L'UE deve alleggerire la propria politica dei visti nei confronti dei cittadini dei Balcani. Altrimenti si rischia di creare un vero e proprio ghetto nel cuore dell'Europa. Lo denuncia l'ICG, autorevole think tank americano

05/12/2005 -  Davide Sighele

Due anni fa l'Unione Europea si apriva ai Balcani. Almeno a parole. In un albergo di lusso di Porto Carras, non lontano da Salonicco, i principali leader europei assicuravano che il futuro dei Paesi dei Balcani non poteva che essere europeo. Si coronava così un percorso fortemente stimolato dall'allora presidente della Commissione europea Romano Prodi e si concludeva il semestre di presidenza della Grecia.

Ma già allora, nonostante l'importante conferma che l'UE stava guardando al sud-est Europa, era già emersa l'indicazione che una liberalizzazione del sistema dei visti era lontana e veniva subordinata dai leader europei a maggiori garanzie in merito allo stato di diritto, alla lotta contro la corruzione, al crimine organizzato e all'immigrazione clandestina.

Il Citizens Pact, comitato di associazioni ed ONG dell'area balcanica, aveva immediatamente sottolineato l'ipocrisia: "Difficile parlare di Balcani in Europa quando i cittadini provenienti dalla maggior parte di questi Paesi devono subire umilianti code ad ambasciate e consolati, spesso senza ottenere alcunché, ogni qual volta desiderino visitare un parente, partecipare ad un evento sportivo o culturale, fare un viaggio in qualche Paese dell'Unione Europea. L'UE mentre attende che giustamente i Paesi del sud est Europa adempiano a determinate condizioni affinché venga definitivamente mutato il sistema dei visti, inizi però fin da subito ad alleggerirlo".

Da quell'inizio estate del 2003 qualcosa è cambiato. La Bosnia Erzegovina e la Serbia e Montenegro hanno avviato il loro cammino verso l'Unione avendo ricevuto il via libera per un Accordo di stabilizzazione ed associazione. Ma nulla è stato modificato nella politica dei visti.

Questo, secondo il think tank con sede a Washngton e Bruxelles ICG (International Crisis Group), è un elemento estremamente negativo. "Il regime di visti UE esistente nei confronti dei Paesi dei Balcani occidentali" si afferma nell'incipit di un documento recentemente pubblicato "causa risentimenti, inibisce progressi nel commercio, negli affari, nel settore dell'educazione, nel favorire società civili più aperte, e, di conseguenza, ha effetti negativi sulla stabilità della regione".

"La UE cambierà il regime di visti" si chiedono gli esperti del think tank "o manterrà un sistema nel quale il crimine organizzato riesce a superare le regole poste mentre viaggiatori legittimi vengono umiliati ai cancelli dei consolati?".

Nel documento titolato "I visti UE ed i Balcani occidentali" si sottolineano innanzitutto i paradossi delle politiche sul controllo dell'immigrazione illegale e dei traffici criminali. L'ICG è chiaro. Dopo l'11 settembre 2001 molti Stati hanno portato in cima alla propria agenda la questione della sicurezza - si afferma - ed i visti vengono sempre più utilizzati come modalità, più ideologica che efficace, per affrontare le paure in merito alla sicurezza.

Viene citato un funzionario della Commissione europea che sottolinea come, dove il confine è difficile da superare, o per vincoli legati ai visti o per efficaci controlli di polizia "le uniche persone che riescono a superarlo sono i trafficanti. I turisti e gli uomini d'affari non ci provano nemmeno ad entrare in Europa, tanto sono scoraggiati dal processo dei visti".

Marrti Ahtissari, attualmente rappresentante del Segretario generale ONU per i negoziati sullo status del Kosovo, già nel 2003 aveva affermato che "un chiaro segnale dell'impegno dell'Unione della regione sarebbe quello di alleggerire il regime dei visti, come è stato fatto per la Croazia".

Secondo l'ICG Russia, Ucraina e persino la Cina stanno procedendo più rapidamente dei Balcani occidentali verso un alleggerimento dei visti per l'UE. Quest'ultima, affermano gli esperti del think tank, rischia di favorire maggiormente paesi che le sono più lontani rispetto ad un'area geografica che è nel cuore dell'Europa. I Balcani hanno liberalizzato quasi completamente i visti per i cittadini UE, non si intravede però per ora alcuna prospettiva di reciprocità.

Tra le varie statistiche citate una è particolarmente significativa. Il 70% degli studenti universitari della Serbia non hanno mai messo piede fuori dal proprio Paese. "Come possono avere un'idea di cosa sia l'Europa - ci si chiede - E questa dovrebbe essere la 'generazione europea' dei Balcani che dovrebbe guidarli fuori dal nazionalismo e dai conflitti ma ai quali non vengono dati gli strumenti per poterlo fare".

La proposta ICG? Non la politica di un visto di breve periodo per tutti ma piuttosto la possibilità di ottenere facilmente visti per alcune categorie tra le quali studenti, ricercatori, uomini d'affari, operatori economici, rappresentanti della società civile, delle istituzioni: nessuna tariffa, meno documenti da portare, tempi più rapidi per la concessione.

Altrimenti si rischia di proseguire con quello che un diplomatico dei Balcani citato nel rapporto ICG ha definito "sadismo consolare". Causato tra le altre cose - notano i ricercatori di ICG dopo aver incontrato numerosi rappresentanti di consolati ed ambasciate di Paesi UE nel sud est Europa - i criteri per ottenere accesso all'UE sono più soggettivi che oggettivi.

Non mancano inoltre casi di corruzione che il sistema rigido dei visti ha senza dubbio favorito. Nel 2001 è emerso che l'Ambasciata francese a Sofia, Bulgaria, aveva venduto tra i 20.000 e i 25.000 visti. In quel periodo in Bulgaria era stata travolta da uno scandalo anche la rappresentanza belga: un suo funzionario aveva costituito società fantasma alle quali chi voleva ottenere un visto versava somme sino ai 4000 euro. "E' questa l'Europa che poi dovrebbe contribuire a far crescere le istituzioni locali?" si chiede l'ICG che a dire il vero non è mai stato tenero con l'Unione europea.

Nel rapporto ICG poi si fornisce un'analisi della situazione Paese per Paese. Al Kosovo, in questa rassegna, è stato assegnato un posto del tutto speciale: a causa dell'indeterminatezza del suo status istituzionale i suoi cittadini hanno avuto particolari difficoltà ad ottenere visti. Dopo la guerra del 1999 UNMIK, amministrazione internazionale del Kosovo, emise documenti di viaggio che non erano riconosciuti quasi da nessuno. Ora la situazione è cambiata ma molti scelsero di richiedere il passaporto della Serbia e Montenegro. Per un albanese del Kosovo era molto difficile però raggiungre le istituzioni serbe e spesso si è fatto ricorso ad intermediari. Secondo ICG le Ambasciate occidentali hanno applicato inoltre regole più rigide nei confronti dei kosovari.

Per l'ICG occorre che l'UE faccia un gesto significativo sia nei confronti dei cittadini dei Balcani che i governi dei Paesi di quest'area. Non ci si può permettere che il divario tra i paesi dei Balcani occidentali ed i loro vicini si amplifichi ulteriormente. Altrimenti il rischio è che la UE si ritrovi ai propri confini quel ghetto balcanico che tanto teme.


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