croato di risolvere i problemi in maniera pacifica e legale. "Con questo accordo la partecipazione della componente croata nell'esercito federale non sarà più messa in dubbio" ha detto Jelic. Ha dichiarato inoltre che tutti i 7.200 soldati della componente croata saranno registrati e torneranno nelle caserme entro venti giorni dalla firma degli accordi (quindi, entro il 5 giugno prossimo).

In questi due mesi Jelic aveva dichiarato di avere al suo comando 6.280 soldati. Lo SFOR però lo aveva smentito: le fotografie fatte dagli elicotteri di ricognizione delle Forze Internazionali di Stabilizzazione (presentate dal portavoce SFOR, Jurg Lehaman) hanno mostrato infatti un numero massimo di 2.500 soldati.

A differenza del generale Jelic, il presidente dell'HDZ Ante Jelavic dà una spiegazione un po' diversa. Ha infatti dichiarato (Dnevni Avaz, 18 maggio) che l'HDZ continuerà la sua lotta: "Per raggiungere il nostro obiettivo, che è quello di costruire una Bosnia Erzegovina sovrana e democratica in cui sia prevista l'uguaglianza costituzionale del popolo croato, continueremo a lottare con mezzi politici. Non aspettatevi da noi incidenti, violenze o azioni terroristiche". Il Ministro della difesa federale Mijo Anic pare soddisfatto, perché i suoi sforzi hanno dato buoni risultati. Secondo Anic (Dnevni Avaz, 19 maggio) i soldati croati torneranno nelle caserme anche prima della scadenza dei venti giorni. E nel frattempo, per non dimenticarsene, indosseranno nuovamente i contrassegni federali.

Croazia: la questione del bilinguismo incrina la coalizione di governo alla vigilia delle elezioni

18/05/2001 -  Anonymous User

Se la ricomposizione della coalizione governativa a seguito delleelezioni convocate per il 20 maggio prossimo, veniva considerata certa,
oggi si aggiungono note di dubbio legate alla polemica nata tra i partitidella maggioranza e l'IDS di Jakovcic.
La coalizione che oggi governa in Croazia vede tra le sue fila 6 partiti: l'SDP (Partito
Social Democratico) di Ivica Racan, l'HSLS (Partito Social Liberale), l'HNS (PartitoPopolare Croato),lo storico HSS (Partito Contadino della Croazia),
il LS (Partito Liberale) e l'IDS (Assemblea Democratica dell'Istria) di Ivan Jakovcic.
Sono proprio le insistenti spinte di quest'ultimo al riconoscimento della lingua italiana in Istria come seconda lingua ufficiale, ad aver creato
una frattura all'interno della coalizione.
A questo proposito va ricordato che il Ministro della giustizia Stjepan Ivanisevic aveva temporaneamente sospeso alcuni articoli dello Statuto istriano- tra i quali
quello sul bilinguismo - affinchè venissero discussi in sede di Corte Costituzionale.
L'IDS, che negli ultimi dieci anni era riuscito a mantenere la sua roccaforte politica in tutta l'Istria, ha reagito duramente alle decisioni
del ministro, dichiarando che l'attuale governo sta limitando libertà e dirittidelle minoranze al pari del passato regime di Tudjman.
Il Primo Ministro Ivica Racan ha giustificato la temporanea sospensione con il timore
che il riconoscimento del bilinguismo potesse "aprire il vaso di Pandora", e così incoraggiarele minoranze serba e ungherese a presentare le stesse richieste. Ma Jakovcic, unico rappresentante
dell'IDS a ricoprire un ministero (quello per l'integrazione europea) nel governo di Racan, ha dichiarato che "se la Corte Costituzionale
stabilirà che l'introduzione del bilinguismo è contraria alla Costituzione, io saròpronto a lasciare il governo".
Intanto alla campagna elettorale per le elezioni locali
i partiti di destra (HDZ - Unione Democratica Croata, HSP - Partito Comune Croato e l'HKDU) si presentano sotto
una coalizione denominata "Blocco nazionale".
Gli altri partiti maggiori - che fanno parte della coalizione governativa - si presentano con liste individuali o coalizioni minori, ma con un programma comune.
Tra le numerose liste presentate, la più singolare è forse quella di Donji Miholjac (Slavonia), che si è nominata Azione anarco-liberale e che nel suo programma
propone la liberalizzazione della produzione e dell'uso della marijuana.

Una costituzione provvisoria per il Kosovo

15/05/2001 -  Anonymous User

Sarebbe attesa a giorni la presentazione di un progetto costituzionale transitorio per il Kosovo. Lungi dall'affrontare il nodo spinoso del futuro status politico della regione, il capo della missione Onu - Hans Haekkerup - ha annunciato l'intenzione di trasferire progressivamente ad una istituzione autoctona le funzioni amministrative oggi assunte dalla comunità internazionale. Alla base del progetto di Haekkerup starebbe un'assemblea regionale eletta democraticamente e composta da circa 120 rappresentanti. Nel progetto sarebbero inoltre previste alcune norme di tutela per le minoranze: altri venti seggi sarebbero infatti riservati, di diritto, ai rappresentanti delle minoranze non albanesi della regione.