Si sono riuniti domenica a Bruxelles i leader dei paesi interessati dalla "rotta balcanica". Ne è uscito un piano in 17 punti, mediato dalla Commissione europea
Si sono riuniti domenica a Bruxelles i leader dei paesi interessati dalla "rotta balcanica" dei rifugiati che fuggono dalla Siria e dal Medio Oriente e attraversano l'Europa sud-orientale per raggiungere la Germania e deporre domanda d'asilo.
Nel comunicato finale , i capi di stato e di governo degli 11 paesi interessati (otto paesi membri UE, dalla Grecia alla Germania, e tre paesi candidati - Macedonia, Serbia, e Albania) si sono impegnati ad affrontare il "flusso senza precedenti di migranti e rifugiati" attraverso un approccio collettivo e basato su "solidarietà, responsabilità e collaborazione pragmatica", anziché attraverso atti unilaterali, considerati a rischio di scatenare "reazioni a catena".
Viene sottolineato la necessità che i paesi coinvolti si parlino e lavorino insieme, lungo la rotta balcanica e con i paesi a monte, come la Turchia, che ospitano il maggior numero di rifugiati, in modo da garantire il rispetto delle norme internazionali della Convenzione di Ginevra e del diritto europeo, trattare i rifugiati in maniera umana ed "evitare una catastrofe umanitaria in Europa". Amnesty International, d'altronde, aveva messo in guardia rispetto ad una “crisi umanitaria prossima ventura”, mentre Human Rights Watch aveva condannato “il trattamento degradante delle persone in fuga alle frontiere d'Europa, una vergogna che deve terminare immediatamente”.
Secondo il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker , “l'imperativo immediato è fornire riparo” ai profughi in transito e assicurarsi che siano trattati in maniera umana. “Non è possibile che nell'Europa nel 2015 le persone siano lasciate a sé stesse, a dormire nei campi e a guadare fiumi con l'acqua all'altezza delle spalle, in temperature gelide.” Laddove i paesi di transito non abbiano le capacità necessarie, secondo Juncker, dovrà intervenire la Protezione Civile Europea. Centomila persone dovranno trovare accoglienza temporanea nei paesi della rotta balcanica, anche grazie al sostegno dell'Unhcr – con un aumento di 30.000 posti nella sola Grecia.
Non mancano tuttavia nel piano europeo gli aspetti più legati all'approccio securitario, come la necessità di "rallentare i flussi" per stabilizzare la gestione delle migrazioni e allentare la pressione sui paesi più colpiti, così come il rapido ritorno dei migranti che non hanno necessità di protezione internazionale verso i propri paesi d'origine. I paesi dell'Europa centrale e sud-orientale si impegnano quindi a collaborare tra loro e con le istituzioni europee ed internazionali (Commissione europea, Frontex, Easo, Unhcr) per mettere in atto già a partire da lunedì 26 ottobre una serie di 17 misure operative, dallo scambio di informazioni alla gestione comune dei flussi migratori, alla sorveglianza delle frontiere per evitare fenomeni di traffico dei migranti, al sostegno ai profughi con la previsione di prima accoglienza e informazioni sui loro diritti e doveri nei vari paesi di transito.
Il vertice ha scoraggiato i paesi dell'area dal facilitare il transito dei profughi verso altri paesi a valle senza previa informazione e coordinamento - cosa che nelle scorse settimane e mesi aveva creato tensioni tra Serbia, Ungheria e Croazia, e in seguito tra Croazia, Ungheria e Slovenia. Assieme all'Unhcr, la Grecia dovrebbe approntare l'accoglienza per 50.000 persone già nella penisola ellenica, per evitare loro il lungo percorso a piedi attraverso i Balcani.
Per preservare la libera circolazione nell'area Schengen, messa a dura prova dalla crisi dei rifugiati nei mesi scorsi, la Commissione europea prevede di rafforzare il controllo delle frontiere, anche attraverso il dispiegamento di 400 guardie in Slovenia nel giro di una settimana. “Voglio essere chiaro: le persone devono essere registrate. Niente registrazione, niente diritti”, secondo Juncker, per il quale “la politica di far transitare le persone fino ai paesi vicini deve terminare”. A tal fine, i paesi lungo la rotta balcanica dovranno condividere informazioni e astenersi dal prendere decisioni unilaterali che abbiano conseguenze sui paesi vicini.
“Ora dobbiamo mettere in atto i nostri impegni. Non abbiamo tempo da perdere, l'inverno è alle porte”, ha concluso Juncker. “C'è un deficit di solidarietà e di responsabilità europea che dobbiamo correggere; procederemo ogni settimana ad una valutazione dei progressi.” Ma il realismo resta di rigore: “Non ci sono soluzioni-miracolo, chiudere le frontiere non è una soluzione a lungo termine. La soluzione è agire da europei, in maniera solidale e responsabile. In Europa i problemi degli uni sono anche problemi degli altri. L'Europa non è l'isolamento, è la messa in comune.”
Al vertice di Bruxelles hanno partecipato otto paesi membri UE, dalla Grecia alla Germania (con Austria, Ungheria, Slovenia, Croazia, Romania, Bulgaria e Grecia), e tre paesi candidati - Macedonia, Serbia, e Albania. Assenti invece Italia e Francia – che fanno parte del “processo di Berlino” di cooperazione intergovernativa tra gli stati dei Balcani e l'UE – così come la Turchia, paese a monte del flusso dei profughi, e Bosnia Erzegovina, Montenegro e Kosovo, più riparati rispetto ai flussi degli ultimi mesi. Per quanto riguarda la Macedonia, il Presidente della Commissione ha esteso l'invito al presidente della repubblica macedone, Mladen Ivanov, anziché al primo ministro Nikola Gruevski, mentre continuano le pressioni perché trovi applicazione l'accordo politico mediato dall'UE tra maggioranza e opposizione.
A livello di relazioni tra le istituzioni europee, l'iniziativa di Juncker di un vertice “ibrido”, su invito della Commissione anziché della Presidenza del Consiglio europeo ha fatto sollevare varie sopracciglia e fatto parlare di un ruolo di supplenza di Juncker rispetto ad un deficit di leadership di Donald Tusk sulla questione. Secondo l'ex commissario europeo Michel Barnier, “in questo momento il protocollo non è importante, c'è un'emergenza cui far fronte”. Ma un diplomatico di uno dei paesi non invitati ha definito “incredibile” l'iniziativa, come riportato da EUobserver .
Nelle scorse settimane l'Ungheria ha chiuso i propri confini, prima con la Serbia e poi con la Croazia, creando un collo di bottiglia per i profughi in Slovenia. Le minacce di Austria e Germania di una possibile chiusura dei confini hanno provocato le reazioni di Bulgaria e Romania, che a loro volta han minacciato di fare lo stesso. “Non faremo da tampone... non ci esporremo alla pressione devastante delle migliaia di persone che stanno per arrivare”, aveva dichiarato il premier bulgaro Boiko Borisov . E anche la Slovenia aveva fatto circolare l'idea di erigere una barriera al confine croato, se non si fosse trovato un approccio comune europeo – cosa che avrebbe costretto i profughi in un cul-de-sac tra Serbia e Croazia.
Nel frattempo, venerdì scorso i ministri degli Interni serbo e croato, Nebojša Stefanović e Ranko Ostojić, hanno trovato l'accordo su alcune misure per accelerare il transito dei rifugiati alla frontiera. Dei treni croati preleveranno le persone in transito già dalla stazione di Šid, in Serbia, per lasciarli poi al centro d'accoglienza di Slavonski Brod, in Croazia, evitando così ai profughi di dover marciare per chilometri nel fango di questi giorni d'autunno. La Serbia si è dichiarata pronta a collaborare con i vicini croati e con l'UE, anche accogliendo una quota di rifugiati sul suo territorio, come già annunciato a fine agosto dal premier Vučić.