Ogni fine è un nuovo inizio. Le elezioni greche di ieri segnano il crollo del sistema politico nato con la fine del regime dei colonnelli nel 1974. Ancora è presto, però, per scorgere con chiarezza cosa emergerà dalle sue rovine. Anche perché nuove elezioni potrebbero essere alle porte. Nel frattempo, cresce l'insicurezza, cavalcata dai neo-fascisti di Alba D'Oro
Uno tsunami politico si è abbattuto sulla Grecia. E stamattina, con in mano i risultati definitivi delle elezioni anticipate di domenica, il paese si interroga sulle conseguenze di un voto che stravolge equilibri decennali. E che manda onde lunghe destinate a raggiungere il cuore dell'Europa, fino a Berlino, Parigi, Bruxelles.
I risultati delle consultazioni segnano la fine del sistema politico che ha retto la Grecia dalla fine della dittatura dei colonnelli, nel 1974. I suoi due pilastri, Nuova Democrazia a destra e il Pasok a sinistra, escono letteralmente stritolati dalla crisi che ha sfibrato ed eroso credibilità e legittimità dell'establishment di Atene. E se il movimento di centro-destra guidato da Antonis Samaras alla fine dello spoglio è comunque il primo partito, con circa il 19% delle preferenze (ma quasi il 15% in meno rispetto alle politiche del 2009), il Pasok si è letteralmente liquefatto, passando dal 44% a un misero 13%, peggior risultato di sempre, che consente alla Coalizione della Sinistra radicale (SYRIZA) di diventare la seconda forza in parlamento.
“Abbiamo pagato il prezzo di aver tentato di gestire la crisi in prima persona”, è stato il commento affranto, in parte assolutorio, ma sostanzialmente corretto di Evangelos Venizelos, leader triste di quel Pasok chiamato tre anni fa (con la larga vittoria di George Papandreou) a rilanciare le speranze e a gestire il disastro. Disastro da cui è stato invece fagocitato, anche per incapacità e mancanza di visione politica.
Il sistema bipartitico greco, dopo aver scommesso sul piano di salvataggio UE-FMI come unica via d'uscita alla catastrofe (che ha contribuito attivamente a provocare), va in frantumi. Con i risultati di ieri, però, va in frantumi anche la politica (o forse illusione) europea e internazionale che ad un sistema democratico possano venire imposte politiche economiche che prevedono soltanto sacrifici, tagli ed enormi pressioni sociali per un periodo di tempo indefinito. La strategia voluta a tutti i costi da Angela Merkel, complice la contemporanea vittoria del socialista Francois Hollande nelle presidenziali francesi, rischia ora di saltare, con risultati difficili da prevedere.
Samaras riceverà oggi il mandato dal presidente della Repubblica, e ieri ha dichiarato che tenterà comunque di formare un governo “pro-Europa e pro-Euro”. Ha tre giorni per farlo, ma il suo compito sembra senza speranze. Una grande coalizione col Pasok non ha i numeri sufficienti, e l'unico partner "futuribile" all'orizzonte, la Sinistra democratica di Fotis Kouvelis, non sembra avere alcun interesse a tornare sui propri passi, dopo aver attaccato duramente il memorandum UE-FMI in campagna elettorale.
Se il vecchio muore, però, non significa che le elezioni di ieri segnino la nascita di un sistema nuovo. Nemmeno il fronte anti-austerità ha i numeri per governare, neppure se il grande vincitore di ieri, il leader di SYRIZA Alexis Tsipras (“Abbiamo vinto una battaglia, ma non la guerra”, ha dichiarato a caldo) riuscisse a portare sullo stesso tavolo partiti uniti dalla volontà di annullare le politiche di rigore a tutti i costi, ma estremamente diversi dal punto di vista ideologico, come i Greci Indipendenti (destra nazionalista), i comunisti del KKE e la Sinistra Democratica.
Se i partiti falliscono, l'ultima carta è nelle mani del capo dello stato, che può tentare di mettere in piedi un governo di unità nazionale. Altrimenti lo sbocco naturale è in nuove elezioni a giugno. Una prospettiva che fa dormire sonni inquieti a molte capitali europee, ma che sembra tutt'altro che improbabile. Anche perché, in una situazione di instabilità cronica, ai limiti del punto di rottura, il rischio è di una crescita ulteriore di forze estremiste.
Con una spettacolare crescita dei consensi (passati dallo 0,29% del 2009 al 7% di ieri) i neofascisti di Chrissy Avhi (Alba D'Oro) hanno fatto il loro ingresso nel parlamento di Atene. Un segnale estremamente preoccupante, che dà la misura dell'esasperazione e della crescente voglia di "soluzioni semplici". Anche a scapito di libertà e democrazia. Nella conferenza stampa di ieri sera il leader neofascista Nikolaos Michaloliakos, per mettere subito le cose in chiaro, si è presentato facendo cacciare i giornalisti che non si sono alzati al suo ingresso in sala. “Per chi ha tradito la Patria, è arrivato il tempo della paura”, ha urlato ai microfoni Michaloliakos. E “paura” è sicuramente la parola che evocano le sue parole, i suoi gesti, i simboli del passato che sventola il suo partito.
Chrissy Avhi ha guadagnato molti consensi speculando sul tema dell'immigrazione (e arrivando a proporre di minare il confine greco-turco per fermare i migranti). Un problema poco analizzato dagli osservatori internazionali, tutti focalizzati sulla questione economica, ma centrale nel dibattito pre-elettorale. E dove tutti i principali partiti, Pasok e Nuova Democrazia in testa, hanno fatto a gara nello scaricare sui lavoratori venuti dall'estero la severità e il rigore che sono stati incapaci di imporre al sistema (e in primo luogo a se stessi) in questi decenni.
In attesa di vedere gli sviluppi, e di possibili nuove elezioni, i cittadini greci sono fin troppo consapevoli che il futuro prossimo sarà, in ogni caso, povero di tranquillità e opportunità di crescita. Anche perché, come ha fatto notare sconsolato qualcuno, se quello dei disoccupati fosse stato un movimento politico, ieri avrebbe conquistato ampiamente il primo posto al parlamento di Atene.
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