L’alto rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell © Alexandros Michailidis/Shutterstock

L’alto rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell © Alexandros Michailidis/Shutterstock

La crisi scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina ha ricordato ai 27 l’importanza strategica dei Balcani occidentali. Nuove iniziative per mantenere la regione ancorata all’UE e contrastare l’influenza di Mosca verranno prese entro giugno

13/04/2022 -  Tomas Miglierina Bruxelles

A Lussemburgo, alla riunione dei ministri degli Esteri dell’11 aprile, la discussione sui Balcani – ovviamente a porte chiuse - è stata lunga, nonostante quasi tutti fossero d’accordo su tutto e ribadissero insistentemente lo stesso messaggio: l’azione di Mosca per destabilizzare la regione e indebolire l’Europa è motivo di forte preoccupazione e va contrastata con forza, senza indugi. Ed il modo migliore per farlo è mostrare che il processo di allargamento non è morto.

È una bella differenza rispetto ai tentennamenti del vertice di Bled, appena sei mesi fa, quando si riaffermava la prospettiva europea dei Balcani, ma senza alcun impegno concreto, nemmeno di calendario. Ora Bruxelles torna finalmente a fissare qualche scadenza: avviare entro la fine del semestre francese - 30 giugno - le trattative di adesione per Albania e Nord Macedonia, ferme al palo da ormai oltre due anni. Ironia della sorte: è stata proprio la Francia di Macron, negli ultimi due anni, a rimettere in discussione più di chiunque altro la filosofia stessa dell’allargamento. Ma per invertire la rotta rimane poco tempo.

Il nuovo governo bulgaro di Kiril Petkov, in carica dal dicembre scorso, ha adottato un atteggiamento diverso nei confronti di Skopje, pur con le debolezze legate alla presenza nella coalizione dell’alleato socialista. L’alto rappresentante per la politica estera europea Borrell tornerà presto a Sofia e Skopje, per assicurarsi che il dialogo bilaterale non si fermi e sia foriero di rapidi progressi.

Ma le buone notizie per la regione non si fermano qui: persino la Bosnia Erzegovina e il Kosovo potrebbero beneficiare della nuova atmosfera. Ai bosniaco-erzegovesi verrà detto che le elezioni generali del 2 ottobre devono tenersi come previsto; devono essere corrette, inclusive, senza boicottaggi ed i risultati dovranno essere accettati e implementati da tutti. Le ambizioni secessioniste della Republika Srpska di Milorad Dodik, apertamente spalleggiato dalla Russia, non devono potersi realizzare. Quanto al Kosovo, potrebbe presto beneficiare dell’agognata liberalizzazione dei visti.

Sul fronte finanziario il pagamento dei fondi di preadesione potrebbe essere accelerato: soldi preziosi per una regione che sta già pagando - al pari dell’UE, ma con meno possibilità di ammortizzarli – i contraccolpi economico-sociali della guerra, delle sanzioni e delle contro sanzioni.

Resta la questione, problematica, della Serbia, unico paese della regione a non essersi allineato con le posizioni dell’UE; unico dove il discorso pubblico, alimentato dai media, è largamente favorevole al Cremino, che dispone di ampie reti di influenza. Bruxelles e molti stati membri, Germania in testa, ritengono che Belgrado non possa più restare seduta su due sedie, specialmente ora che le elezioni presidenziali sono passate. “Se vuoi diventare membro dell’Unione, come vuole la Serbia, è centrale che in momenti come questi ti unisca alla politica estera europea e alle sanzioni che ne fanno parte”, ha dichiarato davanti ai media la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbrock.

Solo l’Ungheria di Orbán, tra tutti i 27, ha invitato a mostrare un po’ di comprensione ed ha offerto di fare da “mediatore”.

Di tutto questo i ministri degli Esteri dei 27 discuteranno con i loro sei omologhi della regione forse già al prossimo consiglio UE di maggio, dove i Balcani occidentali saranno un punto importante dell’agenda, oppure in quello di giugno. L’idea di una riunione allargata, messa sul tavolo da Borrell, ha trovato ampi consensi.

Infine, a giocare in favore dei Balcani occidentali solo anche le candidature formalmente presentate da Ucraina, Moldavia e Georgia, per quanto lunga ed aleatoria sia la loro strada verso una membership piena. Vale soprattutto per Tbilisi e Chișinău, dove si respira aria di terrore per l’eventualità di essere i prossimi nelle mire geopolitiche del Cremlino. Proprio lunedì 11 le due capitali hanno ricevuto da Bruxelles il questionario di adesione, primo passo formale in risposta alla loro domanda di entrare nel club. L’Ucraina ne ha ricevuto la prima parte da Ursula von der Leyen, quando la presidente della Commissione ha visitato Kiev, venerdì 8 aprile.

L’Unione europea ha interesse a rassicurare - nei limiti delle sue possibilità - queste repubbliche e a tenerle legate a sé, ma non può “passare sopra” a chi è in coda da anni davanti al cancello di ingresso, come i paesi dei Balcani (la Turchia è un discorso a parte). Farlo sarebbe un vero affronto e dunque occorre che anche con Tirana, Skopje, Sarajevo e Pristina qualcosa si muova. Il tempo di agire è ora.

[Una versione precedente di questo articolo affermava, erroneamente, che Zelensky aveva già consegnato le risposte alla prima parte del questionario]


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