Dopo 21 giorni di detenzione in Serbia, il fotoreporter è rientrato in Italia. Ancora in corso le indagini sul caso per il quale, erroneamente, era stato arrestato mentre lavorava su un reportage lungo la rotta balcanica
Fonte: FNSI
«È stata un'esperienza durissima, che spero di non rivivere mai più. Sono contento di essere qui con voi. Grazie a tutti quelli che si sono impegnati per me». Barba lunga, sguardo stanco, visibilmente emozionato, il fotoreporter torinese Mauro Donato è tornato ieri in Italia dopo 21 giorni di prigione in Serbia e oggi (ndr: venerdì 6 aprile) era a Roma, nella sede della Federazione Nazionale Stampa Italiana, per raccontare almeno una parte della sua storia.
Assieme al collega Andrea Vignali, si era recato in Serbia, per realizzare un reportage sulla vita dei profughi e l’attività di operatori umanitari. Il 16 marzo, mentre stava lasciando il paese, è stato fermato e arrestato con l’accusa, poi rivelatasi infondata, di "rapina aggravata con l'uso della violenza" ai danni di tre profughi. L’accusa è stata subito smentita dalla stesse vittime, oltre che da altri testimoni. Grazie all'intervento della autorità italiane, dalla Farnesina fino all'Amabsciata d'Italia a Belgrado, in collaborazione con i legali della famiglia, si è arrivati alla scarcerazione.
«Possiamo dire poco perché sono ancora in corso le indagini. Possiamo dire che Mauro è libero, anche se non c’è stata assoluzione, perché sono venute meno le ragioni della custodia cautelare», ha precisato la legale della famiglia, Alessandra Ballerini, che ha poi ricordato la vicenda del connazionale Denis Cavatassi, in carcere in Thailandia, sul quale pesa una condanna a morte.
«Eravamo lì per documentare quello che accade lungo la 'rotta balcanica'», ha raccontato Andrea Vignali, il collega che con Mauro era partito da Torino alla volta dei Balcani. «Volevamo approfondire la situazione, in un momento in cui il parlamento serbo – ha spiegato – sta approvando una legge sull’accoglienza dei migranti che porterà ad istituzionalizzare quanto accade a migliaia di persone che, in fuga da fame e guerra, sono costrette a restare in Serbia anche più di un anno, passando da un campo di accoglienza ad un altro».
Partiti per un reportage nell’ambito del progetto 'Exodos ', Mauro e Andrea volevano vederci chiaro su quanto accade in Serbia. «Dopo la chiusura del confine con l’Ungheria era passato il messaggio che la rotta balcanica fosse stata chiusa. Abbiamo scoperto che non è così», ha osservato il fotoreporter durante la conferenza stampa alla quale erano presenti anche il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna e l’ex senatore Luigi Manconi.
«Siamo noi a ringraziare voi – ha detto il presidente Giulietti – e tutti i giornalisti che come voi amano la libertà e per questo partono per illuminare realtà oscurate. Oggi siamo qui per festeggiare il vostro ritorno, ma anche per ribadire che saremo sempre al fianco di chi si mette in gioco e spesso rischia per svolgere il dovere di informare. Per questo lunedì 9 aprile(ndr: ieri) saremo a Pavia, con la famiglia di Andrea Rocchelli e il 17 aprile saremo al fianco di Luciana Alpi. Ma saremo anche a Napoli, e ovunque sarà necessario, attraverso i nostri legali, attraverso la scorta mediatica e non solo per chi è giornalista».
Il segretario Lorusso si è soffermato sulle difficoltà che troppo spesso affronta chi è chiamato a svolgere il lavoro di giornalista. «Fnsi e Ifj – ha rilevato – osservano con attenzione la Serbia e gli altri Paesi dove fare informazione è sempre più difficile. Penso ai Balcani, ma anche alla Turchia. A quei Paesi che chiedono di entrare in Europa. È essenziale continuare la pressione su governi nazionali e Unione europea perché se un Paese non rispetta la libertà di informazione non può entrare in Europa».
E Luigi Manconi ha ricordato che ci sono «3226 italiani ancora in carcere in tutto ilmondo. La stragrande maggioranza o ha subito un processo irregolare, o è in carcere senza processo oppure, pur dopo un equo processo, vive in condizioni detentive che violano gli standard minimi dei diritti fondamentali della persona. Il lavoro dei giornalisti è prezioso per conoscere quello che succede nei centri di detenzione o di accoglienza», ha osservato ancora Manconi, che poi si è detto «felice di sottolineare che ambasciata e ministero degli Esteri hanno avuto in questa vicenda un ruolo utilissimo».
Il segretario dell'Associazione Stampa Subalpina, Stefano Tallia ha infine evidenziato che «ci sono altri giornalisti che lavorano allo stesso progetto per il quale sono partiti Mauro e Andrea. La solidarietà a Mauro – ha osservato – aiuta anche i colleghi, spesso freelance, a proseguire questo lavoro».
Incalzato dalle domande dei colleghi, Mauro Donato si è poi soffermato sulla prigionia. «Ero in una cella grande quattro passi per cinque. Un bagno di due passi e mezzo. Due letti a castello. La luce si accendeva alle 6 e si spegneva alle 10. Passavamo 22 ore in camera, con appena un'ora e mezzo d'aria in cui passeggiavamo in un cortile in tondo. Non sapevo cosa stesse succedendo fuori, non sapevo perché mi trovassi lì. Mi hanno fatto firmare dei verbali scritti in cirillico», ha ricordato.
«Tornerai li?», gli è stato chiesto. «L'ambasciatore ci ha chiesto di esporre il lavoro in ambasciata. Quindi sì: tornerò, ma solo 'francobollato a lui'», ha scherzato Donato mostrando un sorriso finalmente rilassato.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto