Il 99simo anniversario del genocidio armeno e il 20simo anniversario del cessate il fuoco in Nagorno Karabakh si sono recentemente intrecciati, evidenziando i limiti della diplomazia ufficiale ma anche le nuove iniziative della società civile per la ripresa del dialogo nella regione
L'Armenia ha di recente celebrato due date di grande importanza simbolica. Una è ben nota in tutto il mondo, il 24 aprile, 99 anni dal genocidio armeno nella Turchia ottomana. L'altra, meno conosciuta al di fuori della regione, è il 12 maggio, ventennale della firma del cessate il fuoco che ha messo fine alla guerra in Nagorno-Karabakh. Queste due date simboleggiano le due principali sfide esterne per l'Armenia: le relazioni con la Turchia e il Nagorno-Karabakh. Nelle ultime settimane ci sono stati alcuni sviluppi in entrambe le questioni, segno che lo status quo sta cambiando. Tuttavia, è ancora difficile dire se questi cambiamenti volgono al meglio o al peggio.
Nagorno-Karabakh: nuove iniziative e nuovi ostacoli
Sullo sfondo della crisi in Ucraina, dove Kiev, Mosca, Bruxelles e Washington non sembrano in grado di fermare l'escalation, improvvisamente il cessate il fuoco del 1994 in Nagorno-Karabakh sembra quasi un successo. Naturalmente la pace imperfetta oggi è ancora fragile: Azerbaijan e Armenia sono a tutti gli effetti divisi da un fronte, e impegnati in una corsa agli armamenti. Si succedono incidenti, a volte con conseguenze tragiche, con soldati uccisi o feriti, per lo più da cecchini. A dispetto di tutto questo, il cessate il fuoco tiene sostanzialmente da 20 anni, in assenza di una forza di pace nella regione.
Secondo Sergey Minasyan, vice-direttore del Caucase Institute, un think tank con sede a Yerevan, due fattori principali hanno contribuito a questa duratura pace relativa. Uno è l'equilibrio di potere: anche se l'Azerbaijan si è rifornito pesantemente di armi, l'Armenia è finora riuscita a tenere il passo, anche attraverso l'alleanza con la Russia e l'adesione alla Collective Security Treaty Organization (CSTO). L'altro fattore è la presenza di istituzioni internazionali, prima di tutto l'OSCE o, più precisamente, il cosiddetto Gruppo di Minsk, co-presieduto da Russia, Stati Uniti e Francia.
Recentemente, il nuovo rappresentante statunitense, James Warlick, è stato il più attivo tra i mediatori, avviando una serie di incontri con le parti interessate, tra cui per la prima volta i rappresentanti delle diaspore armene e azere negli Stati Uniti. Warlick ha esplicitato in una dichiarazione i principi che sono stati sul tavolo dei negoziati per diversi anni, divenendo il bersaglio di rabbiose reazioni da entrambe le parti: il governo azero non ha apprezzato i suoi incontri con gli armeni negli Stati Uniti, e i media armeni e azeri hanno criticato la sua dichiarazione. Tuttavia, se l'obiettivo di Warlick era quello di sollevare il velo di segretezza che circonda i colloqui sul Nagorno-Karabakh, e rilanciare il dibattito intorno al piano di pace, è decisamente riuscito nell'intento.
Arresti in Azerbaijan
Nella sua dichiarazione, Warlick ha anche sottolineato l'importanza della diplomazia di secondo livello, vale a dire i contatti nella società civile. Tuttavia, il futuro della diplomazia della società civile, quando si tratta di Nagorno-Karabakh, è oggi incerto. Il 30 aprile, il noto giornalista azero Rauf Mirkadyrov, che aveva partecipato a numerosi programmi di dialogo con i colleghi armeni, è stato arrestato dalle autorità azere con l'accusa di spionaggio per l'Armenia. Alcuni giorni dopo, Arif e Leyla Yunus (marito e moglie), rappresentanti di spicco della società civile azera che avevano partecipato a tali programmi, sono stati arrestati con accuse simili.
Questo è il primo caso in cui tali accuse colpiscono i partecipanti a iniziative di diplomazia della società civile. Le autorità, fossero esse a Yerevan, Baku o Stepanakert, hanno tradizionalmente tollerato questi programmi, per lo più sponsorizzati dall'Occidente, pur vedendoli spesso con sospetto. I partecipanti sono stati a volte molestati da attivisti nazionalisti, polizia o servizi di sicurezza, ma non incarcerati. È difficile dire se i recenti arresti sono un tentativo consapevole di soffocare i programmi di diplomazia civile, o un tentativo di mettere a tacere i critici del governo. Da quando Ilham Aliev è salito al potere, Baku è più sospettosa di Yerevan e Stepanakert nei confronti di queste iniziative, che vede come una legittimazione dello status quo.
In ogni caso, i recenti arresti hanno avuto l'effetto di congelare le iniziative di peace-building fra Armenia e Azerbaijan, come l'ambizioso programma EPNK promosso dall'UE, e aumentare il livello di tensione generale della regione. Secondo Marina Nagai, dell'ONG londinese Internazionale Alert, che lavora nel settore da anni ed è oggi parte del programma EPNK, "il concetto e lo scopo del peace-building spesso non sono pienamente compresi, con aspettative sbagliate e malintesi. Questo spiega in parte il motivo per cui le società e le autorità possono vedere le iniziative di peace-building, in particolare il dialogo e le attività congiunte, con sospetto e diffidenza".
Armenia-Turchia: vero cambiamento?
Nel caso delle relazioni tra Armenia-Turchia, la situazione è sempre ambigua. Da un lato i protocolli firmati nel 2009 sembrano morti, e la propaganda di guerra si è intensificata in vista del 2015, centesimo anniversario del genocidio armeno. Dall'altro, ci sono segnali che le relazioni turco-armene potrebbero non essere così congelate come sembravano fino a poco tempo fa.
Il 23 aprile il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan ha espresso le condoglianze ai “nipoti degli armeni che hanno perso la vita nel contesto del primo Novecento”. Il resto della dichiarazione di Erdogan riproduceva per la maggior parte la versione ufficiale turca degli eventi, ovvero che nel 1915 gli armeni sono stati oggetto di "trasferimento", piuttosto che di genocidio, quindi che la sofferenza armena è stata una conseguenza della guerra e dei "tempi difficili per l'Impero Ottomano", proprio come "la sofferenza di turchi, curdi, arabi, armeni e milioni di altri cittadini ottomani". Pertanto, la dichiarazione di Erdogan non implica in alcun modo un riconoscimento del genocidio, e nemmeno del fatto che gli armeni fossero stati deliberatamente presi di mira dallo stato ottomano. In ogni caso, la dichiarazione di Erdogan ha attirato molta attenzione, poiché è stata la prima volta che un capo di governo turco ha offerto le sue condoglianze agli armeni in relazione agli eventi del 1915.
Il 2 maggio, il ministro degli esteri turco Davutoglu ha pubblicato un articolo che elabora il messaggio di Erdogan. Come Erdogan, Davutoglu, pur restando nel quadro della posizione ufficiale turca sul 1915, ha cercato di far risuonare una nota conciliante, riconoscendo il ruolo preminente degli armeni nell'Impero ottomano e citando alcuni armeni ottomani di spicco, tra cui il musicista Komitas, fra le vittime del 1915 (Komitas, sopravvissuto alla deportazione nel deserto, perse il senno e non si riprese mai).
Troppo poco, troppo tardi
Per la maggior parte degli armeni, sia in patria che nella diaspora, questi messaggi sono "troppo poco, troppo tardi". Aram Hamparian, capo del Comitato nazionale armeno d'America (ANCA), ha definito la dichiarazione di Erdogan "negazionismo riconfezionato", e Vigen Sargsyan, capo di gabinetto di Serzh Sargsyan, l'ha descritta come "una forma avanzata di negazionismo".
Il rifiuto di riconoscere che nel 1915 gli armeni sono stati sottoposti a sterminio intenzionale continua a infuriare gli armeni, e il tono conciliante dei leader turchi è vanificato dal persistente embargo verso l'Armenia. Tuttavia, pur respingendo la prospettiva storica di Erdogan, il governo armeno è stato anche attento a includere un messaggio conciliante: il 24 aprile, una dichiarazione di Serzh Sargsyan ha sottolineato che "noi non consideriamo la società turca come nostro nemico" e ha dedicato un intero paragrafo ai “turchi che hanno teso una mano in aiuto ai loro vicini armeni".
Secondo i commentatori, i cambiamenti di tono dei leader turchi possono essere il risultato di un cambiamento di strategia in vista del 2015. Se il governo turco non è pronto a riconoscere gli eventi del 1915 come genocidio, oggi, dopo il riconoscimento del genocidio da parte di diversi paesi, l'avvento di Internet e la crescente apertura della società turca, negare semplicemente la questione come "propaganda armena" non è più possibile. Un altro motivo dietro il tentativo di Erdogan di trovare un tono conciliante può essere geopolitico. Alcuni commentatori parlano di un tentativo da parte dei mediatori di rilanciare il processo di normalizzazione delle relazioni fra Armenia e Turchia. Le note concilianti nelle dichiarazioni di Erdogan e Sargsyan potrebbero essere un segno che questi sforzi non sono stati completamente inutili.
Le iniziative della società civile turca e armena
In ogni caso, sotto un aspetto le relazioni turco-armene sono sorprendentemente diverse dalla situazione relativa al Nagorno-Karabakh. A dispetto di tutti gli alti e bassi della diplomazia governativa, i contatti della società civile sono andati costantemente rafforzandosi negli ultimi anni. ONG armene e turche sono stati impegnate in progetti di diplomazia civile da molto prima dei protocolli turco-armeni, e questi contatti si stanno espandendo ulteriormente. Il 24 aprile, un gruppo di giornalisti e attivisti armeni ha preso parte alla commemorazione del genocidio armeno organizzata da gruppi liberali turchi. Le visite in Armenia di rappresentanti della società civile turca sono diventate routine. Secondo Marine Manucharyan, di Civic Forum, ONG impegnata nella riconciliazione tanto fra Armenia e Turchia quanto fra Armenia e Azerbaijan, i due processi sono molto diversi. Nel primo caso, nonostante alcuni ostacoli significativi, vi è anche un forte sostegno al dialogo all'interno delle società. Nel secondo caso, la situazione è più difficile: "Con i recenti avvenimenti in Azerbaijan, temiamo che non rimarranno persone disposte a collaborare con noi".
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