Il Primo ministro armeno Serzh Sarksyan vince le elezioni presidenziali ma l'opposizione denuncia brogli e indice azioni di protesta
Lo scorso martedì 19 febbraio si sono tenute in Armenia le elezioni presidenziali. In base ai primi risultati ufficiali Serzh Sargsyan è in testa con il 52,86% dei voti, seguito dal primo presidente Levon Ter-Petrosyan con il 21,5%. Il futuro leader del partito "Orinats erkir", l'ex portavoce del parlamento Arthur Baghdasarian, è al terzo posto.
Si è votato in 41 distretti elettorali, che comprendono 1923 seggi. I candidati erano nove, ognuno dei quali è stato incaricato di assumere dei supervisori con ampi poteri, tra cui il diritto di impugnare la decisione della commissione elettorale.
Dopo la dichiarazione d'indipendenza, è la quinta volta che in Armenia si tengono le elezioni presidenziali. Il presidente uscente Robert Kocharyan, già al suo secondo mandato consecutivo, in base alla Costituzione armena, non si è potuto ricandidare ma ha sostenuto e appoggiato la candidatura di Serzh Sargsyan.
Durante la campagna elettorale si è registrata in generale una mancanza di fiducia nei confronti del processo elettorale anche se la legislazione relativa al processo elettorale garantisce i diritti e le libertà civili e politiche. Tra novembre e dicembre 2007 sono stati infatti approvati degli emendamenti alla legge elettorale in base alle raccomandazioni dell'OSCE e della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa. I principali emendamenti riguardano l'inclusione del diritto di auto-candidatura e il blocco a quasi 17 mila euro della somma di garanzia per la candidatura.
In campagna elettorale si sono registrati tuttavia scontri e tensioni, soprattutto nei confronti dei sostenitori di Levon Ter-Petrosyan. La televisione, in particolare l'Armenian Public Television, è stata ampiamente criticata per il suo atteggiamento di parte nei confronti dei candidati. I giornali invece si sono dimostrati più indipendenti nei confronti dell'intero sistema elettorale e delle votazioni.
Le elezioni si sono svolte in un clima molto tranquillo, anche se in alcuni seggi ci sono state tensioni, con alcuni episodi di violenza.
Nelle prime ore si è registrata un'elevata partecipazione al voto. I seggi sono stati chiusi alle ore 20 del 19 febbraio. Secondo la Commissione elettorale centrale (CEC), hanno votato 1 milione 670 mila elettori, pari a circa il 70% della popolazione votante.
I risultati degli exit poll sono piuttosto controversi; i dati raccolti da organizzazioni diverse non hanno nulla in comune. Secondo "Alfa-GA", un'organizzazione locale, il primo presidente Levon Ter-Petrosyan sarebbe in testa con il 54,2% seguito dal suo rivale Serzh Sargsyan con il 24,4%.
Secondo l'exit poll della famosa organizzazione inglese Populus, il vincitore delle elezioni presidenziali sarebbe l'attuale primo ministro Serzh Sargsyan con il 57,01% dei voti, al secondo posto ci sarebbe Levon Ter-Petrosyan con il 17,4% seguito dal leader del partito "Orinats erkir" Arthur Baghdasarian con il 14,6% dei voti. È doveroso menzionare che sebbene Populus sia una famosa organizzazione inglese, ha ricevuto l'incarico di condurre gli exit poll dalla Televisione pubblica dell'Armenia.
Oltre ai supervisori e agli osservatori locali, circa 600 osservatori di organizzazioni internazionali e straniere (OSCE, Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, osservatori del CIS e della Commissione Europea) hanno seguito le elezioni. Mercoledì, il giorno successivo alle votazioni, la Missione internazionale di monitoraggio elettorale ha reso pubbliche le prime dichiarazioni sulle elezioni presidenziali in una conferenza stampa.
"Le elezioni presidenziali dell'Armenia si sono svolte in conformità con i criteri internazionali" ha dichiarato il rappresentante della Missione della Commissione Europea Thomas Grunert.
"Gli armeni si sono dimostrati decisi a scegliere tra genuine alternative politiche in un clima di viva competizione elettorale. Abbiamo rilevato dei problemi in particolare durante la conta dei voti, adducibili a una scarsa confidenza con il processo elettorale", ha dichiarato Anne-Marie Lizin, vice presidente dell'Assemblea parlamentare OSCE e Coordinatrice speciale degli osservatori OSCE. Queste valutazioni sono preliminari, gli osservatori resteranno in Armenia per seguire la risoluzione delle dispute e le procedure di rilievo.
Diversa la reazione dei mass media locali. Fin dalle prime ore del mattino i giornali hanno scritto di violazioni della legge elettorale e di infrazioni. I comunicati dei media dicevano: "picchiato un giornalista", "rotta una telecamera", " distribuite schede compilate", "supervisore picchiato", "intimidazione dell'opposizione", "moduli per il numero 8", ecc.. Il numero 8 della lista è Serzh Sargsyan.
In seguito alla dichiarazione della Commissione Elettorale Centrale (CEC) secondo la quale Serzh Sargsyan risultava essere il vincitore con il 53% dei voti, abbastanza per evitare il secondo turno, l'opposizione, in particolare Levon Ter-Petrosyan, ha rifiutato di accettare i risultati ufficiali preliminari, parlando di frodi e violazioni di massa.
Levon Ter-Petrosyan ha invitato ad una manifestazione di protesta denunciando la manipolazione delle votazioni. I suoi sostenitori hanno cominciato ad arrivare dalle 11 del mattino di mercoledì. Le principali accuse sollevate durante la protesta riguardavano il numero dei votanti che, secondo la Commissione elettorale centrale, sarebbe pari a 1 milione 640 mila, mentre in base alle informazioni procurate da Levon Ter-Petrosyan, si sarebbe trattato di poco meno di 1 milione 100 mila.
In tarda serata, al termine della protesta, Ter-Petrosyan ha dichiarato che continueranno a combattere perché sono loro i vincitori, e ha annunciato che il 21 febbraio avrà luogo un'altra manifestazione di protesta, che sarà un evento molto importante.
Intanto il Paese ha accolto la notizia dell'indipendenza del Kosovo. Sarkisyan si è affrettato a far sapere che il non-riconoscimento del Karabakh segnalerebbe uno spiacevole "uso di doppi standard" da parte della comunità internazionale. In Armenia e in Nagorno Karabakh i politici stanno tracciando dei paralleli tra questi due casi sforzandosi di trovare dei tratti comuni, per potersi appellare al caso del Kosovo, se non come a un precedente, almeno come a una leva per il futuro processo di negoziazione.
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